«Il rock è anche voglia di cambiare»

Da un quarto di secolo sono, uno degli emblemi italiani del rock che, in carriera, hanno sviscerato ed esplorato in lungo e in largo: da quello in stile Stones delle loro primissime produzioni (non a caso devono proprio a una canzone della coppia Jagger/Richards il loro nome), a quello più morbido e latineggiante dei tempi più recenti. Sono i toscani Negrita che lo scorso anno hanno festeggiato 25 anni di carriera con un «Best of» e una riuscita partecipazione al Festival di Sanremo con il brano I ragazzi stanno bene. Ora, proprio mentre il carrozzone festivaliero sta rimettendosi in moto, i Negrita hanno iniziato un tour teatrale, che stasera, venerdì 24 gennaio, fa tappa al Palazzo dei Congressi di Lugano (inizio ore 20.30) nel quale ripropongono il meglio del loro repertorio in versione «unplugged» ponendo particolare attenzione alle canzoni di Reset, uno degli album più significativi del loro repertorio che compie vent’anni. Ne abbiamo parlato con una delle anime della band, il chitarrista Enrico «Drigo» Salvi.
Partiamo proprio dal Festival di Sanremo nel cui «tritacarne» eravate esattamente dodici mesi fa. Come rivede quell’esperienza?
«Con affetto e, devo ammetterlo, anche con un po’ di nostalgia. Perché Sanremo è un’esperienza pesante da vivere, ma anche interessante e piacevole, con la sua frenesia, il fermento e perché no, anche la sua competitività. Una rassegna che per anni avevo snobbato. Poi però dopo aver assistito alla prima edizione curata da Baglioni, quella vinta da Ermal Meta che è un nostro amico e che con il suo primo gruppo, “La fame di Camilla” ha registrato un disco nel nostro studio, l’ho rivalutato. Tanto che quando ci è arrivato l’invito a parteciparvi, non abbiamo esitato».
Dal punto di vista artistico, Sanremo ha aggiunto qualcosa alla vostra storia?
«Sì, perché pur gravitando da sempre nell’universo delle radio e dell’airplay, non siamo mai stati dei veri personaggi. Se infatti tante canzoni dei Negrita erano note a tutti, non si poteva dire lo stesso dei nostri volti, delle nostre personalità. Quindi l’esserci fatti questo bagno di folla e di tv, ci è servito molto».
Venticinque anni di carriera, per una band sono tanti. Qual è il segreto di cotanta longevità?
«Anzitutto il fatto di essere ancor prima di una band, un gruppo di amici. Se a ciò aggiungiamo il fatto che ogni volta che alziamo la testa dai nostri strumenti, ci rendiamo conto che ci sono tante persone per le quali la nostra musica e le nostre canzoni rappresentano qualcosa di particolare, è facile capire come per noi continuare a fare musica a stare assieme sia qualcosa di naturale».
In questi 25 anni però è notevolmente cambiato il vostro approccio alla musica...
«Vero. E si tratta di cambiamenti che hanno cominciato a concretizzarsi con l’album L’uomo sogna di volare (quello contenente Rotolando verso il sud). Un album composto durante un tour che poi è si è trasformato in un viaggio alla scoperta del Sudamerica. Un tour che avevamo affrontato non con la mentalità di una band che doveva andare laggiù a ribadire il proprio successo ma con lo spirito con cui uno studente va a farsi un Erasmus. E quindi con il desiderio di conoscere nuove culture, nuova musica. Anche perché noi, in fondo, il Sudamerica lo conoscevamo solo attraverso certa letteratura e un certo cinema. Della sua musica qualcosa sapevamo ma non così in profondità come ci è capitato poi di conoscerla quando abbiamo visitato città fondamentali come Salvador de Bahia, la patria della musica più tribale, o Rio de Janeiro, la capitale della bossanova. Ecco è da lì che sono nate le nostre sonorità più delicate, dalla gioia di aver scoperto qualcosa di nuovo e dal desiderio di condividere con il nostro pubblico questa scoperta».
Parliamo ora del tour che stasera arriva a Lugano e nel quale date molto spazio ad un album, Reset, tra l’altro appena ripubblicato in vinile. Cosa curiosa, questa, specie se pensiamo che quando fu pubblicato, vent’anni fa, era il periodo in cui tutto quello che esisteva su vinile veniva riversato su Cd...
«Sì, è un fatto curioso, ma comprensibile. Il ritorno del vinile credo che sia dovuto alla necessità di riappropriarsi, anche tra i giovani, della musica in un modo più fisico, aprendo la copertina del disco, sfogliando le immagini mentre ascolti le canzoni. È un’esperienza diversa rispetto ad un Cd. E la ristampa di Reset che abbiamo realizzato è stata pensata proprio in modo da andare in questa direzione, con una chicca in più: il disco contiene infatti le musiche e le canzoni della colonna sonora del film Così è la vita di Aldo, Giovanni e Giacomo, che non avevamo mai pubblicato».
Dopo questo tour cosa faranno i Negrita?
«Siamo in pista senza fermarci da oltre due anni per cui ci prenderemo una breve pausa prima di rimetterci al lavoro per un nuovo disco, nel quale dovremo giocoforza tener conto del fatto che in questi ultimi anni la musica è cambiata tantissimo».
In meglio o in peggio?
«A mio avviso in peggio. Negli ultimi 8-10 anni il rock (che non è solo musica ma anche cultura e filosofia giovanile) è praticamente scomparso. E sono comparsi nuovi generi veicolati da giovanissimi nativi digitali che producono cose senza alcuna conoscenza musicale sfruttando unicamente la tecnologia. Il risultato sono prodotti molto sintetici, plasticosi che fino a poco tempo fa mi davano la sensazione di non avere la capacità di perforare il tempo, di rimanere».
Perché dice «fino a poco tempo fa»?
«Perché recentemente anche all’interno di questo movimento di non-musicisti iniziano a vedersi degli episodi interessanti. Penso a cose tipo Bad Guy di Billie Ellish e ad altri musicisti che, pur partendo da basi diverse rispetto alle nostre, stanno producendo cose che mi ridanno un po’ più di ottimismo riguardo al futuro della musica».