Il Trittico di Segantini metafora del sublime

Basterebbe evocare la potenza del Trittico di Segantini per cogliere l’importanza del nuovo allestimento del MASI ispirato al «sublime» nella pittura, nell’arte e come concetto estetico. Sfruttando opportunamente l’eccezionale disponibilità della monumentale opera con la quale il maestro delle Alpi creò il capolavoro che costituisce la completa rappresentazione della sua concezione del mondo ( già fulcro della precedente mostra «Hodler-Segantini-Giacometti» ma ancora in trasferta, per la seconda volta in cento anni dalla sua abituale «casa» di St. Moritz attualmente in ristrutturazione dove la Fondazione Gottfried Keller lo ha saggiamente depositato, fino alla fine del 2019) il museo luganese ne valorizza la straordinaria presenza sulle rive del Ceresio con un lungo excursus sul mondo alpino, sulle sue suggestioni e sui suoi sublimi rapimenti, dai romantici ai contemporanei. Un viaggio composto da una sessantina di opere e che si apre con un grande protagonista del romanticismo europeo: William Turner. Nella pittura svizzera il paesaggio romantico è quello alpino, rappresentato in mostra anche da Alexandre Calame e dal giovane Ferdinand Hodler, prima del profondo rinnovamento pittorico che svilupperà a fine secolo. La maestosità, l’imponenza e il mistero rendono il soggetto della montagna perfettamente coerente con il sentimento di smarrimento e contemplazione ricercato dai pittori romantici e, difatti, nell’Ottocento, le vette alpine diventano un motivo ricorrente anche al di fuori dei confini elvetici. Per gli svizzeri l’iconografia della montagna assume presto anche una valenza identitaria: con la nascita nel 1848 della Confederazione moderna, il paesaggio montano si lega strettamente a un sentimento di coscienza nazionale, rispetto ai rari aneddoti storici o ai personaggi mitologici, con cui s’identificavano gli altri Paesi europei. Non è un caso che Segantini eserciti negli stessi anni una forte influenza sia su pittori elvetici come Giovanni Giacometti, in mostra con la bellissima tela Sera sull’alpe del 1908, sia su giovani artisti italiani. Tra questi Umberto Boccioni, qui presente con un importante nucleo di opere appartenenti alla donazione Chiattone. Prima di abbracciare il rivoluzionario linguaggio futurista, Boccioni risente della lezione segantiniana e realizza una serie di tele divisioniste, dove natura e paesaggio sono assoluti protagonisti.
D’altronde come scrivono le curatrici dell’esposizione, Cristina Sonderegger e Francesca Benini : «Il senso di sublimazione si ritrova anche nel paesaggio e nella vita rurale dipinta dai pittori ticinesi, nonostante si possa costatare una generale propensione a visioni naturalistiche dal carattere più intimo e tese alla realtà di valle». Filippo Franzoni, grazie alle sue frequentazioni e ai suoi legami con le istituzioni artistiche svizzere, è da considerarsi tra i pittori ticinesi maggiormente attenti alle tendenze nazionali. L’artista interpreta i paesaggi locarnesi – la valle Maggia in Cimalmotto e nella grande tela Sera a Lodano o i boschi e le rive intorno al Lago Maggiore ritratti nei Saleggi di Isolino – come stati d’animo, aprendosi a una sensibilità simbolista vicina alle opere dei colleghi d’oltralpe. Una simile attenzione alla cultura artistica svizzera che si riscontra anche nei dipinti di Luigi Rossi e Edoardo Berta. Nei paesaggi montani di Rossi le figure rurali sono portatrici di quei valori esistenziali vicini al modello segantiniano, anche se contraddistinti da una specificità e una valenza identitaria ticinese. In questo senso è interessantissima anche l’opera fotografica di Roberto Donetta nella quale è documentata la vita della valle di Blenio. Ancora immersa pienamente nella civiltà contadina, è una