Anniversari

Il settembre nero del rock

Mezzo secolo fa, nel giro di poche settimane, la musica perdeva Alan Wilson dei Canned Heat, il mago delle sei corde Jimi Hendrix e la voce blues di Janis Joplin
Jimi Hendrix.
Alessio Brunialti
18.09.2020 06:00

Nella storiografia rock, «il giorno in cui la musica morì» (The Day That Music Died) fu il 3 febbraio del 1959, quando Buddy Holly, Ritchie Valens e The Big Bopper – famosissimo il primo, abbastanza famoso grazie a La bamba e Come on let’s go il secondo, oggi praticamente dimenticato il terzo – perirono nello stesso incidente, diretti verso l’ennesimo concerto a bordo di un aeroplanino.

Un momento che segnò, simbolicamente, la fine del rock’n’roll delle origini, mentre Elvis era sparito, inghiottito dal servizio militare; Little Richard, in piena crisi mistica, era tornato al Gospel; Jerry Lee Lewis travolto dallo scandalo per la sua moglie-bambina (e cugina) si stava dedicando al country, come Johnny Cash, mentre Eddie Cochran sarebbe morto a sua volta di lì a un anno, nello stesso incidente stradale che avrebbe lasciato seriamente ferito Gene Vincent. Ma dieci anni dopo nessuno ci pensava più. I nuovi divi del rock apparivano immortali, anche se qualcuno si era convinto che Paul McCartney fosse stato sostituito da un sosia perfetto dopo un’improvvisa dipartita.

In principio fu Brian Jones

Tutto cambiò il 3 luglio del 1969, quando Brian Jones, chitarrista, fondatore e, nei primi tempi, leader dei Rolling Stones, venne ritrovato privo di vita sul fondo della sua piscina. Era appena stato licenziato dalla sua stessa band che faticava a sopportarne gli eccessi (e se Keith Richards ti dice che «stai esagerando», è il caso di fermarsi a riflettere...). Fu uno shock per i giovani hippies: anche un idolo come lui poteva cadere. Subito dopo gli omicidi orchestrati dalla Family di Charles Manson («corretti» recentemente da Tarantino in C’era una volta a... Hollywood) avevano gettato una luce sinistra sulle comuni di giovani, e l’assassinio di uno spettatore al Festival di Altamont – che, a sua volta, forse, si apprestava a sparare a Mick Jagger (ancora gli Stones!) – aveva spezzato anche il bel sogno di Woodstock: al posto di «peace & love» bastonate e coltellate. E tre dei protagonisti di quei «tre giorni di pace, amore e musica» se ne sarebbero andati in rapida successione, esattamente cinquant’anni fa, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 1970, in quello che potremmo tranquillamente definire come il «settembre nero» del rock.

Il gufo cieco

E proprio cinquant’anni fa i Canned Heat erano una riverita band californiana di blues bianco. Un gruppo ossessionato dal boogie monocorde e ipnotico di John Lee Hooker, un idolo con cui erano riusciti a collaborare. Tra i loro successi Going up the country, che è tra i primi brani che si ascoltano nel film di Woodstock, Let’s work together (un classico di Wilbert Harrison poi ripreso da Bryan Ferry come Let’s stick together) e soprattutto On the road again (che sarebbe stata trasformata in un inno «galactico» dagli argentei Rockets una decina d’anni dopo). La band aveva due leader, due... animali. «The Bear» era Bob Hite, corpulento cantante dalla voce potente, soprannominato l’orso, ovviamente, per la sua stazza. «Blind Owl» era Alan Wilson, chitarrista, armonicista, esegeta del blues, dotato di una voce stridula, perfino sgradevole tanto da risultare unica e affascinante. Era ipovedente, si direbbe oggi, ma all’epoca John Fahey, un grande della chitarra, gli appiccicò senza troppi complimenti il nomignolo «gufo cieco». Tra i due, le probabilità di morte erano sicuramente più dalla parte di Hite, obeso e incline ad eccessi che mettevano a dura prova il suo fisico appesantito. Invece no. Fu proprio vicino alla casa del cantante che venne ritrovato il corpo privo di vita del compare, la mattina del 3 settembre del 1970. Wilson, che voleva vivere in simbiosi con la natura, spesso dormiva all’aperto, nei boschi. L’autopsia parlò di un’intossicazione acuta di barbiturici, ma gli amici sapevano che aveva già tentato il suicidio lanciandosi con la sua automobile a rotta di collo fuori dall’autostrada ed era stato anche ricoverato per curare uno stato di depressione che il pubblico non sapeva cogliere durante i concerti.

Quella straziante rilettura

Alan Wilson era un musicista noto e apprezzato, ma mai quanto Jimi Hendrix, autentica e incontrastata «rising star» della scena planetaria. Era stata la sua chitarra a chiudere Woodstock, inserendo tra i successi anche quella rilettura straziante dell’inno nazionale statunitense che evocava gli orrori della guerra in Vietnam. Originario di Seattle, stato di Washington, aveva trovato una seconda casa in Inghilterra, dove le sue innovazioni sullo strumento avevano fatto gridare al miracolo. Soffocò nel sonno due settimane dopo Blind Owl, la notte del 18 settembre, a Londra. Aveva bevuto, come sempre, e si era impasticcato, come sempre e qualcosa andò storto, irreparabilmente.

«È riuscito a battermi anche in questo», commentò la notizia della scomparsa di Jimi una Janis Joplin con vena forse troppo caustica e, involontariamente profetica. Altre due settimane, la data è il 4 ottobre, e il mondo avrebbe perso davvero anche lei, «The Pearl» stroncata da un’overdose di quella che, si apprese in seguito, era una partita di eroina – killer che stava circolando per Los Angeles in quei giorni. La sua voce drammatica aveva illuminato il festival di Monterey e la sua performance a Woodstock, anche se non era al top della forma proprio a causa dei suoi eccessi, fu comunque memorabile.

Una drammatica scia

Una drammatica scia di decessi che sarebbe proseguita, nel 1971, con quello misterioso di Jim Morrison, in una vasca da bagno a Parigi. Tutti ventisettenni, tanto che qualcuno diede vita al macabro «Club 27» a cui sono stati «iscritti» anche Ron «Pigpen» McKernan dei Grateful Dead, Kurt Cobain, Amy Winehouse e, retroattivamente, il bluesman Robert Johnson, morto nel 1938, quando «rock’n’roll» era un termine gergale e scurrile che si incontrava nei testi blues e il piccolo Charles Hardin Holley, in seguito Buddy Holly, aveva solo due anni.