L'intervista

«Il memoriale di Laura Geiringer, vittima di un Olocausto senza fine»

Il prof. Frediano Sessi, scrittore e saggista, rigoroso storico della Shoah, attraverso lo studio della documentazione ritrovata e il memoriale incompiuto di Laura studiato con piglio investigativo e analizzato in un libro scrupoloso, Quando imparammo la paura (Marsilio), ricostruisce l’amaro destino della giovane triestina, nuovo simbolo del Giorno della Memoria
© KEYSTONE (AP Photo/Oded Balilty)
Francesco Mannoni
27.01.2025 06:00

«La mia vita precedente è morta ad Auschwitz. Voglio che la storia si dimentichi di me e io, se potrò, voglio dimenticarmi della mia storia». Desiderio condivisibile perché la vita di Laura Geiringer sopravvissuta ad Auschwitz era un calendario d’orrori. Il prof. Frediano Sessi, scrittore e saggista, rigoroso storico della Shoah, attraverso lo studio della documentazione ritrovata e il memoriale incompiuto di Laura studiato con piglio investigativo e analizzato in un libro scrupoloso, Quando imparammo la paura (Marsilio), ricostruisce l’amaro destino della giovane triestina, nuovo simbolo del Giorno della Memoria.

Professor Sessi, altri misfatti commessi ad Auschwitz?
«Purtroppo sì. Ad Auschwitz, nel 1944, oltre al diabolico Josef Mengele comandante medico del campo delle donne dove compiva orrendi esperimenti su cavie umane, ebbe un ruolo di primo piano anche il dottor Carl Clauberg che nei procedimenti contro i criminali nazisti che si tennero a Norimberga, fu condannato a venticinque anni di carcere. Il medico, autorizzato da Himmler capo supremo delle SS, aveva avviato una devastante politica di sterilizzazione delle donne di razza inferiore e in particolare delle ebree che potevano essere mantenute in vita e sfruttate come manodopera schiava, senza il rischio che generassero figli».

Quante furono le donne sterilizzate?
«Selezionate fra una cinquantina di soggetti, furono 29 le donne sottoposte a sterilizzazione mediante una infusione, che per lo più le rese inferme a causa di un’infiammazione ovarica. Fra loro, c’era sicuramente anche la giovane ebrea triestina, Laura Geiringer, sopravvissuta ad Auschwitz (nella camera a gas finirono i genitori e il fratello), ma non alle conseguenze delle manipolazioni a cui era stata sottoposta. Morì infatti il 2 aprile 1951 a causa di una probabile cisti ovarica che gli aveva procurato tremendi “dolori pelvici” e una “tumefazione annessiale”».

Quando e dove fu arrestata Laura Geiringer?
«Il 30 novembre 1943, lei (nata nel 1924 non aveva ancora vent’anni) e i genitori (in un secondo tempo il fratello), furono arrestati a Gruaro, dove pensavano di essere al sicuro dopo aver lasciato Trieste. Prima tappa detentiva a Venezia, poi il campo di Fossoli (una sorta di anticamera della morte), attivo dal luglio del 1942 al luglio del 1944. Da lì furono avviati ad Auschwitz col primo convoglio partito da Fossoli il 26 gennaio 1944. Su quei vagoni miserevoli c’era anche Primo Levi. La sua storia e quella di Laura Geiringer si sfiorarono in più occasioni. Entrambi vissero gli stessi orrori nello stesso periodo e negli stessi luoghi. Dopo l’arrivo ad Auschwitz il primo trauma: la perdita della propria identità sostituita da un numero tatuato sul braccio sinistro: “Non faceva male – scrisse Laura –, ma sentiamo l’onta e subito il pensiero: ci resterà per sempre”. A Laura toccherà il numero 75676».

Perché Laura non parlò mai degli esperimenti cui fu sottoposta?
«Quando torna a casa, deve mantenere la promessa di tacere che ha fatto a due sue compagne di prigionia, Beniamina e Amelia Levi di Saluzzo che non ce l’hanno fatta. Va in questa città per parlare con un loro parente, Isacco Levi. Lo incontra alla stazione, ma non gli dice il suo nome e cognome giustificandosi con il fatto di voler dimenticare il male vissuto. Come tutte le donne, non voleva che questa storia si conoscesse. I dottori antifascisti e antinazisti che andarono alla ricerca di testimonianze contro Clauberg, rintracciarono diverse donne - cavie, ma nessuna di loro voleva parlare. La vergogna le ammutoliva. Forse per questo Laura, che voleva rifarsi una vita e studiare all’università, cominciò a scrivere il suo diario - memoriale solo quattro anni dopo la liberazione».

La sterilizzazione, secondo quanto ammise una delle vittime, era il prezzo per sopravvivere?
«Sì. Nel blocco 10 del campo base, le detenute si trovavano in una specie di ospedale. Le davano delle camicie da notte, dei letti con le coperte, e gli sembrava di tornare a vivere. Clauberg aveva promesso a Himmler che avrebbe reso sterili le donne ebree con una sola iniezione durante una normale visita ginecologica. Nella Russia conquistata Himmler voleva creare una sorta di riserva di lavoratori ebrei, donne e uomini, e qui si sarebbero estinti perché non avrebbero più generato figli».

Auschwitz, continua ad essere un monito per il futuro?
«Spero vivamente che continui ad insegnare qualcosa al mondo perché almeno l’adozione della dichiarazione universale dei diritti umani è stata posta con forza da quell’orrore. Anche se a volte questi diritti non vengono rispettati nemmeno nelle nazioni democratiche, noi sappiamo che sono ineludibili e continuiamo a rimproverarci sempre per quello che è accaduto, a partire dalla xenofobia, perché è da lì che nasce il razzismo, il lager. In “Se questo è un uomo” Primo Levi scrive che quando lo straniero è considerato un nemico, questo sentimento ci rende pessimi come persone; ma se diventa un teorema politico allora è pericoloso, e questo pericolo porta ai campi di internamento. La forza di Laura era la stessa di Primo Levi, ma l’ombra lunga di Aushwitz è diventata una maledizione che ha eroso il suo fisico a distanza di anni».  

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