Il sesso tra genialità e provocazione secondo Lars von Trier

Con il film in due parti Nymphomaniac (il primo capitolo è ora nelle nsotre sale nella versione ridotta di circa due ore, con tagli approvati dal regista per evitare di incappare nelle maglie della censura) il danese Lars von Trier conclude la sua trilogia sulla depressione (i precedenti capitoli erano costituiti dal sulfureo Antichrist e dall'apocalittico Melancholia)Anche al centro di quest'opera ci sono le ossessioni e le paure dell'autore che, attorno ad esse, costruisce una struttura narrativa complessa - in certi casi fin troppo prevedibile, in altri del tutto sorprendente - con al centro Joe, personaggio femminile dal fascino androgino (l'attrice-feticcio Charlotte Gainsbourg) che in questo primo capitolo svolge unicamente il ruolo di narratrice delle sue avventure giovanili alla scoperta del sesso.Una sera di pioggia, in un oscuro quartiere di periferia, il vecchio scapolo Seligman (Stellan Skarsgard) s'imbatte in una massa informe ranicchiata in un angolo: è una donna piuttosto malconcia (Joe appunto) che gli chiede una tazza di tè. Se la porta a casa, la corica nel suo letto e lei per prima cosa gli confessa di essere «un pessimo essere umano». Il buon uomo è incredulo, non pensa che una tale categoria di persone possa esistere e, per dimostrargli che ha torto, Joe inizia allora a raccontargli gli episodi più salienti della sua vita da ninfomane, dall'infanzia all'età adulta. Von Trier suddivide queste confessioni in otto capitoli (i primi cinque fanno parte di questo film, gli altri tre si vedranno nel Volume 2) scanditi dai dialoghi molto ben calibrati tra Joe e Seligman. Capitoli nei quali si ritrovano ambientazioni già al centro di precedenti opere del regista (l'ospedale, il treno, l'ufficio), mentre la sua depressione si cristallizza nella continua insoddisfazione sessuale di Joe che, pur avendo da adulta fino a dieci rapporti quotidiani con uomini diversi, non ha certo l'aria di sprizzare energia vitale da ogni poro.Il film vive così della disuguaglianza tra momenti frammentari: banale la storia d'amore tra Joe giovane (la fragile ed eternamente imbronciata Stacy Martin) e Jerôme (Shia LaBeouf), complesso e drammatico fino all'ultimo respiro il rapporto che unisce la donna al padre (Christian Slater), goliardica e infantile la «gara di pesca» sul treno, eccezionale per intensità ed amara ironia il capitolo con Uma Thurman nei panni della Signora H., moglie tradita che si presenta con i tre figlioletti in casa di Joe per una scenata da antologia, sofisticato e del tutto originale il parallelismo finale tra un preludio corale a tre voci di Bach e le differenti declinazioni dell'orgasmo secondo Joe. Insomma, Lars von Trier si dimostra come suo solito provocatore ma anche profondo, confuso e geniale, intellettuale e superficiale, noioso e avvincente. Un regista ricco di contraddizioni ma anche di idee, capace di dividere, di far discutere, che si può amare od odiare, ma che è comunque difficile (se non impossibile) ignorare in un panorama autoriale sempre più parco di opere che lasciano il segno.