Storie di musica

La vita di Tina Turner, fra gioie, dolori e tanto coraggio

La cantante si racconta in una toccante autobiografia
La cantante così come appare sulla copertina della sua autobiografia.
Luca Orsenigo
10.01.2019 17:51

«La mia vita in effetti è una storia incredibile, una storia piena di canzoni. La mia biografia è vita, la vita di una bambina nata a Nutbush che, come ho ripetuto tante volte, aveva tutto contro, eppure si era avventurata nel mondo senza altre armi che la propria voce, l’ottimismo e la volontà di sopravvivere». Davvero Tina Turner, questa. Ma come ha fatto? Com’è stato possibile che Anne Mae Bullock, una bambina di colore nata nel 1939 laggiù nel Tennesee e abbandonata prima dalla madre a undici anni, poi dal padre a tredici, sia riuscita a farsi strada in «una tempesta di karma negativo» fino a diventare niente popò di meno che Tina Turner, una, tanto per dire, in onore della quale hanno aperto un museo nel 2014 alla periferia di Brownsville? Per scoprirlo, ed è un viaggio mozzafiato, c’è ora un’autobiografia (Tina Turner, My Love Story - L’autobiografia, pubblicata da Harper Collins), un memoir come lo chiama lei, scritto subito dopo un ictus e tra una dialisi e l’altra, qui in Svizzera. Perché, forse non tutti lo sanno, Tina Turner ha ottentuto la cittadinanza elvetica e ha superato il canonico esame come ogni comune mortale, («esame difficile, tanto che mi preparai con un insegnante»). Del resto, scrive, «penso che aver vissuto in un paese per diciassette anni – insieme alla persona che ami – sia una ragione sufficiente per considerarlo la propria casa». E la Confederazione nelle parole di Tina fa una gran figura, non solo perché qui ha curato ictus e tumore intestinale e subito il trapianto del rene, offertole dall’eroico amore del marito, ma perché «in questo Paese la cortesia viene prima di tutto». Parole dette in estrema semplicità. Ma prima di trovar casa sul lago di Zurigo, a Chateau Algonnquin, prima del «nuovo livello di beatitudine», molto tempo prima Tina Turner è stata quella di Ike & Tina Turner, o meglio quella di Ike tout court, il suo mentore e il suo carnefice, lo sfruttatore e la guida dei primi passi nello showbiz. Una storia grigia e triste durata ben sedici anni quella di questo sodalizio rock soul tra i Sessanta e i Settanta, fatta anche di grande musica, come l’indimenticabile cover di Proud Mary dei Creedence che valse poi un Grammy Award.

Ma questa autobiografia è più che altro un percorso a ritroso attraverso il quale Tina opera la sua definitiva catarsi e accetta il suo passato, tanto da «poterne addirittura ridere, una volta ogni tanto». I patimenti delle ultime disavventure legate alla salute e gli stimoli dell’amato marito, le hanno infatti dato «il tempo e la motivazione per guardarmi indietro, per rivedere la storia della mia vita o riavvolgerla, per così dire: il tempo per affrontare le grandi domande». E dal rapporto malato con Ike, si passa agli incontri fortuiti e fortunati: gli indimenticabili Rolling Stones e l’amicizia con Mick Jagger, quella profonda e sincera con David Bowie, l’incontro primigenio con Phil Spector attraverso il quale acquista coscienza delle sue reali possibilità anche lontano dal padre padrone Ike, fino all’incisione di Private Dancer, Grammy Award del 1984. E poi ancora, amica di Mel Gibson in Mad Max – Oltre la sfera del tuono, in cui impersonava Entity «forte e capace di riprendersi dopo ogni caduta». Una vita come sul palco, mai ferma un istante. E la Tina interiore si apre senza nascondere gioie e dolori, come la perdita del primo figlio Craig, suicida all’alba dei sessant’anni nel 2018.