realtà in mutamento verso la modernità, di cui l’inquieto fotografo bleniese coglie non solo gli aspetti paesaggistici ma soprattutto quelli umani. Il significato simbolico e identitario di cui è stato investito il soggetto alpino in Svizzera comporterà la sua presenza anche nell’arte del Novecento, in parte promossa dal fiorente settore turistico. La continua declinazione del «sentimento della montagna» e la sua costante inclusione nella cultura popolare contribuisce a creare uno stereotipo che sarà ripreso in chiave ironica in molte opere di artisti svizzeri contemporanei, ad esempio nell’assemblaggio intitolato Oh Ubi di Lutz e Guggisberg. Nell’arte contemporanea svizzera il mondo della montagna non trova spazio soltanto nelle letture sarcastiche e stereotipate ma, proprio perché in fondo è elemento di coesione, si ritrova con un valore poetico nel percorso di molti artisti. Balthasar Burkhard nelle fotografie del Bernina ne ripropone, ad esempio, la forza romantica. Not Vital, da sempre legato all’Engadina, lo traspone in molte delle sue opere come, ad esempio, nell’installazione composta da «palle di neve» in bronzo patinato di bianco che, insieme ai suggestivi lavori della coppia Studer/van der Berg dal progetto Hotel Vue des Alps, chiude il percorso espositivo. Al centro di tutto, in originale dialogo con l’omaggio cineartistico di This Brunner (vd. sotto), la maestosità anche fisica, materiale e visiva delle tre tele di Segantini riporta tuttavia sempre il visitatore a quell’apoteosi di alpino panteismo capace di coniugare superbamente simbolismo e divisionismo con la tecnica e con le emozioni. Poter contemplare dal vivo la forza di quella luce, magari cogliendone da pochi centimetri gli sbalorditivi accorgimenti tecnico- pittorici utilizzati da Segantini è già di per sé un’avventura nel sublime senza il bisogno di frequentare o amare i paesaggi dell’ Alta Engadina che come scriveva il pittore in una lettera del novembre 1897 dove manifestava l’intento di elaborare un progetto così grandioso : «è la più varia e ricca di bellezze che io conosca».
L’omaggio di This Brunner
Il dialogo è di quelli da far tremare i polsi, da strabuzzare gli occhi, da mettere in subbuglio le anime dei visitatori. Volutamente proprio di fronte al Trittico della Natura la mostra del MASI propone, spiazzante ed ammaliante, l’installazione di This Brunner Die magische Bergwelt in den Filmen von Daniel Schmid ( a lato un fotogramma, © ProLitteris, Zürich) costituita da una sequenza di scene tratte da quattro capolavori di Daniel Schmid. Matthias, This, Brunner (1945) per vent’anni curatore della sezione Film Tributes di Art Basel, esprime perfettamente l’idea e il sentimento, tra amore e morte, che Schmid aveva per le Alpi, nei quali trovano posto il kitsch e il folclore ma anche il dramma e la storia. Un’installazione composta da dieci schermi e da una grande proiezione (che ha praticamente le stesse dimensioni della tela centrale di Segantini, La Natura) sui quali si vede scorrere una sequenza di scene tratte da quattro capolavori di Daniel Schmid: La Paloma (1974); Violanta (1977); Jenatsch (1987) e Beresina – oder die letzten Tage der Schweiz (1999). Schmid (1941-2006), grigionese cosmopolita, crebbe lui stesso a contatto con le splendide Alpi svizzere e la foresta di Flims. La componente estetica nel cinema di Schmid contribuisce a creare una visione magica del paesaggio alpino, che naturalmente non manca dell’ironia provocatoria per cui il regista si è sempre distinto. Una visione del nostro paesaggio tra idealizzazione, magia e realtà o, in altre parole, una visione «sublime» che collocandosi al centro della mostra restituisce una visione delle Alpi svizzera tra idealizzazione, magia e realtà. E chissà cosa ne direbbe Segantini...