La triste storia della Venere nera

Il nuovo film del regista francese Abdellatif Kechiche
Antonio Mariotti
09.06.2011 23:51

La vicenda inizia nel 1817, con una lezione alla Reale Accademia di Medicina di Parigi durante la quale l'anatomista Georges Cuvier illustra la sua teoria sull'anello mancante tra la scimmia e l'uomo, basandosi sul calco del corpo di Saartjie Baartman. Quest'ultima, deceduta due anni prima, era la schiava di una famiglia boera di Città del Capo che il padrone condusse in Europa - dapprima a Londra e poi a Parigi - come attrazione da fiera, facendola esibire in un numero dove il suo corpo e le sue tradizioni venivano umiliate per ottenere un misero guadagno. Costretta a lasciare la Gran Bretagna a causa di un processo per schiavitù conclusosi con un nulla di fatto, nella capitale francese la donna cambia «padrone» e diventa l'attrazione dei salotti borghesi, finendo però con scivolare nell'alcolismo e nella prostituzione, prima di essere stroncata dalla polmonite e dalle malattie veneree. Il suo cadavere verrà venduto a Cuvier, che già l'aveva studiata da viva, e il calco in gesso, lo scheletro e i barattoli contenenti gli organi genitali e il cervello della «venere ottentotta» rimarranno esposti al Musée de l'Homme di Parigi fino al 1976.Il regista francese Abdellatif Kechiche racconta questa storia profondamente simbolica accostando scene lunghe e minuziosamente ricostruite che ci svelano a poco a poco il percorso di Saartjie (interpretata dall'esordiente ma convincente Yahima Torrès) senza badare troppo alla durata (oltre 2 ore e mezza) e rimanendo vicinissimo alla realtà documentata. Il risultato è un film forse un po' troppo ripetitivo ma chiarissimo. Un film che si trasforma nella storia di un corpo mai visto prima e degli sguardi che gli altri posano su di esso, proponendosi anche come atto d'accusa contro una società positivista che pretende di classificare tutto e tutti in modo scientifico.