La Svizzera di Yukio Mishima
Così lontani, così vicini. È singolare imbattersi, nell’opera di un maestro nipponico del rito e della tradizione, in tanta felice copiosità di riferimenti elvetici. Eppure succede, certo tra alcuni stereotipi, con Yukio Mishima (Tokyo 1925-1970), straordinaria e poliedrica figura letteraria del Novecento: autore di racconti, romanzi, drammi teatrali, saggi, poesie, critiche e come non bastasse inviato estero del quotidiano Asahi Shinbun, attore del palco e dello schermo, regista, sceneggiatore.
Quasi un sacerdote nel celebrare le contraddizioni del Giappone sull’altare della memoria e del memoriale, abile nelle arti marziali, patriota del sacro cerimoniale e della restaurazione, ultimo Samurai, cinquant’anni fa Mishima compiva seppuku, il suicidio sventrante dei guerrieri armati di katana, in segno di protesta contro la decadenza di costumi della sua patria, della sua civiltà.
Era il sacrificio estremo di uno scrittore impegnato; un’implorazione terminale, un atto spirituale, un urlo intellettuale, un finale eroico destinato ad arricchire di significato, retrospettivamente, i suoi testi. Anche le narrazioni più svagate e irriverenti, satiriche e grottesche. Perfino quelle concepite in origine per uscire, a puntate, su una rivista femminile giapponese come Fujin Kôron.
Orologi inconsueti
C’è la Svizzera orologiera nel capolavoro di gaiezza e misoginia Colori proibiti (1951). Quando la deliziosa Hodaka Kyôko si sfila dal polso il cinturino con il minuscolo quadrante «dalla forma inconsueta», il protagonista Yûichi si mette a raccontarle «di varie marche svizzere di orologi: una tale competenza era qualcosa di cui sorprendersi». Musica (1965) è invece un florilegio di roba rossocrociata da strizzacervelli. Spetta al dottor Shiomi Kazunori srotolare l’interpretazione psicoanalitica dell’amabile ragazzetta con gli occhi a mandorla e il corpo di porcellana, Yumikawa Reiko, che manifesta il tragico difetto di non sentire la «musica». Sì, è un caso di frigidità. Dunque al medico tocca rievocare il suo avvicinamento professionale «a poco a poco alla Daseinsanalyse, un metodo di indagine delle psicopatologie iniziato dallo svizzero Binswanger. Questo metodo è stato profondamente influenzato dalla filosofia esistenzialista di Heidegger. È un tentativo di liberarsi dal metodo freudiano tradizionale, - che indaga l’animo umano solo tramite concetti di stretta definizione psicoanalitica - per avere un’immagine umana del paziente più concreta ed esistenziale. A questa scuola appartiene lo psichiatra di Zurigo Medard Boss, che grazie a una profonda conoscenza psicologica, ha condotto un’osservazione vivida ed equilibrata sugli esseri umani, basata su una vasta esperienza clinica» Certo, si tratta di una «teoria, in Giappone non ancora sufficientemente accettata». Tuttavia, scavando nella psiche più a fondo delle turbe infantili e dei rigori formativi, contiene elementi importanti per ridonare calore e desiderio fisico alla frigida Reiko.
Grembiuli e pellicce
In Abito da sera (1966-67) fa capolino una borghesia locale intenta a rinnegare valori secolari, educazioni e convenzioni, per abbandonarsi alle apparenze occidentali, alle americanate. Qui è imperdibile la scena nella quale Ayako, rampolla di un imprenditore farmaceutico, si reca in visita da Donna Takigawa, potente e benestante vedova allegra di un membro dell’altra burocrazia, tutta occupata dall’organizzazione dei suoi ricevimenti (che non possono certo escludere dagli inviti l’ambasciatore della Confederazione e consorte). «Ayako suonò il campanello e Donna Takigawa apparve con un vistoso grembiule in stile svizzero». Favoloso.
Poi ci sono le pagine della tetralogia Il mare della fertilità, cioè il lunare mare Fecunditatis, secco a dispetto del nome e quindi emblema di una certa aridità, etica e religiosa, nella trasformazione sociale che ripudia il passato, si vergogna dell’antico, s’inchina a mode e modelli forestieri.
Nel primo capitolo della serie, Neve di primavera (1968), i due protagonisti Shigekuni Honda e Kiyoaki Matsugae incontrano alcuni aristocratici e il quadretto termico è questo: «Kiyoaki e Honda indossavano un soprabito sulla divisa della scuola, i principi un cappotto dal collo di pelliccia. Erano intirizziti dal freddo. “Non siamo abituati a queste temperature!” disse Pattanadid sgranando gli occhi. “Avevamo spaventato un nostro parente andato a studiare in Svizzera dicendogli che lì è molto freddo, ma non immaginavamo che anche il Giappone lo fosse”». La seconda parte, A briglia sciolta (1969), ha invece un elvetismo più finanziario. Colpa del barone Shinkawa che, «dopo aver speculato senza vergogna sul dollaro, si era affrettato a trasferire in qualche banca svizzera tutto il denaro che era riuscito a sottrarre ai controlli, fino all’ultimo centesimo».
Fughe di capitali
Tra rievocazioni storiche (l’era lucente del regno Meiji) e combattimenti di kendô, il libro non tralascia le motivazioni amministrative della fuga di capitali, dal momento che il barone, «senza neppure aspettare il repentino mutamento di politica che si sarebbe verificato poco tempo dopo con il nuovo esecutivo, si era subito schierato con coloro che sostenevano che il divieto di esportare oro avrebbe permesso l’adozione di misure volte a generare una nuova inflazione. Shinkawa riponeva perciò tutte le sue speranze nel governo in carica, preferendo dimenticare la politica economica debole ed esitante della precedente compagine. Al di là dei provvedimenti destinati a far uscire il Paese dalla recessione mediante una politica inflazionistica, il barone scorgeva infatti le luminose prospettive che si aprivano con lo sviluppo industriale della Manciuria».
Nel dipingere il legame indissolubile con l’eredità classica della sua terra, avversando ogni modernizzazione, Yukio Mishima (all’anagrafe Kimitake Hiraoka) sa dunque aggiungere qualche benevola, simpatica e mai fuori luogo pennellata elvetica. Davvero eccezionale per la firma del feroce manifesto Sole e acciaio e della drammatica pellicola Patriottismo.