Classici

Ippocrate, il primo vero medico

Le pagine più importanti delle opere di un gigante del pensiero scientifico dell’antica Grecia vengono proposte da Einaudi in una prestigiosa antologia a cura di Carlo Carena che ne evidenzia la modernità del metodo e l’emancipazione da ogni influsso magico e religioso
Galeno e Ippocrate, padri della medicina, come sono raffigurati su un affresco del XII secolo nella cattedrale di Anagni.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
16.12.2020 06:00

Sarebbe interessante sentire almeno la sua opinione. Chi in quest’epoca di pandemie, negazionisti di ogni risma e no vax dilaganti non sarebbe curioso di conoscere il pensiero in merito del padre nobile della medicina, quell’Ippocrate con le cui parole ancor oggi a duemilacinquecento anni di distanza giurano (perlomeno in occidente) coloro che cominciano ad esercitare la più delicata e fondamentale delle professioni? Una risposta ci arriva dalla prestigiosa e tempisticamente perfetta antologia einaudiana L’arte della medicina in cui, a partire dal famoso Giuramento, l’insigne classicista e filologo Carlo Carena ha selezionato, tradotto e commentato le pagine più importanti delle opere di Ippocrate. Un gigante del pensiero scientifico dell’antica Grecia, che basò ogni discorso medico sulla conoscenza dell’uomo e della natura. Certo, presentare e leggere oggi gli scritti di un medico di venticinque secoli fa può sembrare una provocazione o un’impresa noiosa e inutile. Cosa ne sapevano allora, quando, sconosciuta la chimica, le medicine erano solo le erbe dei campi, i cavoli degli orti e le foglie degli alberi? E per la chirurgia non c’erano che coltelli e tamponi rustici?

Filosofia della salute

Ma fu proprio allora che comparve sulla scena un vero scienziato, che intervenne appunto con i pochi mezzi a sua disposizione, ma soprattutto diede inizio a una vera scienza spazzando via maghi e streghe e la collegò con la filosofia. Ippocrate (460 a.C. - 377 a.C. circa) lasciò un’eredità di decine e decine di trattati, in parte genuini, molti della sua scuola, giunti fino a noi, e che ne ricoprono molti, se non tutti gli àmbiti: le malattie delle donne e dei bambini, le epidemie delle città e le fratture delle ossa, la natura dell’uomo e la dieta più conveniente, la varietà dei climi, delle acque, dei venti e così via. La medicina secondo lui era «la più insigne di tutte le arti»; se non è considerata tale, la colpa è di chi la esercita, poiché «fra i medici, molti lo sono di nome e assai pochi di fatto». Il che era secondo lui un sacrilegio. Si raggiunge questa scienza, oltreché per predisposizione naturale, mediante un ambiente appropriato, un’educazione ottenuta sin dall’infanzia, e lavorando e studiando devotamente.

Come si vede, una concezione altissima e un’applicazione totale allo stabilimento e alla conservazione di quello che in fondo (e oggi lo capiamo ancora meglio) è il bene umano più prezioso, la salute.

«Lo stesso Ippocrate - ci spiega Carlo Carena - descrive più volte il medico ideale e il suo comportamento come quello di una persona ben vestita ma non sgargiante, discreta e signorile ma non arcigna. Deve saper curare ogni malattia con gli strumenti adeguati, bende, fasce, pinze; ma, conscio delle possibilità limitate della propria attività, deve rispettare sommamente dio. Visiti frequentemente i suoi pazienti e li esamini accuratamente; badi che negli ambienti dove giacciono non penetrino rumori e odori. L’ambiente casalingo ed esterno dove viviamo assume una grande importanza agli occhi di Ippocrate. Cambia molto se si sia d’inverno o d’estate; e non hanno i medesimi effetti il vivere esposti a oriente o a occidente; se si dispone di acqua sorgive o paludose, acide o dolci; se si appartiene a una popolazione che ama l’ozio o il lavoro, lo sport o i banchetti.

Un regime di vita salubre deve comprendere in inverno molto cibo, anzi “quanto più è possibile, ma bere vino quanto meno”; e pane, carne sempre cotta, pochissima verdura; cibi leggeri invece in primavera, senza pane e con bolliti anziché arrosti; e in autunno cibi secchi. In inverno, poi, passeggiare lesti, in estate calmi».

Celebri aforismi

Ma infine, l’uomo intelligente, può e deve provvedere egli stesso nelle sue malattie. Tutto Ippocrate è sparso perciò di detti efficaci e sintetici, culminando nell’opera più famosa dell’intero Corpo ippocratico: gli Aforismi, ossia una serie di detti memorabili su materie mediche, per una cinquantina di pagine. Ancora oggi si sentono citare il primo e l’ultimo: «La vita è breve, l’arte vasta, l’occasione rapida, l’esperienza fallace, il giudizio arduo... Ciò che non curano le medicine, cura il ferro; ciò che non cura il ferro, cura il fuoco; ciò che non cura il fuoco, bisogna giudicarlo incurabile».

Da questi Aforismi deriva anche l’espressione «A mali estremi, estremi rimedi». E poi altri consigli: «Se si ha fame, non affaticarsi... Per far sparire la fame, una forte bevuta... Grande corporatura in gioventù ha una sua nobiltà e grazia, in vecchiaia è disagevole e dà più guai della piccola». Ed ecco una descrizione dell’intero arco delle nostra vita sotto il profilo fisico e patologico, in cui ci riconosciamo per esperienze personali: ai piccoli e ai neonati avvengono afte, vomiti, tossi, insonnie; un po’ più avanti nell’età tonsilliti, asma, vermi, gonfiori; in vicinanza della pubertà febbri ed emorragie al naso; gli adolescenti subiscono anche febbri acute; col procedere del’età si hanno poi asma, pleuriti, polmoniti, diarree, colera, emorroidi; e nei vecchi difficoltà respiratorie, catarri con tosse, dolori articolari, pruriti, insonnie, vista offuscata e ottusità d’orecchi.

Le parole del Giuramento

Agli Aforismi finali corrisponde in apertura del Corpo ippocratico il Giuramento del medico, rivisto e riproposto ancora nel 1948 dall’Organizzazione mondiale della Sanità a Ginevra e che in molte Facoltà di Medicina gli studenti recitano al conferimento del diploma di laurea. Vi si dice così: «Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli dèi e dee che riterrò il mio maestro pari ai miei genitori. Userò i regimi di vita a beneficio dei sofferenti secondo le mie capacità e il mio giudizio, astenendomi dal nuocere e far torti. Non darò mai a nessuno un farmaco mortale, nemmeno se richiesto, né mai lo suggerirò. Manterrò pura e santa la mia vita e la mia arte. Quanto vedrò e udirò nell’esercizio della professione, se sono cose che non si devono divulgare le tacerò al pari di un segreto sacro. Se manterrò questo giuramento senza violarlo, ch’io possa godere della mia vita e della mia arte, onorato sempre da tutti».