Anniversari

La tragedia di Paul Celan e la resistenza della poesia

Cinquant’anni fa, schiacciato da quello che Primo Levi chiamò «il morbo di Auschwitz», il grande intellettuale ebreo scampato al nazismo si toglieva la vita a Parigi - La sua strenua lotta anche attraverso la letteratura per restituire voce a chi voce non aveva più
Paul Celan (1920-1970) pur vivendo a Parigi dalla fine degli anni Quaranta è considerato il più grande poeta in lingua tedesca della seconda metà del XX secolo.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
20.04.2020 06:00

Le acque della Senna se lo erano portato via nella notte tra il 19 e il 20 aprile di mezzo secolo fa. Ai primi di maggio lo ritrovarono a Courbevoie, qualche chilometro a sud del ponte Mirabeau (proprio quello cantato da Apollinaire) da dove, poco lontano dalla sua casa di avenue Zola, aveva messo la parola fine alla sua lotta su questa terra. La notizia fece scalpore in quella Parigi ribollente e inquieta, ma chi eraquel cinquantenne schivo che tutti cercavano? Chi quel malinconico intellettuale che pur esprimendosi rigorosamente in francese si ostinava a scrivere poesie in tedesco?

Il suo nome, ormai da tanto tempo, era Paul Celan. Se lo era dato nel 1947 come anagramma di quello con cui era nato (Paul Antschel, nell’ortografia rumena Ancel) perché la sua terra d’origine era la Bucovina (la sua città natale era Czernowitz, la «piccola Vienna», oggi Cernovcy, in Ucraina) estremo lembo orientale dell’impero austroungarico, spartito dopo la I Guerra mondiale tra Romania ed Ucraina appunto. Luoghi oggi quasi cancellati dalla carta geografica culturale d’Europa, dove il passaggio del nazismo prima e del comunismo dopo hanno annientato secoli di ricchezza e di varietà irrecuperabili. Siamo, un po’ come in Galizia, in quel milieu imperiale fatto di tedesco, di polacco, di russo, di ucraino, di bulgaro, di yiddish e di italiano da cui scaturiscono i Rilke, i Kafka, i Mahler o i Canetti.

Una vita in fuga

Ebrei osservanti, i genitori di Paul, loro unico figlio, lo crescono in questa koiné nel meglio della cultura e della lingua tedesca. Gli studi in medicina, poi in romanistica e in anglistica, la sua giovinezza serena si trasforma presto in un inferno e da qui gli eventi biografici configurano indelebilmente le componenti della sua poesia (ha già iniziato a scrivere quelli che verranno raccolti come Scritti romeni).

Tutto il suo mondo viene annientato: la guerra feroce, l’occupazione nazista, quella sovietica, il ghetto, i lavori forzati in un campo di prigionia, la deportazione e la morte dei genitori il padre di tifo, la madre fucilata in un lager ucraino, tragedie che lo segnano per sempre. Celan non si arrende: sfugge ai suoi aguzzini dal campo di Tabaresti e nel 1945 comincia la sua fuga verso la speranza. Bucarest, Vienna dove pubblica la sua prima raccolta ufficiale, La sabbia delle urne, e un breve saggio Edgar Jenè e il sogno dei sogni, poi finalmente trova ospitalità in Francia, a Parigi, dove si iscrive all’École normale supérieure. Nel 1950 pubblica una raccolta di aforismi, intitolata Controluce. Si sposa nel 1952 con la pittrice Gisèle de Lestrange e pubblica il suo scritto più famoso, Mohn und Gedächtnis («Papavero e memoria») contenente la celeberrima poesia Todesfuge, cioè «fuga (nel senso proprio del lessico musicale) della morte» ma anche molte poesie di ispirazione più romantica. Ben inserito nel tessuto culturale parigino dell’epoca, Celan non manca di coltivare i contatti con gli ambienti intellettuali tedeschi, con il Gruppo 47 e con altri poeti e scrittori. Occasione di questi incontri sono diverse letture pubbliche di poesie e, in particolare, alcuni premi, fra i quali quello della città di Brema, nel 1958, in occasione della cui consegna Celan descrive la sua poesia come «un messaggio in bottiglia». Sublime traduttore in varie lingue (si cimenterà con Cioran, Ungaretti, Paul Valery, Apollinaire e con il suo amatissimo Mandelstam) nonostante i successi letterari prosegue i suoi studi in germanistica e nel 1959 diviene lettore di lingua tedesca all’ENS. Celebre rimane il suo discorso di Darmstadt nell’ottobre del 1960 quando gli viene conferito il prestigioso premio Georg Büchner e Celan spiega il significato della poesia da lui paragonata ad un meridiano: linea verissima e inesistente che indica una direzione attraverso moltissimi territori.

