L’anniversario

La difficile lezione di Hegel e il potere della ragione

A duecentocinquant’anni dalla nascita ripercorriamo l’eredità intellettuale di uno dei massimi pensatori dell’Occidente la cui lezione ha innervato tutte le correnti successive anche scatenando furibonde diatribe ideologiche
Georg Wilhelm Friedrich Hegel nacque a Stoccarda il 27 agosto 1770 e morì a Berlino nel 1831.
Manuel Guidi
27.08.2020 06:00

Incensato dagli adepti quanto vituperato dai detrattori, Hegel è tutt’oggi tra i filosofi più influenti, e forse, considerandone anche l’eredità inconsapevole o inconfessata, il più influente in assoluto. Mille volte rinnegato, recuperato e reinterpretato, è di sicuro quello che ha generato più diatribe. Pensatore della libertà e dello Stato, dell’assoluto e della storia, della contraddizione e della dialettica, Hegel eresse un imponente edificio filosofico, dimora dell’idealismo assoluto, dove abitavano logica, religione, estetica e diritto. Un vero sistema, anzi, l’ultimo grande sistema filosofico. Quando quell’edificio andò in frantumi, i filosofi dovettero fare i conti con le sue macerie, sempre troppo ingombranti, prima di poter tornare a rivolgersi senza preconcetti alla «conoscenza semplicemente pensante» di un teoreta che guardava alla storia pensandola al contempo come teatro del dispiegamento della libertà e «banco del macellaio» su cui vengono fatte a pezzi la «fortuna dei popoli, la sapienza degli Stati e la virtù degli individui». Il suo sistema, perfettamente circolare benché fondato sul divenire, era un monumento al sapere totale in cui soggettività e oggettività erano finalmente conciliate.

Apostolo della conciliazione, Hegel fu anche colui che sviluppò con maggiore profondità la dialettica di soggetto e oggetto, mostrando l’aspetto negativo dal loro rapporto. In questa dialettica la contraddizione svolgeva un ruolo cruciale, fino a diventare il motore stesso della storia. La sua eredità è tra le più problematiche e contese. Già i suoi allievi si fronteggiarono in dispute feroci. Nacquero una destra e una sinistra hegeliane, le quali trassero dalle parole del maestro conclusioni opposte: per la prima il reale è razionale, quindi giusto e immodificabile, per la seconda il razionale è reale e deve essere attuato trasformando il mondo. L’accusa che i giovani hegeliani si rivolgevano l’un l’altro era sempre di hegelismo. La critica a Hegel di Feuerbach influenzò Marx, che poi però giudicò insufficiente l’umanesimo di Feuerbach e criticò come troppo hegeliana anche la filosofia di Bruno Bauer e quella del profeta dell’egoismo Max Stirner, il quale da parte sua condannava invece come hegeliani e idealisti tutti gli altri. Che da Hegel si potessero trarre conclusioni discordanti lo aveva capito bene Bauer, che scrisse un famoso libello anonimo, intitolato La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo, nel quale, fingendosi un intransigente reazionario, mostrò indignazione di fronte a un pensatore reo di celare con fare sibillino intenti segreti di rivolta. In realtà Hegel, che i suoi genitori avevano voluto pastore protestante e che è stato definito l’ultimo filosofo cristiano, era spinoziano, difendeva Spinoza dall’accusa di ateismo e in molti lo hanno ritenuto più panteista che ateo. Bauer aveva distorto il suo pensiero con un abile montaggio di citazioni a effetto. D’altra parte, sarebbe però ancora più miope farne un reazionario o addirittura, come fece Popper molti anni dopo, un protototalitario. Va detto però che l’idea di un Hegel totalitario non era estranea anche agli antipodi del razionalismo popperiano, ad esempio a un suo sottile interprete quale Adorno, che al sistema hegeliano rimproverava proprio il dominio totale dell’universale sul particolare. Ad ogni modo, la ricerca biografica recente ha sfatato parte dell’aneddotica tramandata dalla tradizione, come la leggenda che allo scoppio della Rivoluzione francese, da studente al seminario di Tubinga, avrebbe danzato la Carmagnola cantando la Marsigliese attorno a un «albero della libertà» da lui stesso piantato insieme ai suoi compagni Schelling e Hölderlin, anche se la plausibilità di simili storie è comunque indicativa dello spirito del giovane filosofo che descrisse Napoleone come «lo spirito del mondo a cavallo» che entrava a Jena.

Un «Eraclito redivivo»

Quanto all’accusa di essere sibillino, o comunque oscuro, sebbene le sue opere non siano sempre di facile lettura, non era certo nelle sue intenzioni essere astruso. È stato detto che se la mancanza di chiarezza è un peccato, la pretenziosità è un delitto. Il sistema hegeliano aveva grandi pretese di totalità, ma la difficoltà che la forma dei suoi ragionamenti frappone all’intelligenza del contenuto è dovuta soprattutto agli oggetti della sua riflessione: il divenire, il negativo, il rovesciamento dialettico. Se per i suoi coevi era un «Eraclito redivivo», poiché impenetrabile quanto il filosofo presocratico, da parte sua era Hegel stesso a dire di avere accolto nella propria logica ogni singola proposizione dell’efesino e a definirlo per primo «il filosofo del divenire», contribuendo molto alla sua riscoperta moderna. Anche per Hegel quindi «non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume» e proprio queste contraddizioni, apparenti o reali a seconda di quanto fedelmente ci si attenga alla definizione aristotelica della contraddizione, rendono interessante il suo pensiero e forse anche il pensiero in generale. Un meraviglioso esempio è la sua idea del cominciamento della scienza: partendo dal concetto più astratto e indeterminato di tutti, ossia il puro essere, ci si accorge subito che esso è uguale al nulla, che è parimenti astratto e indeterminato, e non appena si nota tale contraddizione ci si ritrova già catapultati nel divenire, dove essere e nulla prendono forma. Questa riflessione, che sfrutta il potere della contraddizione, rappresenta una formidabile critica dell’astrattezza e ci insegna a immergerci nel concreto e a vedere come anche ciò che appare senza tempo sia in realtà divenuto. Come l’unità di essere e nulla è il divenire, allo stesso modo l’unità di reale e razionale non è la quiete bensì il movimento, la storia, la concretezza della negatività. Se Hegel è difficile è quindi proprio perché il suo pensiero affronta la contraddizione, in quanto essa è «il momento essenziale del concetto», nel costante sforzo di non diventare esso stesso contraddittorio.