La triste storia della Venere nera

La vicenda inizia nel 1817, con una lezione alla Reale Accademia di Medicina di Parigi durante la quale l'anatomista Georges Cuvier illustra la sua teoria sull'anello mancante tra la scimmia e l'uomo, basandosi sul calco del corpo di Saartjie Baartman. Quest'ultima, deceduta due anni prima, era la schiava di una famiglia boera di Città del Capo che il padrone condusse in Europa - dapprima a Londra e poi a Parigi - come attrazione da fiera, facendola esibire in un numero dove il suo corpo e le sue tradizioni venivano umiliate per ottenere un misero guadagno. Costretta a lasciare la Gran Bretagna a causa di un processo per schiavitù conclusosi con un nulla di fatto, nella capitale francese la donna cambia «padrone» e diventa l'attrazione dei salotti borghesi, finendo però con scivolare nell'alcolismo e nella prostituzione, prima di essere stroncata dalla polmonite e dalle malattie veneree. Il suo cadavere verrà venduto a Cuvier, che già l'aveva studiata da viva, e il calco in gesso, lo scheletro e i barattoli contenenti gli organi genitali e il cervello della «venere ottentotta» rimarranno esposti al Musée de l'Homme di Parigi fino al 1976.Il regista francese Abdellatif Kechiche racconta questa storia profondamente simbolica accostando scene lunghe e minuziosamente ricostruite che ci svelano a poco a poco il percorso di Saartjie (interpretata dall'esordiente ma convincente Yahima Torrès) senza badare troppo alla durata (oltre 2 ore e mezza) e rimanendo vicinissimo alla realtà documentata. Il risultato è un film forse un po' troppo ripetitivo ma chiarissimo. Un film che si trasforma nella storia di un corpo mai visto prima e degli sguardi che gli altri posano su di esso, proponendosi anche come atto d'accusa contro una società positivista che pretende di classificare tutto e tutti in modo scientifico.