Ma gli anni Sessanta non sono sereni per Celan: le sue angosce e i suoi disagi psichici cominciano a tormentarlo costringendolo a frequenti ricoveri in clinica. Riesce comunque a creare le sue massime opere poetiche, la prima, ispirata all’epitaffio di Rilke, La rosa di nessuno, e la breve silloge Cristallo di respiro, illustrata dalla moglie ed esposta in edizione di lusso al Goethe Institut di Parigi, nel 1965. Nel 1967 però, in seguito a un progressivo peggioramento delle sue condizioni psichiche (cominciò a manifestare attacchi di violenza contro gli altri e contro se stesso), è costretto a separarsi dalla moglie, dalla quale aveva avuto due figli, François nel 1953 (morto dopo pochi giorni di vita) ed Eric nel 1955. Dopo un aspro confronto nel 1967 con Heidegger cui non perdona l’adesione al nazismo, Celan nell’ottobre 1969 compie il suo primo e unico viaggio in Israele che sembra dargli alcuni sprazzi di serenità . «Il morbo di Auschwitz» come lo definì Primo Levi che ne cadde a sua volta vittima qualche anno dopo e che lesse Celan definendolo «oscuro e nichilista» (il che viste le circostanze non è per forza un giudizio negativo) lo schiacciò quella notte di aprile del 1970.

La sentenza di Adorno

Poeta difficile, ermetico, stoico e raffinato cultore della lingua del male assoluto (pur imponendo in famiglia e nella vita quotidiana il francese, volle sempre scrivere in tedesco anche per emendare la sua lingua madre) Celan per gran parte della sua vita si confrontò con la celebre «sentenza» del filosofo Theodor W.Adorno che nel 1949 quando ancora i due non si conoscevano scrisse che era impossibile scrivere poesie dopo Auschwitz.

Un’affermazione ben nota e fin troppo radicale che andava a toccare uno dei punti chiave del dibattito sul rapporto fra intellettuali e società, dove i primi percepiscono il senso profondo di una sconfitta epocale di fronte al nazismo prima e alla cultura di massa dopo. Ma anche una teoria che Celan non poté mai accettare, lui che del ricordo della Shoah aveva fatto uno dei punti centrali della sua opera, intesa come possibilità di salvezza anche linguistica e culturale dall’indescrivibile orrore. Pur senza mai incontrarsi (vedi box a lato) Celan e Adorno (che morì improvvisamente in Svizzera, a Visp, nel 1969) ebbero un lungo, complesso e ambivalente rapporto epistolare a distanza in cui vero protagonista fu la rivendicazione del riconoscimento della dignità di una poesia che nasceva dall’orrore e si affermava al limite di se stessa.

Paul Celan, anche quando cadde nell’abisso della malattia mentale, non definì mai la Shoah parlandone sempre e soltanto come di «ciò che è stato» ma di certo la forza della sua testimonianza aveva influenzato profondamente Adorno quando nel 1966 quest’ultimo ritrattò dichiarando: «Il dolore incessante ha altrettanto diritto di esprimersi quanto il torturato di urlare; perciò forse è sbagliato aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesie».
Polemica archiviata.

Quell’incontro in Engadina soltanto immaginato

Estate 1959

Dall’immediato dopoguerra alla fine quasi incrociata dei loro destini Celan e Adorno intrecciarono in maniera praticamente solo epistolare le loro rispettive posizioni poetiche e filosofiche, tanto che le resistenze di Celan influenzarono evidentemente l’evoluzione del pensiero di Adorno sull’arte dopo il genocidio; pochi sanno però che un incontro diretto tra i due era stato programmato e non avvenne per pochissimo come racconta Paola Gnani nel suo Scrivere poesie dopo Auschwitz edito da Giuntina.

Ci vediamo a Sils-Maria

L’idea di sbrogliare la questione facendoli incontrare di persona era venuta nel 1959 a Peter Szondi critico letterario amico di entrambi che l’anno precedente aveva scoperto l’idillio di Sils-Maria. Tra i numerosi intellettuali abituali frequentatori della località engadinese c’era anche Adorno che soggiornava all’Hotel Waldhaus. Szondi fece alloggiare Celan alla Pension Chasté qualche giorno prima che il filosofo arrivasse pianificando di farli incontrare. Ma ciò non accadde mai. Celan lasciò l’Engadina improvvisamente e fece ritorno a Parigi. L’incontro sfiorato si trasformò in grande letteratura quando Celan scrisse la sua unica opera in prosa: il magnifico racconto Gespräch in Gebirg. («Conversazione nella montagna»).