La spietata esattezza del «maestrissimo»

Le mille e duecento pagine del musicologo americano Harvey Sachs sono la dettagliatissima biografia di Arturo Toscanini (1867-1957), la storia della musica dalla fine del XIX secolo agli anni Cinquanta del Novecento e il resoconto di innumerevoli interpretazioni meravigliose, controverse e sbagliate. Vicende accanto a giganti come Verdi, Mahler, Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Boito, Debussy, Ravel, Stravinsky, Pizzetti e altri, a cantanti come Caruso, Di Stefano, Gigli, Pinza, Toti Dal Monte, Pertile e a puntigliosi e litigiosi editori di testi musicali come i milanesi Giulio Ricordi e Edoardo Sonzogno, riempiono la vita di Toscanini. È stata straordinaria per talento, intelligenza, capacità di lavoro e disciplina. Toscanini è stato uno dei tre sommi direttori d’orchestra di quel periodo. Gli altri, per Riccardo Muti, sono Wilhelm Furtwängler e Herbert von Karajan. Senza quel trio, ma soprattutto senza lo spigoloso, incontentabile, iracondo e rigorosissimo emiliano, la musica classica e, ancor più, quella operistica, sarebbero oggi diverse. Generazioni di direttori d’orchestra, suonatori, cantanti e registi, anche se non condividevano molte sue interpretazioni, sono stati influenzati dalle radicali riforme da lui apportate, e, quando gli fu possibile, cioè quasi sempre, imposte alle esecuzioni operistiche e sinfoniche. La sua disciplina, da quando era giovanissimo suonatore di violoncello nell’orchestra di Parma fino alla fine, fu di indagare e rivelare le intenzioni e lo stato d’animo del compositore fin nei minimi particolari. L’esecutore, direttore, cantante, musicista o regista che sia, per Toscanini deve guardarsi da usare la musica come espressione di sé: deve studiare le partiture e gli appunti degli autori, e attenersi ad essi. Cosa che nemmeno a lui riuscì sempre. Di Ravel diresse il Bolero a Parigi nel 1930. Nonostante il successo strepitoso, Ravel andò su tutte le furie perché l’esecuzione sarebbe stata troppo veloce. La controversia, verosimilmente l’unica del genere nella sua vita, distolse Toscanini dal dirigere il concerto per pianoforte per la mano sinistra che Ravel aveva composto per Paul Wittgenstein, fratello del filosofo Ludwig, che aveva perso il braccio destro sul fronte russo. Un miracoloso cervello consentì a Toscanini, per tutta la vita, di dirigere a memoria. Nel 1904, uno spettatore dalla galleria del teatro di Genova, mentre Toscanini stava per dar inizio ai Maestri cantori urlò: «Maestro, ha dimenticato la musica!» Nella sua prima direzione a Bayreuth, nel 1930, fu sconcertato dagli innumerevoli errori dei suonatori del tempio wagneriano: li sottopose, scrive Sachs «alla più dura terapia d’urto di stampo toscaniniano [...] il maestro, provando a memoria, come sempre, cominciò a sentire e correggere errori nelle parti a stampa che per decenni non erano stati individuati». Il rigore, specie nelle opere, rivoluzionò il modo di fare musica e cambiò l’interpretazione di opere spesso strapazzate secondo la luna di chi le interpretava. Il rigore di Toscanini portò a prestazioni che scossero il mondo suscitando sorprese e un enorme entusiasmo. Nessun direttore d’orchestra, prima e dopo di lui, ha goduto della sua popolarità. Il rigore comportava il rischio di rigidità e freddezza espressive, che in certe opere e in certi periodi furono evidenti. Thomas Mann, eccelso conoscitore di musica, annotava nel diario ciò che aveva sentito alla radio o dal vivo. Il 3 giugno 1935, registra, ad esempio, una «splendida quinta sinfonia di Brahms» diretta da Toscanini a Londra (sarà stata la quarta, perché Brahms ne ha composte quattro). Il 23 agosto del 1935 scrive d’aver assistito a Salisburgo ad una «meravigliosa» esecuzione del Fidelio diretta da Toscanini, e, due giorni dopo, annota l’immenso disappunto per il Falstaff (l’opera di Verdi preferita dal Maestro), che sarebbe stata scherzo, gioco, beffarda e fredda opera senile, un niente. Dopo aver ascoltato un brano di Wagner, scrive, il 5 luglio del 1936, che la natura del Maestro è una «spietata, quasi feroce esattezza». Nondimeno la considerazione di Thomas Mann per Toscanini è sempre stata altissima, anche per la comune avversione al