Personaggi

Keith Richards, una sobria 75.ennecanaglia del rock’n’roll

«Ho dato un taglio all’alcol» racconta il chitarrista dei Rolling Stones che festeggia il suo compleanno
Keith Richards in concerto con gli Stones a Zurigo nel 2014. (Foto Andrea Gaggioli)
Fabrizio Coli
18.12.2018 14:01

A far notizia, in questi giorni, non è tanto il suo compleanno quanto una sua dichiarazione alla rivista Rolling Stone. Keith Richards, 75 anni, ha dato un taglio all’alcol, da più o meno un anno. « Ho staccato la spina, mi sono stufato », salvo poi sottolineare di non essere diventato del tutto astemio e che se capita, un bicchiere di vino o una birra ancora se la fa. Ben poca cosa per lui, che è uno di quelli che hanno la propria foto alla voce «sregolatezze del rock’n’roll» sulle enciclopedie.

Quel ghigno e quella piega piratesca - non per niente è finito anche nel cast de I Pirati dei Caraibi -, la sigaretta tra le labbra e la Telecaster - o un’altra delle chitarre che ama - a tracolla: Richards è proprio un emblema di tutto quanto è eccessivo in quel grande circo musicale in marcia dagli anni Sessanta, e che è in movimento ancora oggi. Un circo che resiste, pure in questi tempi di musica digitale e di cambi di gusto del pubblico più giovane, grazie al successo planetario degli anni d’oro, talmente enorme che, insieme alla volontà di continuare a calcare con regolarità i palcoscenici mondiali dei suoi protagonisti, ha fatto superare ai Rolling Stones gli inevitabili momenti di crisi di una carriera lunga più di cinquant’anni, facendone una delle più grandi rockband di tutti i tempi.

Il merito è anche di Keith, della sua faccia segnata, dell’aura che lo circonda e del suo modo di suonare. Negli anni Novanta era stata forse la rivista musicale Guitar Player a titolare una copertina a lui dedicata con «tre accordi, tre decenni di rock» (o qualcosa del genere: ce ne scusiamo ma il tempo non passa solo per il buon Keith...). Essenziale e geniale, un cane da tartufo per riff memorabili. La carriera degli Stones ne è piena: da (I can’t get no) Satisfaction a Gimme Shelter, da Brown Sugar a It’s Only Rock’n’Roll, da Tumbling Dice a Sympathy for the Devil. Una lista infinita. Quella «tessitura di chitarre» inaugurata con l’altro membro fondatore, lo scomparso Brian Jones, e poi - con Keith sempre presente nell’equazione - passata per le mani di Mick Taylor e Ronnie Wood, insieme all’irruenza di un frontman stratosferico come Mick Jagger è diventata un marchio inconfondibile degli Stones, tanto quanto la linguaccia del loro logo.

C’è che in questo mondo Keith Richards ci sguazza praticamente da sempre, se è vero che nel 1962, la data ufficiale di fondazione degli Stones, aveva 19 anni. Praticamente mai fatto altro nella vita se non la rockstar, prima aspirante, poi acclamata. Così a ben guardare, lo si perdona pure se ogni aspetto della sua esistenza prende un taglio quasi mitologico, sui media e nei suoi stessi racconti. Da quando è venuto al mondo a Dartford a est di Londra, il 18 dicembre del 1943. Sotto un raid aereo gli raccontava la madre. Lui lo ha riportato nella sua autobigrafia Life uscita qualche anno fa. Non sarà il «crossfire hurricane» di Jumpin’ Jack Flash ma poco ci manca. In qualche modo la strada è segnata.Con i suoi compagni di band, Jagger e Jones e in seguito Bill Wyman e Charlie Watts, ha in comune l’aver contratto una malattia incurabile che infetterà tutti loro e la scena musicale: il blues.

Poi incontri fatidici, come quello con Giorgio Gomelsky visionario impresario che partito da Locarno li incrocia a Londra e li fa suonare al Crawdaddy Club di Richmond, per loro un vero e proprio trampolino di lancio. Tre persone al primo concerto lì: «suonate come fossero cento», dice loro Giorgio profetico «e arriveranno». Di persone alla fine ne sono arrivate ben più di cento. Nel 2006 saranno oltre un milione ad accalcarsi sulla spiaggia di Copacabana per il loro concerto gratuito.

Keith Richards e Ron Wood in un’immagine del 2016 (Foto Keystone)
Keith Richards e Ron Wood in un’immagine del 2016 (Foto Keystone)

I tour faraonici dei Rolling Stones vanno avanti ancora oggi. Keith, la cui vita è stata segnata da droga, alcol, donne («mai avuto problemi con le droghe. Ho avuto problemi con la polizia», è una sua frase spesso citata) pare che con la prima si sia dato una regolata già dal 2006. Dello stesso anno il ricovero in ospedale in Nuova Zelanda, dopo una caduta da una palma e un’intervento al cervello. E ora la regolata all’alcol. Nell’intervista a Rolling Stone dice anche sibillinamente «Era ora di smettere. Proprio come tutte le altre cose». Un addio alla musica? Per ora non sembra, visto che il No Filter Tour degli Stones andrà avanti dal prossimo aprile al prossimo giugno. Poi chissà. Quel che è certo è che chi gli sta intorno, sembra aver apprezzato il nuovo corso. «È un piacere lavorare con lui», ha detto Ronnie Wood nella sopracitata intervista. «È molto più tranquillo e aperto a diverse idee». Perché alla fine Keith Richards non ha bisogno di un bicchiere in mano per rimanere quella simpatica canaglia del rock’n’roll che tutti conosciamo.