«In Catalogna viviamo in una sorta di regime»

Lo spagnolo Ildefonso Falcones nato a Barcellona sessantuno anni fa, parla con un po’ di fatica. «Non godo più di buona salute come quando ho iniziato il libro – ci confida durante l’incontro che abbiamo avuto con lui qualche settimana fa in occasione della rassegna «Pordenonelegge» – ma ho portato ugualmente avanti il mio lavoro anche se solo battere i tasti della tastiera del computer in certi giorni era molto impegnativo per me. Ma ora sono qui, e combatto anch’io, come i miei protagonisti, una battaglia incerta e dura. La malattia mi ha privato di molte forze ma non mi ha tolto la mia grande fiducia in un futuro ancora pieno di salute e prospettive».
Pallido e smagrito, la voce un po’ flebile, il volto incavato e stanco a causa della lotta contro un tumore che sta portando avanti da oltre un anno con grande tenacia, aggiunge: «Amo la storia, e ho avuto la fortuna che mi fosse pubblicato come opera prima un romanzo storico che s’intitola La cattedrale del mare, e così ho deciso di proseguire su quella scia. Attraverso lo studio, il lavoro di documentazione e l’approfondimento, riesco a trasportare il lettore entro l’epoca che racconto. I dettagli descrittivi che riassumono il mio percorso, sono lo scenario che incuriosisce il lettore al di là della trama».
Specializzato in grandi romanzi che riportano il passato nell’ottica d’una narrazione densa di riferimenti storici, Ildefonso Falcones, scrittore e avvocato specializzato in Diritto civile, nel quinto romanzo, Il pittore di anime (vedi scheda) racconta la Barcellona dell’inizio del Novecento, quando personaggi come Antonio Gaudì erano maestri di assoluta bellezza in tempi di rivolte e sommosse operaie in opposizione alla guerra coloniale – la settimana tragica del 1909 – che culminarono in orrende repressioni per ordine di Madrid. Emma e Dalmau, entrambi fidanzati di umili origini, si separano mentre infuriano gli scontri, e ognuno dei due prende strade diverse. La loro storia d’amore è piena d’avventure e di momenti d’intensa passionalità.
«Sono anch’io come i miei personaggi – confessa Falcones – devo combattere finché non mi considereranno guarito. Il male contro cui combatto è un nemico infido e mi sto opponendo alla sua avanzata con tutte le mie forze. Spero di vincere la mia battaglia, così come i miei personaggi che facevano parte dei 140 mila operai in rivolta la cui rabbia era orientata nei confronti del clero che a quel tempo esprimeva un enorme potere.


Barcellona madre del modernismo artistico ma anche culla di sanguinarie soppressioni?
«Con il mio romanzo volevo dare una visione più ampia del cosiddetto movimento del modernismo che poi portò alla creazione del Liberty. Alla Barcellona dell’inizio del ventesimo secolo, alla fioritura di ricchezza e magia, di opulenza e di talento, si contrapponeva una Barcellona di reietti fatta di miserabili. Diecimila bambini erano costretti a vivere di espedienti abbandonati a sé stessi nelle strade perché le famiglie non erano in grado di mantenerli. La situazione delle donne in particolare era molto dura, cruda, e non avevano altra scelta che prostituirsi per cercare di contribuire all’economia delle proprie famiglie. Queste erano le due facce di Barcellona: la ricchezza ostentata della borghesia e la miseria totale che diventa sfondo magnifico per una rivolta».
Ha mai pensato di scrivere un romanzo ambientato ai nostri giorni nella Catalogna scossa da moti indipendentisti? Lei è pro o contro la secessione?
«Sono profondamente contrario a quella sorta di regime che si è instaurato in Catalogna, e a certe correnti che si respirano. Sì, potrei scrivere dell’attualità, ma penso che così mi metterei a fare concorrenza al giornalismo scritto, televisivo e dei social media. E penso che un cambiamento di registro verrebbe percepito dai miei lettori come una svolta poco gradita».



Uno come lei che non scrive in catalano ed è contrario all’indipendenza della Catalogna, come vive a Barcellona?
«Per le autorità catalane io non sono uno scrittore e non rientro nelle loro cosiddette liste ufficiali. Faccio un esempio: qualche tempo fa la fiera del libro di Parigi ha scelto e invitato la città di Barcellona a partecipare alla rassegna, ma a me non è stato chiesto di andare. Esclusioni di questo genere si sono ripetute anche in altre occasioni. L’indipendentismo catalano che in questo caso assume la forma di un vero e proprio nazionalismo radicale porta a questo tipo di opposizioni che sappiamo quanto possano essere dannose».
Vogliono soffocare la cultura di lingua spagnola?
«L’idea predominante è che solo ciò che è catalano è buono, e questo è in aperta contraddizione con tutto ciò che è stata la storia di Barcellona e della Catalogna in generale, sempre immersa in un contesto europeo. Barcellona è arrivata ad essere la città universale che è, ricca, opulenta e meravigliosa grazie al fatto che si è sempre abbeverata alle altre culture e civiltà. Ora invece si sta richiudendo in sé stessa. Quella che si sta imponendo è una visione opposta, contraria: tutto ciò che non è catalano, non ha valore».
Dalla Cattedrale del mare, il suo primo romanzo, è stata tratta una serie televisiva: è stato soddisfatto del risultato?
«Sì, sono rimasto soddisfatto del lavoro che hanno fatto. I bisticci di cui sento parlare tra autori, registi e produttori mi fanno un po’ ridere perché si tratta di un’altra forma d’arte alla quale bisogna lasciare la propria libertà inventiva. L’interessante è che lo spirito dell’opera venga rispettato e mantenuto».
Il libro

Barcellona, 1901. La città attraversa un momento di estrema tensione sociale: la miseria delle classi più umili si scontra con il lusso dei grandi viali, nei quali originalissimi edifici appena sorti o in costruzione annunciano l’arrivo di una nuova e rivoluzionaria stagione artistica, il Modernismo. Dalmau Sala, figlio di un anarchico giustiziato dalle autorità, è un giovane pittore e ceramista che vive intrappolato tra due mondi: da un lato quello della sua famiglia e di Emma Tàsies, la donna che ama, entrambe attivamente impegnate nella lotta operaia; dall’altro, quello del lavoro nella fabbrica di ceramiche di don Manuel Bello, il suo mentore, ricco borghese dalla incrollabile fede cattolica. Nel Pittore di anime, Ildefonso Falcones tratteggia il meraviglioso arazzo di un’epoca convulsa, nel quale l’amore, la passione per l’arte, le rivolte sociali e le vendette personali si fondono in un intreccio emozionante, il ritratto di una Barcellona capace di ribellarsi al grigio potere della tradizione, dimostrando ancora una volta un’innegabile maestria nel tessere personaggi vividi e avventure straordinarie sullo sfondo della Storia di cui è appassionato e attento studioso.