L’intervista

L’«amoroso pensiero» di Giovanni Boccaccio

Il mito avvincente di Fiammetta rivive nelle pagine del saggio del grande italianista Marco Santagata
Dante Gabriel Rossetti, A vision of Fiammetta, (1878) olio su tela.
Fabio Pagliccia
17.12.2019 06:00

Marco Santagata, già docente ordinario di Letteratura italiana presso l’Università di Pisa, ha pubblicato di recente un documentato saggio, Boccaccio indiscreto (Il Mulino), che indaga, con impeccabile perizia storica e filologica, sulla genesi e l’evoluzione del mito di Fiammetta, un personaggio ricorrente in numerose opere del Boccaccio. Ne abbiamo parlato con lui.

Professor Santagata, della vita del Boccaccio restano ancora parecchie zone d’ombra: quali sono gli aspetti che, secondo lei, andrebbero maggiormente esplorati?

«La biografia del Boccaccio è contrassegnata da una carenza di informazioni, che proprio l’autore aveva contribuito a colmare fornendo, nei suoi scritti, una sovrabbondanza di dettagli autobiografici, ma di assai scarsa attendibilità, col fine evidente di presentare di sé un’immagine nobilitante. Egli, per esempio, nell’intento di rimuovere la verità della sua oscura condizione familiare di figlio illegittimo (il padre mercante era piuttosto gretto e venale, la madre inesistente e i fratelli poco raccomandabili), avrebbe elaborato e fatto circolare la leggenda che sarebbe nato in Francia da una principessa. Orbene, su questi e altri elementi fantasiosi si era incentrato, fra Otto e Novecento, l’interesse degli studiosi della Scuola storica (di impostazione positivistica), i quali operarono suggestive e romanzesche ricostruzioni. In seguito, a partire dal secondo dopoguerra, si venne a creare, con Giuseppe Billanovich e Vittore Branca, una tendenza opposta, che rigettava a priori le istanze autobiografiche come estranee alla dimensione letteraria. A mio parere, sarebbe molto più proficuo partire dal non detto, da quello che il grande trecentista avrebbe tralasciato di dire; e su questo aspetto ho focalizzato gran parte dell’indagine critica nel mio ultimo saggio».

A quale verità taciuta si riferisce?

«Le verità taciute, si sa, sono sempre le più dolorose e traumatiche: mi chiedo, per esempio, quali siano le motivazioni che abbiano spinto il Boccaccio ad andarsene, ancora giovane (siamo nel 1340), da Napoli, dove era vissuto brillantemente a stretto contatto con la raffinata corte del sovrano Roberto d’Angiò, l’illuminato mecenate che esaminò il Petrarca in vista dell’incoronazione poetica in Campidoglio. A corte, poi, vivevano le personalità più in vista della cultura partenopea: l’astronomo Andalò del Negro; il monaco Barlaam, noto grecista; l’agostiniano Dionigi da Borgo di San Sepolcro. Per Boccaccio, promettente studente di diritto canonico, Napoli incarnava a pieno titolo la città ideale, una vivace capitale della cultura, in cui poter affermarsi con successo. Gli eventi, dapprima favorevoli, a un certo punto, però, precipitarono, e il sogno di Boccaccio si infranse per sempre. Sulle ragioni del trasferimento inaspettato da Napoli alla volta di Firenze, nel deprecato ambiente mercantile, cala, come per un processo di rimozione, il silenzio dello scrittore. Da qui prende avvio la mia disamina».

In questo periodo Boccaccio elabora il fortunato mito di Fiammetta?

«Invero, questo mito era stato preannunciato già da un’opera del periodo napoletano, il Filocolo, romanzo in prosa il cui titolo significherebbe, alla greca, “fatica d’amore”. Il libro si apre con la confessione choc dell’autore di essere innamorato di una damigella, una tale Maria (che prenderà poi il nome di Fiammetta), di buona e onorata famiglia. Ma quella fanciulla bella e virtuosa come poche, e cresciuta a corte, – rivela imprudentemente il Boccaccio – non era la figlia del padre di cui portava il cognome; era, invece, la figlia inconfessata nientemeno che del re Roberto d’Angiò, che l’aveva generata, quando ancora non era salito al trono, con “una gentilissima giovane dimorante nelle reali case”. Il giovane scrittore avrebbe pagato a caro prezzo tale arditezza, risultata a dir poco sgradita al sovrano e al suo entourage. A ciò si aggiunga che esisteva davvero una Maria nella famiglia di casa d’Angiò; inoltre, stando ad alcune indiscrezioni, re Roberto aveva realmente un figlio segreto, Carlo d’Artois. Una fatale coincidenza? Fatto sta che con le improvvide rivelazioni del Filocolo il Boccaccio si attirò l’ostilità della corte angioina. Di qui la fuga tempestiva da Napoli, densa di nostalgici rimpianti negli anni a venire.

Questo mito, tuttavia, proseguirà...

«Proprio negli anni successivi, a Firenze, questo mito conoscerà un vero sviluppo. Nell’Amorosa visione Boccaccio, sfidando le chiacchiere, è pronto a rivelare l’identità dell’amata: una tale Maria d’Aquino, ma è indubbio che si tratti di un personaggio fittizio. In altre opere, poi, Maria assume il nome di Fiammetta, un senhal che ricalca le donne amate dai poeti stilnovisti. Ma, soprattutto, Fiammetta diviene ogni volta una figura nuova, degna dell’invenzione di un grande scrittore, che trae ispirazione dall’inesauribile serbatoio dell’immaginario classico e dantesco, per cui la vediamo ora, nella Comedia delle ninfe fiorentine, nelle vesti di una femme fatale fedifraga e piena di erotico charme; ora, nell’Elegia di madonna Fiammetta, come un’amante sedotta e abbandonata da un tale Panfilo (presunto alter ego dell’autore), che si sarebbe preso una degna rivincita dopo i tradimenti subiti dall’amata. Insomma, Maria/Fiammetta è un personaggio complesso, sfaccettato, mutevole, controverso, su cui si è costruito un mito squisitamente letterario, arricchito da tante varianti e contraddizioni, che non cessa ancor oggi di affascinare e sorprendere il lettore».