fascismo. Entrambi furono, per anni, gli esponenti più importanti dell’antifascismo europeo in America, accanto a Salvemini, Borgese, Sturzo, Henrich Mann, Feuchtwanger, Werfel, ed altri. Toscanini proveniva da una famiglia modesta di socialisti. Nella Prima guerra mondiale fu, come Salve-mini e altri socialisti, interventista, e per questo si staccò dal partito e si avvicinò a Mussolini, interventista d’origine socialista. Sarebbe andato in guerra come volontario se non glielo avessero impedito l’età e la vista difettosa. La sua partecipazione al conflitto fu comunque intensa, con orchestre e complessi portati a suonare per le truppe, a volte quasi al fronte. Nel 1920 tenne un concerto a Fiume, allora governata dall’orbo veggente (così s’era battezzato lui stesso) Gabriele d’Annunzio, che in guerra aveva perso un occhio. Nel 1919 fu in lista a Milano, assieme a Mussolini, nel «Blocco fascista» per un seggio in Parlamento. Non fu eletto nessuno. Quando la natura squadristica e criminale del fascismo divenne evidente, specie dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti nel 1924, Toscanini diventò un avversario indo-mito di Mussolini e del fascismo. Nel 1926 non accettò il seggio all’Accademia d’Italia (cui aderirono, fra gli altri, Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi). Nel 1931, al teatro Comunale di Bologna, fu circondato da giovani fascisti che gli chiesero di suonare l’inno fascista «Giovinezza». Toscanini li mandò all’inferno, e Leo Longanesi, più tardi noto giornalista e autore del motto «Mussolini ha sempre ragione» lo prese a schiaffi. I fascisti intendevano arrestare Toscanini, ma Mussolini non volle. L’assalto a Benedetto Croce a Napoli nel 1922, che aveva sollevato l’indignazione in mezzo mondo, consigliava prudenza. Da allora Toscanini non diresse più in Italia. Nel 1932 abbandonò Bayreuth, già in mano ai nazisti. Il 17 febbraio 1938, da New York, ancor prima dell’annessione dell’Austria al III Reich (che avverrà in marzo), Toscanini scrisse al Presidente del festival di Salisburgo che «in seguito alla nuova situazione si vede suo malgrado costretto ad interrompere la collaborazione con le manifestazioni musicali». La «nuova situazione» era la cancellazione del programma del festival già fissato «perché completamente ebraico». A Lucerna, nell’unico Paese non fascista dell’Europa di lingua tedesca, il 25 agosto 1938 il «maestrissimo» (come era chiamato) diresse il primo di due concerti nel giardino della villa dove aveva abitato Wagner in esilio, suonando il Siegfried Idyl di Wagner. Per quell’occasione le autorità vietarono il passaggio di vaporetti e il volo di aerei. Sachs narra le prestazioni di Toscanini in tutto il mondo con enorme ricchezza di informazioni circa orchestre, solisti, cantanti, cori, allestimenti scenici e spesso con le controversie che le anticipavano o seguivano: si ha così un panorama realistico di un mondo a parte, ricco di meraviglie, ma anche di penose miserie. Sachs non tralascia di segnalare le cantanti, molte delle quali famose prima di conoscere il Maestro, che divennero sue amanti, momentanee o anche per anni. Alcune furono poi buone amiche della moglie Carla. Rapporti non facili da capire. Per certi periodi, ovunque si trovasse a dirigere, si ha l’impressione che non se ne lasciasse sfuggire nessuna, anche se – tutti i biografi concordano – l’essere scelte o scartate non sia mai dipeso dalla loro condiscendenza. Per lavorare e vivere con Toscanini ci voleva pazienza.
Gli insulti che rivolgeva ai suonatori erano quanto di più perfido si possa immaginare. Non si contano le bacchette spezzate in eccessi di furore. Ma tutti cercavano di far parte delle sue orchestre, per quel che si imparava e per il prestigio. Era capace di grande generosità e altruismo. Aiutò molti artisti ebrei rimasti senza lavoro per l’infamia di fascisti e nazisti. Finanziò case per artisti anziani e soli e molte altre istituzioni benefiche. Per avere un’idea della sua grandezza, si ascolti la terza sinfonia di Beethoven diretta dal Maestro in America il 6 dicembre 1953, rimessa in circolazione: è un’esperienza estetica senza eguali. Da sottolineare l’esemplare indice analitico, che rende spedita la consultazione del volumone.