Kokoschka, l’espressionista «super selvaggio»

Oskar Kokoschka (Pöchlarn, Bassa Austria 1886 – Montreux 1980) ritorna dopo più di trent’anni al Kunsthaus di Zurigo con un’importante, estesa esposizione: un centinaio di dipinti e altrettante opere su carta, lettere e fotografie. Il risultato è un’indagine ben documentata e completa sul pittore e drammaturgo austriaco, che ha trascorso gli ultimi decenni della sua vita in Svizzera, a Villeneuve, dopo aver attraversato da protagonista e da fuggiasco gli eventi cruciali e terribili della prima metà del Novecento. Talento precoce, esordisce negli anni pieni di speranza e sospinti dall’ansia di rinnovamento culturale della Secessione viennese. Frequentando l’Accademia di Belle Arti di Vienna studia a diretto contatto con Gustav Klimt grazie al quale partecipa allo storico Kunstschau del 1908, l’imponente plurimostra concepita da numerosi artisti, coincidente con le celebrazioni dei 60 anni di regno dell’imperatore Francesco Giuseppe e considerata ancora oggi cruciale nella storia dell’arte moderna. Proprio in quest’occasione viene notato dalla critica che gli affibbia l’appellativo di «super selvaggio» per quelle opere che rifuggono da ideali classici di bellezza e grazia per mettere a nudo gli aspetti più duri e sconcertanti dell'esistenza. In quella stessa occasione presenta il suo dramma Assassino, speranza delle donne suscitando scandalo e tumulti in platea. Ma proprio la pubblicazione della pièce unita allo stile vorace e sensuale della sua pittura gli attira l’attenzione della scena artistica, degli ambienti del teatro e della letteratura, da Karl Kraus su su fino ad Agatha Christie ed Ezra Pound. E mentre i suoi quadri – come ben documenta la prima parte della mostra – dopo un’iniziale attenzione si allontanano radicalmente dallo Jugendstil, all’epoca dominante in Europa, ed influenzano tra gli altri Egon Schiele, viene chiamato ad illustrare «Der Sturm», la rivista dell’avanguardia berlinese. A Berlino frequenta i circoli culturali radicali, esprime ammirazione per Edvard Munch, i Fauves e il gruppo Die Brücke, entra a far parte della Secessione berlinese e del Blaue Reiter: colori puri stesi a larghe macchie. I lavori di questo periodo sono caratterizzati da un violento cromatismo e da un’attenta analisi psicologica con la quale intende indagare l'intimo del personaggio, influenzato in questo dalle nuove teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud. Matura un Espressionismo molto personale anche nella stesura e nella pennellata, ricercando un sostanziale equilibrio all’interno del disequilibrio della composizione. Condivide con l’Espressionismo l'intenzione di esprimere sensazioni, sentimenti e stati d'animo deformando i soggetti, ma in un modo tutto personale, molto più dissonante, al punto da trovarsi isolato rispetto agli altri componenti del gruppo. Con La sposa del vento, 1914, la sua pittura tragica raggiunge la piena maturità espressiva: il dipinto è un omaggio ad Alma Mahler, pittrice e compositrice austriaca, vedova del compositore Gustav Mahler, con la quale Kokoschka ha una sfortunata relazione amorosa che ne influenzerà la vita e la produzione. «Per tre anni – ebbe a scrivere Alma Mahler – l’amore tra di noi fu un’unica, tumultuosa battaglia. Mai prima di allora avevo assaggiato tante forzature, tanto inferno e tanto paradiso». Per un decennio l’artista è come ossessionato da questa relazione: realizza una ventina di dipinti e disegni, alcuni magnifici ventagli dipinti, una bambola (andata distrutta ma documentata nelle fotografie) e cartelle di lavori grafici in cui la ritrae. Il tratto e soprattutto le stesure cromatiche si fanno disarticolati, volti e corpi si intrecciano sino a rendere una situazione più psicologica che fisica. Del resto è questa la sua tipica e innovativa cifra stilistica: superare la forma senza mai approdare a visioni astratte. La tenace, celebrata fedeltà alla pittura figurativa, per quanto mossa e attraversata da tensioni espressive, rimane un tratto distintivo unitamente al continuo ed a tratti poderoso sforzo di ricerca e di rinnovamento.

L’influenza di Cézanne
Più per frustrazione personale che per patriottismo si arruola volontario nella Prima guerra mondiale; riporta gravi ferite alla testa e ai polmoni, queste sue traumatiche esperienze lo renderanno un pacifista e antinazionalista convinto. Seguono anni relativamente tranquilli insegnando all'Accademia di Dresda, dove ha modo di studiare da vicino Rembrandt e la pittura antica. Espone alla Galleria Dada di Zurigo con Max Ernst, Paul Klee e Kandinsky, partecipa alla Biennale di Venezia. Nelle sue convulse espressioni della realtà emerge la drammaticità di un segno a spirale, di ispirazione barocca e con profonde influenze di Paul Cézanne, ben documentate nella mostra zurighese. Le sue vedute di Dresda anticipano stilisticamente i paesaggi degli anni Trenta, anni di viaggi tra Europa e Nord Africa: vedute estese, panoramiche vibranti, colori accesi. Nel 1933 soggiorna a lungo a Rapallo eseguendo numerosi ritratti, paesaggi e nudi. Si cimenta di nuovo con la drammaturgia scrivendo testi fondamentali per il teatro espressionista. Tornato a Vienna, dopo l'annessione tedesca dell’Austria si rifugia a Praga; nel 1938, quando anche Praga sta per essere occupata dai tedeschi, fugge a Londra. Il regime hitleriano confisca le sue opere, alcune delle quali vengono esposte a Monaco nella mostra dell’Entartete Kunst, l’arte degenerata.
La mostra zurighese si conclude con due trittici di grandi dimensioni, 8x2 metri. «La saga di Prometeo» e «Le Termopili» sono considerati l'apice della fase della maturità di Kokoschka. L'imponente trittico di Prometeo, nato originariamente come decorazione d’interno per un nobile committente londinese, non è stato esposto al di fuori delle isole britanniche fin dal 1952, quando fu mostrato alla Biennale di Venezia, destando l’usuale scalpore. La rappresentazione di Prometeo, ispiratore della civiltà umana, come pure il trittico delle Termopili sono un appello all'umanità a vivere in pace e in libertà resistendo in modo solidale anche agli attacchi feroci del destino. Nel 1953 si stabilisce a Villeneuve, nel Canton Vaud. In questi anni di tranquillità, di agiatezza e di un sostanziale consenso la sua pittura si allontana progressivamente dall’analisi psicologica e del subconscio per trattare i grandi spazi, i paesaggi e le vedute di città secondo schemi post-impressionistici. Oggi l’eredità di questo poderoso artista continua, oltre che nella sua opera, nell’Accademia da lui fondata a Salisburgo e nel prestigioso Oskar Kokoschka Preis, istituito nel 1980, l’anno della sua morte.