Musica

Jackson 5: cinquant’anni fa la nascita di un mito

Nel dicembre del 1969 la Motown pubblicava, con prefazione dell’allora sua principale diva, Diana Ross, l’album d’esordio dei cinque giovanissimi fratelli dell’Indiana tra i quali già brillava la stella dell’undicenne Michael, il futuro «King of Pop»
Alessio Brunialti
19.12.2019 06:00

Sono passati 50 anni da quando, nel dicembre 1969, usciva un disco sulla cui copertina Diana Ross presentava l’ultima scoperta della sua label, la Motown. Erano cinque giovani fratellini, che di lì a poco avrebbero rivoluzionato il mondo della musica, i Jackson 5, tra le cui file già risaltava l’undicenne Michael, poi diventato il re del pop. «Onestà è sempre stata una parola molto speciale per me, un’idea molto speciale. Non intendo per forza quel tipo di onestà che contraddistingueva Abraham Lincoln secondo i nostri libri di storia, sia chiaro, ma è un buon esempio». Parole di Diana Ross, vergate nel 1969 quando la cantante era la stella più luminosa della Motown, la casa discografica che aveva portato la black music in cima alle classifiche bianche di un’America dove – giusto un anno prima – Martin Luther King aveva trovato la morte, «colpevole» di predicare il riscatto degli afroamericani. «I Jackson 5 cantano con onestà. Semplicemente, non c’è trucco, non c’è inganno. Tutto di questi ragazzi mi dice “onestà”. Che stiano cantando Smokey Robinson o i Beatles o un vecchio standard, mostrano una professionalità e un’onestà innate, che dicono tutto». Poi Diana li passa in rassegna: «Jackie ha 16 anni, Toriano 14, Jermaine 13, Marlon 12 e Michael 11». Ma la cantante delle Supremes non era stata del tutto onesta presentando questa giovane band di Gary, Indiana. Intanto non era stata lei a scrivere queste note di copertina, ma qualcuno dello staff dell’etichetta del suo compagno, Berry Gordy. Ed era stato quest’ultimo, dopo averli tenuti a maturare un paio d’anni, a intuire le potenzialità dei fratelli Jackson, sostenuti da un padre – padrone che li aveva allenati allo show business fin dall più tenera età. E così intitolare l’album d’esordio, pubblicato appunto il 18 dicembre del 1969, mezzo secolo fa.

Michael Jackson con Diana Ross
Michael Jackson con Diana Ross

Un padre dispotico ma visionario
Sicuro è che, un giorno, Gordy andò da Diana tenendo per mano un bimbo che venne affidato alla cantante perché gli insegnasse qualche trucco del mestiere, ma soprattutto per allontanarlo dal padre, Joe Jackson. Aveva lavorato in un’acciaieria e aveva un passato da pugile (una mano pesante che sua moglie e la sua numerosa prole avrebbero imparato a conoscere sin troppo bene), ma soprattutto aveva lambito un piccolo momento di celebrità esibendosi come chitarrista nei Falcons, una band senza storia, ma abbastanza per insinuare in questo uomo greve, ma determinatissimo, sogni di gloria che auspicava di raggiungere tramite i suoi figli. Ne aveva avuti nove dalla moglie Katherine, una donna fragile, minata dalla poliomielite, ma dotata di una bella voce da soprano e con studi di pianoforte e clarinetto alle spalle. Quando i primi tre maschi (la primogenita era una femmina, Rebbie Jackson, che sarebbe approdata al palcoscenico più tardi) furono abbastanza grandi per tenere in mano uno strumento, vennero letteralmente obbligati dal padre a imparare a suonare, a cantare e a ballare. Dopo un’altra bambina – La Toya – arrivarono in rapida successione Marlon e Michael (la sequenza si sarebbe interrotta solo dopo altri due figli, Randy e Janet) e fu subito chiaro che quello che, in quel momento, era il piccolino di casa, possedeva un talento superiore a quello di tutti gli altri. Aveva un’intonazione perfetta, si muoveva con un’agilità unica e imparava i passi di danza con una facilità estrema.

Il giovanissimo Jacko
Il giovanissimo Jacko

La vera talent scout
Quando esordirono come The Jackson Five Singing Group, tutte le luci erano su di lui anche se aveva appena otto anni. Trionfavano ai talent show e avevano guadagnato una reputazione sufficiente da permettere all’ambiziosissimo papà Joe di iscriverli al concorso più importante, quello che si svolgeva all’Apollo di New York (lo stesso teatro reso celeberrimo da James Brown, idolo e modello del piccolo Michel). Vinsero, ma, soprattutto, vennero ascoltati da Gladys Knight, un’altra grande voce della Motown, che spedì un nastro di quei ragazzini incredibili al suo boss che, però, li rifiutò (quindi fu, semmai, lei e non Gordy a scoprirli).

Il primo contratto
Un primo contratto con una piccola etichetta locale portò a un paio di 45 giri senza successo mentre i cinque si esibivano anche in locali dove erano assolutamente fuori posto: cosa ci fa un pugno di minorenni in uno strip-club? Joe Jackson non aveva scrupoli quando si trattava di guadagnare: aveva una famiglia numerosa da mantenere e i suoi ragazzi dovevano rendere. Quando furono pronti la Motown tornò sui suoi passi, li affidò al team di autori noto come The Corporation (ovvero lo stesso Gordy con Freddie Perren, Deke Richards e Alphonzo Mizell) che confezionarono una serie incredibile di brani di successo a ciclo continuo. Il primo, I want you back, illumina questo album d’esordio. Qualche anno dopo, nel 1972, Michael avrebbe, a sua volta, debuttato come solista con Got to be there e avrebbe conosciuto un primo successo personale con Ben, tenera canzone dedicata a un topolino – i Jackson 5 avevano anche i loro seguitissimi disegni animati – anche se nulla faceva presagire che un giorno sarebbe diventato the King of Pop. Prima di Thriller e Bad, dei milioni e milioni di dischi venduti, all’origine di tutto c’è questo disco, pubblicato esattamente mezzo secolo fa.

Il disco

A Berry Gordy interessavano le hit e la sua Motown puntava tutto sui singoli. Ci vollero artisti come Stevie Wonder con Talking book e Marvin Gaye con l’epocale What’s going on per convincere il capo che anche gli album erano importanti. Ma “Diana Ross presents the Jackson 5” arriva prima di qulla svolta. Così oltre al singolo del momento - I want you back - gli altri brani sono cover di artisti della casa, dai Four Tops ai Temptations, passando per i Miracles e gli stessi Wonder e Gaye, senza contare una canzone Disney, Zip-a-Dee-Doo-Dah”, visto che si trattava pur sempre di bambini, e un omaggio a Sly Stone con la sua politicizzata Stand, per agganciare anche un pubblico più “engagé”. Su dodici canzoni, solo due non mettono Michael Jackson al centro affidando la parte solistica a Jermaine Jackson: fin dall’esordio Jacko era il re.