Musica

Jack Savoretti: «Canto per gli sconosciuti e spero che diventino amici»

L’artista britannico cresciuto in Ticino racconta l’imminente nuovo album
Jack Savoretti. (Foto Reguzzi)
Antonio Paolillo
Antonio Paolillo
06.03.2019 06:00

Jack Savoretti, cantante britannico di origini italiane dalla voce calda e trascinante. Una persona genuina, simpatica, che ama ciò che fa e trasmette passione nelle sue canzoni. Per lui un ritorno a casa quello del prossimo 7 maggio al Palazzo dei Congressi di Lugano: per la prima volta in concerto in Ticino (ore 20.30, prevendite www.biglietteria.ch). Ma indubbiamente non è nuovo a questi luoghi, avendoci passato buona parte dell’adolescenza. La data è parte del tour promozionale del suo nuovo album, Singing to Strangers, che lo porterà in giro per i palchi di tutta Europa. Il disco uscirà il prossimo 22 marzo sotto la BMG Records, e susciterà non poche emozioni grazie al pathos che Jack ha riversato al suo interno. Lo abbiamo incontrato negli studi radio RSI di Lugano, prima del recente showcase a Rete Tre, e gli abbiamo posto alcune domande sul suo lavoro e sulla sua vita ticinese.

Jack Savoretti, parliamo del nuovo disco. Come nasce Singing to Strangers? Come mai questo titolo?

«L’album prende il nome dalla canzone omonima, anche se in realtà la storia è andata esattamente al contrario: è stata la prima volta che ho scritto la canzone dopo aver dato il titolo all’album. L’idea è sempre stata quella di intitolarlo così, che è il modo in cui una volta mia figlia ha descritto il mio lavoro ad una sua amica, dicendole “mio papà canta agli sconosciuti”. Ho trovato molto bella questa descrizione. Alla fine dei conti è vero, ha ragione, il mio lavoro è questo, intrattenere degli sconosciuti e far sì che una volta andati via dal mio show si sia instaurato un rapporto, che diventassimo amici e non fossimo più, per l’appunto, sconosciuti. Ho costruito l’album intorno a questa idea. Volevo poi aggiungere un po’ di teatralità e spettacolo, dato che il risultato sonoro era abbastanza corposo, ed ho pensato di scrivere una canzone molto personale che avrebbe sia spiegato il titolo di quest’album, sia creato un momento introspettivo al momento di introdurla durante lo spettacolo. Così io e il mio chitarrista, Pedro, ci siamo seduti e l’abbiamo scritta».

In passato hai vinto due dischi d’oro per gli album Written in the Scars e Sleep No More. Cosa ti aspetti da questo nuovo lavoro?

«Io non mi aspetto mai niente, chi lavora con me si aspetta un altro disco d’oro (ride). Io onestamente ho la fortuna di avere sempre pochissime aspettative, e penso che averne molte porti solo delusione. Realisticamente quasi mai si raggiungono davvero le aspettative del nostro immaginario. Non lo so, spero che questo album abbia delle buone risposte, la prima canzone già sta andando molto meglio di quello che immaginavo, soprattutto in Inghilterra. In fin dei conti però il motivo per fare un album è dare qualcosa alla gente, fare in modo che questa riesca ad appropriarsene e a connettersi con chi ha lanciato il messaggio. Questo album sarà una sfida anche da portare sul palco: è molto intenso».

In Candlelight, primo singolo dell’album, si percepiscono molte influenze di musica italiana. Nelle altre canzoni invece vari molto, spaziando tra il blues, il country, il cantautorato e il folk. Quali sono le tue influenze principali, quelle che ti hanno spinto a fare musica?

«Ciò che mi ha fatto immergere nel mondo della musica sono stati sicuramente i classici provenienti dalla New York e dalla California degli anni ’60, come James Taylor e Joni Mitchell, e in generale la musica americana di quel periodo. A casa mia c’è sempre qualcuno di loro che suona in sottofondo. Di recente ho ricominciato ad ascoltare tantissima musica italiana, della quale mi affascinano molto le produzioni dei primi dischi di artisti come Patty Pravo, Lucio Battisti e De Andrè specialmente. La cosa interessante di questi dischi è l’arrivo della musica rock’n’roll all’interno del cantautorato. In America si era visto marcatamente nel soul, con ad esempio Marvin Gaye, che i cantanti, accompagnati in precedenza solo da orchestre, a un certo punto avevano in un angolo anche una band con batteria, basso e chitarra, che dava ritmo. Questo ha cambiato molto la musica, e mi piace molto questo orientamento che ha avuto la musica italiana, ed europea in generale, verso il rock’n’roll».

Nell’album ci sono due collaborazioni importantissime: una con Bob Dylan per la scrittura di Touchy Situation, ed un duetto con Kylie Minogue in Music’s Too Sad Without You. Come è andata?

«Sono storie molto diverse tra loro. Con Dylan tutto è nato tramite il mio manager americano: io dovevo scrivere con Steve Earle, un cantautore che ammiro molto, ma ha cancellato una settimana prima che ci incontrassimo. Credo che i suoi manager si siano sentiti un po’ in colpa, così mi hanno detto di aver trovato una valigia in ufficio con delle liriche di Bob degli anni ’90 mai utilizzate, e che cercavano artisti che avrebbero voluto arrangiarle. Io mi sono dimostrato interessato, ma pensavo che non mi sarebbero mai arrivate, che fosse solo un modo per chiedere scusa. Due giorni dopo, invece, mi arriva una email con due poesie firmate Bob. È stata un’emozione fortissima, ma la cosa mi faceva un po’ paura. Mia moglie ha letto con me l’email e mi guardava come dicendomi “ti prego non rovinare una canzone di Bob Dylan” (ride). Allora ho iniziato a lavorarci, ma qualsiasi cosa facessi sembrava una sua canzone, quindi mi son dovuto staccare e far finta di averle scritte io. Così sono riuscito a fare mia la canzone. Con Kylie, invece, stavamo facendo una colonna sonora per un film irlandese che si chiama Hello Daddy, e dovevamo fare una cover. In studio però abbiamo deciso di fare una canzone nostra, così abbiamo scritto Music’s Too Bad Without You».

Hai passato parte della tua vita in Ticino, cosa ricordi di quel periodo?

«Ho passato qui circa dieci anni. Il mio ricordo più bello del Ticino è il paese di Carona, dove sono cresciuto. È stato un posto favoloso, per me e la mia famiglia, avevo all’incirca nove o dieci anni quando sono arrivato e l’ho subito trovato una meraviglia, anche per l’affetto della gente. Un altro ricordo bellissimo è quello della TASIS (The American School in Switzerland), la scuola che ho frequentato, dove ho trovato il mio amore per la musica e tutti gli amici veri che ho adesso. Frequentavamo anche un bar a Gentilino di un signore che era come uno zio per tutti gli studenti della scuola americana, il nostro migliore amico. Andavamo spesso anche al parco sul Lungolago di Lugano, e al posteggio di via Motta, dove passando prima (era il giorno dello showcase a Rete Tre. ndr.) ho visto dei ragazzini lì ad ascoltare musica, come facevamo noi anni fa».