Il Mostro di Firenze è ancora vivo
Il mostro di Firenze è ancora vivo, se non come persona o gruppo di persone almeno come genere giornalistico. Nonostante dai primi suoi delitti siano passati cinquant’anni l’interesse, anche di tipo morboso, è sempre alto e ogni tanto viene alimentato da qualcosa di concreto, come è avvenuto nei giorni scorsi. Su uno dei proiettili usati contro le ultime due vittime sarebbe infatti stato ritrovato un DNA finora sconosciuto, presente sui proiettili di altri due delitti. Questa l’interpretazione più estrema, quella a cui il pubblico vuole credere: forse il vero mostro di Firenze è ancora vivo e nel caso fosse vivo è ancora a piede libero.
DNA
Si riparte dall’attualità, e cioè da questo DNA sconosciuto che Lorenzo Iovino, ematologo italiano che lavora negli Stati Uniti, ha trovato su uno dei proiettili usati per l’omicidio di Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili, cioè l’ultimo crimine accertato di quello che nel linguaggio comune è il Mostro di Firenze, avvenuto l’8 settembre 1985 a San Casciano val di Pesa. Iovino è consulente dell’avvocato delle famiglie dei due francesi e la sua scoperta, rivelata da Repubblica, collega questo ad altri due duplici omicidi, quello Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch (unica coppia non maschio-femmina) del 9 settembre 1983 a Giogoli e quello di Pia Rontini e Claudio Stefanacci del 29 luglio 1984 a Vicchio. Stesso DNA sui proiettili rinvenuti anche in questi casi e ovvia richiesta di riaprire le indagini, confrontandolo con quelli di altri sospetti, anche marginali, e cercando di capire se anche in altri casi si possano rinvenire le stesse tracce. Non solo tramite i proiettili, ma anche riesumando i corpi delle vittime che hanno lottato, come quello di Stefania Pettini, uccisa il 14 settembre 1974 a Borgo San Lorenzo. Finora i confronti a livello di DNA, peraltro con reperti conservati male e scene del crimine gestite in maniera imbarazzante, non hanno mai portato a nulla, nemmeno a una parziale coincidenza con il DNA dei condannati in via definitiva, quindi queste tracce per così dire nuove potrebbero in teoria avere importanza.
Modalità
In definitiva chi è il Mostro di Firenze? Stiamo parlando dell’autore, o degli autori, di sette duplici omicidi nelle campagne appena fuori Firenze, avvenuti fra il 1974 (ma c’è chi ne associa uno del 1968) e il 1985, con la sua entrata nell’immaginario collettivo per motivi evidenti: primo e finora unico caso italiano di serial killer di coppie, la giovane età di quasi tutte le vittime, quel clima di mistero e paura che alimentava mille voci, fra esoterismo e altro. A terrorizzare, ma anche ad attirare una certa curiosità morbosa, erano anche le modalità: il killer puntava le coppie isolate, scegliendo notti particolarmente buie, preferibilmente estive, comparendo all’improvviso e ammazzando. Non finiva lì, perché all’uomo già morto venivano inflitte varie coltellate (Kraveichvili era però ancora vivo) mentre la donna veniva mutilata nelle sue parti intime, alimentando ulteriori leggende e soprattutto la pista del delitto su commissione, con alcuni «collezionisti» perversi come mandanti. La verità giudiziaria, come al solito più banale di quella mediatica, avrebbe poi identificato come autori materiali di quattro dei sette (o otto) duplici omicidi Giancarlo Lotti, reo confesso che poi avrebbe coinvolto Mario Vanni e Pietro Pacciani: condanna a 26 anni di carcere per Lotti, ergastolo per Vanni e anche per Pacciani, che però sarebbe stato assolto in appello, con l’assoluzione però cancellata in Cassazione e il nuovo processo stoppato dalla morte dello stesso Pacciani, avvenuta nel 1998.
Compagni di merende
Alla ricostruzione di indagini e processi sono state dedicate decine di libri, ma su tutto svettano le figure dei sospettati, in due casi condannati (e quasi sicuramente lo sarebbe stato anche Pacciani, se non fosse morto prima), dal punto di vista fisico e del linguaggio proprio come ci si aspettava che fossero uomini un po’ grezzi della provincia toscana, tutti fra di loro amici o conoscenti come si può esserlo in piccoli paesi. Il Lotti, detto proprio alla Amici miei, trentaquattrenne all’epoca del primo duplice omicidio (non contiamo quello del 1968, che molte teorie attribuiscono al Mostro), disoccupato e alcolizzato. Il Vanni, 47 anni nel 1974, ex postino, baby-pensionato come non era raro nell’Italia dell’epoca, involontario inventore dell’espressione «Compagni di merende», che lui durante i processi non usò mai, limitandosi a raccontare di imprecisate «merende» che faceva con Pacciani, versione forse concordata con l’amico e leader del gruppo. Poi per i media fu facile definire «Compagni di merende» tutti, con l’espressione che oggi ha perso il suo significato originario e viene usata in tutt’altri contesti. Il Pacciani, 49 anni alla morte di Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, contadino con un passato (una condanna per omicidio) e un presente di violenze, ai danni di tanti ma soprattutto di moglie e figlie (lo avrebbero denunciato per stupro), personalità perversa e ottimo conoscitore dei luoghi dei delitti, come del resto il Vanni e il Lotti: nessun dubbio che la figura più iconica della storia sia quella di Pacciani, la sua faccia è quella che a tutti viene in mente quando si parla del Mostro di Firenze. Fra i mille personaggi di contorno un ruolo decisivo lo ebbe il Pucci, invalido civile, non autore materiale degli omicidi, ma testimone decisivo per le condanne. Nessuna supportata dal DNA o da grandi prove, nemmeno quando questo tipo di analisi sarebbe diventato possibile.
Cultura
Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta la storia del Mostro di Firenze e le relative indagini sono state il true crime prima ancora che venisse inventato il true crime, generando in Italia anche surreali dibattiti sulla sessualità dei giovani e sull’opportunità, da parte dei genitori, che mettessero loro a disposizione una casa per non costringerli ad andare in campagna imbattendosi nel Pacciani della situazione. Infinita la produzione saggistica sull’argomento, con queste decine di libri raggruppabili per teorie, qualcuna anche supportata da indagini della magistratura: la pista sarda, quella americana (addirittura con Zodiac, il serial killer californiano di fine anni Sessanta, in trasferta), quella esoterica, quella prima citata dei collezionisti (supportata dal movimento di denaro sul conto di Pacciani), quella religiosa. Tanti anche i film, quasi tutti con una storia distributiva travagliata, fino ad arrivare alla miniserie in quattro puntate Il Mostro, che Stefano Sollima ha girato per Netflix. Infinite le citazioni musicali e cinematografiche, come quella in Hannibal, impossibili da contare anche i documentari in cui ogni verità diventa quella definitiva. Magari il DNA ritrovato produrrà davvero una verità condivisa, ma non ci scommetteremmo: il Mostro di Firenze ha sempre vissuto di vita propria a prescindere dai fatti.