Il pain suisse senza la Svizzera, la nuova mania di Milano

L’ultima moda italiana, per non dire milanese, è il pain suisse. Da Instagram ai tanti negozi fisici che lo propongono, è difficile non imbattersi in questo dolce antico che con la Svizzera, a dispetto, del nome, c’entra zero. E che in Svizzera è anche poco conosciuto, diversamente da quanto avviene in Italia, Francia e Austria.
Cédric Grolet
Già, che cos’è il pain suisse? È un dolce rettangolare conosciuto con vari nomi (brioche suisse, pavé suisse, cravate) a base di pasta sfoglia, crema pasticcera alla vaniglia e gocce di cioccolato, in sintesi una variante del pain au chocolat (la variante della variante ha l’uvetta al posto del cioccolato). E come il pain au chocolat, ma anche il croissant alla francese discendente dal kipferl, è stato inventato da un geniale imprenditore austriaco, August Zang, che lo introdusse nella sua boulangerie viennese fondata a Parigi nel 1837 in Rue de Richelieu. Diventato ricchissimo, Zang vendette tutto per tornare a Vienna a fare l’editore e il banchiere, ma le sue invenzioni sono rimaste e hanno vissuto di vita propria, quasi sempre nelle pasticcerie di fascia alta: non è un caso che l’hype del pain suisse sia esploso in Francia a quasi due secoli dalla nascita, quando il dolce è stato rivisitato da una stella mediatica come Cédric Grolet. Nato come pasticciere del ristorante di Alain Ducasse e ossessionato dal dare una nuova estetica a ricette antiche, il quarantenne Grolet ha di fatto imposto il pain suisse ai suoi 11 milioni di follower su Instagram, così come aveva fatto con la sua versione della Saint-Honoré.
I segreti
Al di là del fenomeno Grolet, diverse volte premiato come miglior pasticcere del mondo, e degli algoritmi che fanno diventare virale la foto di una brioche, il pain suisse vero ha pochi segreti. L’impasto che richiede molteplici pieghe per ottenere strati sottili e burrosi, la crème pâtissière che deve essere equilibrata, densa da mantenere la forma durante la cottura ma non troppo densa, le gocce di cioccolato fondente con 65% di cacao, la cottura a temperatura moderata (160 gradi o poco più), una leggera glassa per rendere tutto lucido. Di base è più difficile da taroccare rispetto al pain au chocolat, che in alcune pasticcerie e bar è piuttosto sospetto, al confine del saccottino da supermercato fatto rinvenire. In Francia si va ovviamente di rivisitazione alla Grolet, mentre nel resto del mondo il pain suisse è più o meno quello che abbiamo descritto. In Gran Bretagna, caso unico, ha raggiunto anche un target più basso di quello originario e lo si trova davvero ovunque, mentre negli Stati Uniti è presente in tutte le grandi città, a volte con il nome di Swiss roll. La Svizzera, o per lo meno il Ticino, è sempre rimasta indifferente al fascino parigino però magari si piegherà alla forza di Instagram.
Milano
Fra essere un dolce conosciuto dai cultori della Francia e diventare l’ennesima moda food del momento c’è in ogni caso una bella differenza e in Italia il pain suisse ha colmato il gap soltanto nelle ultime settimane. Con indirizzi milanesi obbligatori come Pavé, Loste Café, Faak, Ziva e Marlà, per citare i più instagrammati: un breve giro sul web prova che non stiamo mentendo, ma non spiega i motivi dell’hype e del suo inizio. Probabilmente la ciclicità delle passioni, visto che oggi appare in leggero declino la pasticceria nordica, che nel 2024 è stata invece la più apprezzata: Cinnamon roll e cardamom bun, quasi sempre serviti in contesto minimalista o finto-povero che facesse un po’ Scandinavia, sono stati il culto del 2024 per la parte volubile della clientela da colazione. Un culto quindi destinato a essere sostituito ma non dimenticato, trasformando ogni pasticceria in una specie di registro delle tendenze recenti, cercando di estrarre sempre più soldi dalle stesse persone e possibilmente anche dai turisti.
Breakfast influencer
Una normalissima brioche e un caffè in un bar della periferia milanese costano 3,50 euro, che diventano facilmente 5 spostandosi un po’ più in centro, senza contare il servizio al tavolo. Per andare oltre bisogna cavalcare le mode o meglio ancora crearle: così ecco i citati cinnamon roll e pane svizzero, così come pochi anni fa tutti sembravano venire dal Michigan o dal Canada chiedendo pancake fatti al momento e sciroppo d’acero. L’industria della prima colazione vale in Italia circa 8 miliardi di euro, con metà della popolazione fra i 16 e i 70 anni che più o meno abitualmente fa colazione fuori di casa e la parte più giovane di questa popolazione che segue i neonati breakfast influencer: da Claudia Agnoletto di @godsavethebreakfast, 71.200 follower, a Marika di @breakfast_and_coffee_, 205.000, tutti (ma sarebbe meglio dire tutte, vista la percentuale femminile in questo settore) sognano di fare i soldi veri dell’americana Tiffany Lopinski con il suo The Breakfast Club, centrato proprio sulla instagrammabilità dei piatti, e dell’inglese Ella Mills di Deliciously Ella, più appassionata al lato salutista della colazione, punto di riferimento anche dei vegani. Come per i procuratori nel calcio l’importante non è la squadra del proprio assistito, ma il fargli cambiare squadra di continuo. In questa stagione si gioca per il pain suisse.