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Il sogno infranto dell’ultimo scià di Persia

L’esperto di politica internazionale Francesco De Leo riannoda la biografia di Reza Pahlavi
Reza Pahlavi governò l’Iran dal 1941 fino all’11 febbraio 1979
Adam Smulevich
13.02.2019 16:37

Gli anni svizzeri, nel prestigioso collegio Le Rosey sul lago Lemano, furono quelli decisivi per la sua formazione. Apertura al mondo, confronto con i valori europei, l’attrazione fatale per la modernità: l’ultimo scià fu anche il primo, nei 2500 anni di storia della monarchia persiana, ad essere educato fuori dall’Iran.

Un presagio di quel che in età più avanzata avrebbe subito in prima persona con il crollo di un sistema di potere consolidato e con la conseguenza dell’esilio? In concomitanza col quarantesimo anniversario dalla Rivoluzione islamica, Guerini e Associati propone un testo che offre molti spunti sulla figura di Mohammad Reza Pahlavi (1919-1980). Si intitola per l’appunto L’ultimo scià d’Iran e ne è autore il giornalista Francesco De Leo, voce di Radio Radicale che da tempo segue le principali questioni di politica internazionale. Ieri sono caduti i 40 anni esatti dalla resa dell’esercito reale, momento simbolicamente scelto per marcare il cambio di rotta. Un balzo indietro di secoli, ricostruiscono le tante voci ascoltate da De Leo: fondamentalismo religioso, repressione dei diritti fondamentali, una politica estera votata allo scontro. Diceva l’ultimo scià: «Speravo di veder diradate per sempre le tenebre medievali da cui l’Iran era stato strappato da appena mezzo secolo e che s’instaurasse il regno di quella luce che è l’essenza stessa della civiltà e della cultura iraniane. Durante tutto il mio regno ho vissuto unicamente per attuare questo sogno che stava diventando realtà» Ed è una speranza cui si aggrappa Farah Diba, ultima Imperatrice di Persia, che al giornalista ha concesso un lungo colloquio nella sua casa parigina. Sulla stessa lunghezza d’onda gli altri intervistati: dal pianista Ramin Bahrami, che scappò dal Paese a 11 anni dopo che suo padre fu assassinato con l’accusa di essere un oppositore, all’attivista Arash Moghadam Aslanpour, imprigionato per le sue idee e fuggito nel 2018 in Turchia. Preziose inoltre le ricostruzioni di due diplomatici che furono testimoni della fase crepuscolare della monarchia: Umberto Vattani, che nel 1978 accompagnò in Iran l’allora ministro degli Esteri italiano Arnaldo Forlani, e Amedeo de Franchis, che dal ’70 al ’76 fu Primo Consigliere all’Ambasciata d’Italia a Teheran. Non un quadro di sole luci, quello dell’esperienza di governo del secondo e ultimo monarca della dinastia Pahlavi. Come racconta la studiosa berlinese Daniela Meier nel saggio The career of a Swiss Gardener at the royal court in Iran, nel collegio svizzero nascerà infatti un rapporto profondo con un cittadino elvetico di assai più umile origine: Ernest Perron, il figlio del giardiniere dell’istituto, che lo introdurrà alla lingua e letteratura francese. Dello scià diventerà il più stretto consigliere, seguendolo a Teheran, ma dallo stesso sarà poi scaricato senza troppi problemi alcuni anni dopo in un impeto assolutista. Il libro di De Leo racconta quello che c’era e quello che è stato distrutto dagli ayatollah. Attenzione però, ci ricorda l’autore, a ritenere del tutto fuorigioco una storia plurimillenaria. «L’Iran senza lo scià non ha stabilità» cantavano infatti i manifestanti che alla fine del 2017 scendevano in piazza per la crisi economica. Forse grida disperate di chi ha smarrito la fiducia nel futuro, ma fino ad allora slogan a favore dei Pahlavi non si erano mai sentiti nella Repubblica islamica.