Saggi

La sinagoga, cuore dell’ebraismo

In concomitanza con la Giornata della Memoria Adam Smulevich, in un originale volume illustrato, ci conduce alla scoperta dei luoghi di preghiera e di aggregazione sociale della cultura ebraica italiana, indomiti testimoni e vitali custodi di una preziosa e secolare tradizione spirituale
L’interno della sinagoga di Trieste in un’illustrazione di Pierfranco Fabris tratta dal libro.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
27.01.2021 06:00

Monumentali o minuscole, celeberrime o seminascoste e quasi dimenticate, violentate dalla ferocia degli uomini o miracolosamente preservate dalle ingiurie della Storia, vive testimonianze di una fede millenaria o mute vestigia di un passato sradicato per sempre, le sinagoghe sono per molti aspetti il cuore dell’ebraismo. Dal punto di vista religioso e spirituale, ovviamente, ma anche, specie per chi non appartiene al popolo del libro, dal punto di vista culturale. Una componente fondamentale insomma della nostra comune identità giudaico cristiana di cittadini europei proprio nei luoghi fisici dove la religione ebraica è stata vissuta intensamente da millenni.

Termine greco, «sinagoga» è l’esatta traduzione di BethhaKnesset. E cioè la locuzione ebraica che ne designa la funzione, che dall’esilio babilonese nel 587 a. C. svolgerà fino ai giorni nostri, di «casa dell’assemblea». In sinagoga si svolge la vita sociale. In sinagoga si prega insieme. In sinagoga si costruiscono le premesse per l’istituzione di un canone condiviso che rafforzerà la comunanza di ideali e destino di un popolo unito anche quando costretto ad essere separato.

La sinagoga è soprattutto la dimora della Torah e cioè dei cinque libri del Pentateuco. Non vi è niente di più essenziale. Dalla consegna avvenuta sul Monte Sinai ad oggi, la sorgente perpetua dell’ebraismo. Una identità fatta di regole. Ma anche e soprattutto di parole, studio, interpretazione. Un universo di spiritualità e cultura a cui il giornalista e saggista fiorentino Adam Smulevich, già autore di altri formidabili libri legati alla storia dell’ebraismo ha dedicato Sinagoghe italiane. Raccontate e disegnate (da Pierfranco Fabris) appena pubblicato per le Edizioni Biblioteca dell’Immagine.

Quarantadue città

Un viaggio da nord a sud lungo tutta la penisola, da Trieste a Casale Monferrato, da Milano a Pitigliano (Grosseto), fino a Trani e a Palermo, alla (ri)scoperta di quarantadue sinagoghe che sono quarantadue storie italiane e quarantadue storie di comunità ebraiche (che in alcuni casi non esistono praticamente più), raccontate nei minimi dettagli e illustrate a colori. Storie di donne e uomini, vicende, dolori e gioie che hanno accompagnato la costruzione e la vita dell’ebraismo e non solo di quello.

«Ci sono sinagoghe più o meno belle. Non è l'estetica a fare la differenza. Ma il modo in cui questo spazio è vissuto. Ciò detto, le sinagoghe italiane sono in genere molto belle, spiega Smulevich. E i disegni di Pierfranco Fabris hanno il merito di far risaltare questo aspetto». Ventidue secoli di tappe (la prima sinagoga documentata è quella di Ostia antica del I secolo a.C) che hanno portato alla costruzione delle sinagoghe italiane per capire oggi più che mai il senso della libertà di religione e della parola integrazione, così che non vengano più commessi gli errori che hanno macchiato il nostro passato. Un libro di viaggio, che parte da Trieste, dove per la prima volta nel 1938 Mussolini parla di ebraismo come «nemico irreconciliabile del fascismo», legittimando così le leggi razziali in una città dove la comunità ebraica prima della Seconda guerra mondiale contava circa seimila componenti. E poi ancora città di grande richiamo culturale come Torino, Verona, Milano, Ferrara, Firenze, Napoli e Palermo, passando per piccoli centri come Pitigliano appunto e Senigallia (Ancona), luoghi dove le radici dell’ebraismo si perdono addirittura nella notte dei tempi. Tra aneddoti, curiosità, eventi drammatici, il percorso degli edifici di culto ebraici si intreccia con la storia del Paese, con gli stili architettonici e con le alterne vicende degli ebrei della Penisola, dall’Impero romano alla Shoah. Non senza qualche concessione agli infiniti interrogativi sull’identità ebraica. Nel libro - sorride Smulevich - racconto anche la barzelletta dell’ebreo che naufraga su un’isola deserta. Quando finalmente una imbarcazione arriva a salvarlo, il novello Robinson Crusoe mostra ai suoi salvatori le due sinagoghe che ha nel frattempo costruito in quel lembo di terra. “Perché due?”, gli viene chiesto. Il naufrago risponde stizzito: “Questa è la sinagoga in cui vado io, mentre nell’altra non ci metterei mai piede!”».

La prospettiva svizzera

L’autore, proprio in questo periodo, sta però studiando a fondo anche la realtà delle sinagoghe svizzere. Una vicenda affascinante, spesso segnata dall’incontro con la grande Storia. È il caso di Basilea, uno dei primi centri di insediamento, dove nel 1868 si inaugurò la nuova sinagoga progettata dall’architetto Herman Gauss. Un periodo propizio per gli ebrei di tutta Europa, che festeggiavano in quegli anni (Italia compresa) la concessione di nuovi diritti e opportunità. Basilea fu per anni, anche nel segno dell’avvenuta emancipazione, una capitale del pensiero e del dibattito ebraico. La riprova arrivò a fine secolo con l’organizzazione, all’ombra anche della sinagoga, del I Congresso sionista mondiale. «Duecento delegati, ricorda Smulevich, affluirono in città per dare forma e concretezza al sogno di Theodor Herzl: il ritorno a Gerusalemme dopo quasi duemila anni di Diaspora. Non sempre la storia ebraica in Svizzera è stata così promettente. Radicati nel Paese già dal Medioevo, gli ebrei erano spesso andati incontro a violenze e discriminazioni. E nel migliore dei casi a degli evidenti soprusi giuridici. Nel 1776 la Dieta federale dispose ad esempio che avrebbero potuto risiedere solo nelle cittadine di Endingen e Lengnau. Le tipiche case a due porte ancora visibili (una per i cristiani, l’altra per gli ebrei) sono una testimonianza di quel periodo di complessa coesistenza. Residuo del passato sono anche le due sinagoghe, purtroppo non più aperte al culto. Significativa è anche la storia della sinagoga di Lugano, conclude Smulevich, costruita a metà del Novecento in via Maderno e animata fino a non molti anni fa da una folta comunità di ebrei ortodossi, riconoscibili anche per i tipici caffettani, oggi nella quasi totalità emigrati altrove. Ebrei dell’Est, che parlavano yiddish e che in Ticino avevano esportato riti, sapori e tradizioni del mondo ashkenazita». Materiali interessanti per un prossimo libro.

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