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Quando il cavallo viaggia tra comunicazione e marketing

Presentato di recente il libro di Giulia Curti, nato per caso da una tesi di bachelor ed edito da CFS Casagrande Fidia Sapiens di Lugano e Milano
Cristina Casari
09.10.2023 06:00

Una passione, una tesi di bachelor, un’idea nata per caso. Questa la genesi di un volume di una novantina di pagine, «Trasporti e comunicazioni: il ruolo del cavallo» edito da CFS Casagrande Fidia Sapiens di Lugano e Milano e presentato nel mese di settembre nella splendida cornice del MUSEC a Lugano. A moderare il tavolo dei relatori Giancarlo Dillena, direttore del Corriere del Ticino per quasi un ventennio, attualmente docente all’Università della Svizzera italiana alla facoltà di comunicazione, cultura e società. Presenti, l’autrice del libèllo Giulia Curti, Gabriele Balbi, professore ordinario in media studies presso l’Istituto di media e giornalismo, facoltà di comunicazione, cultura e società all’USI e prefatore del libro, Claudio Giannelli, importante collezionista di finimenti equestri (gli accessori indossati dai cavalli, i morsi, la testiera, le staffe, la sella, la cavezza ecc.), nonché il collega Raffaele Soldati, giornalista sportivo al Corriere del Ticino e esperto del settore equitazione, postfatore del volume e Cristina Maderni, amazzone e membro del Gran Consiglio ticinese. La conclusione è stata affidata a Marco Meneguzzo, docente di Management pubblico e non profit presso l’USI.

Un gran bel parterre, con un dominatore comune: l’amore e la passione per il cavallo. Molti, variegati e interessanti gli spunti emersi durante l’incontro-presentazione.

Un discorso lungo secoli

Alla ricerca estesa da Giulia Curti, completamente riassunta nel volumetto, suddiviso in due parti ben distinte e che di base si sviluppa sulla domanda «È possibile pensare ai trasporti come forma di comunicazione», il discorso si amplia poi in modo a volte uniforme, a volte distante, ma riporta sempre allo stesso concetto: l’animale cavallo al centro dell’umanità, con le sue innumerevoli sfaccettature. La prima parte, che l’autrice definisce «settoriale», descrive e approfondisce i concetti di trasporto e comunicazione, con le loro mutazioni nel corso dei secoli, con la Rivoluzione industriale a fare da apripista ad uno sviluppo tecnico che porta a mutare la funzione del cavallo nella società e, anzi, all’interno delle diverse società nel mondo, ad esempio in quello definito Terzo mondo. Se, sempre a mo’ d’esempio, attualmente in Europa all’animale è chiesto un ruolo quasi prettamente sportivo o da compagnia, in alcuni Paesi – meno industrializzati – il suo compito è rimasto quello originario, dal trasporto all’importante mezzo di lavoro. Come ben ha precisato l’autrice Giulia Curti, proprio in questo senso il rapporto tra materialità e digitalizzazione e tra lentezza e velocità viene discusso in relazione all’evoluzione culturale e scientifica della società. Nel quadro delle quali, la seconda parte mette in evidenza il contributo fondamentale del cavallo negli ultimi duecento anni quale vettore di trasporto nei paesi industrializzati e non solo. Pur penalizzato dall’incessante progresso tecnologico, il cavallo sopravvive anche in epoca digitale sia come mezzo di trasporto nei paesi in via di sviluppo sia come strumento ludico, socio-sanitario e digitale nei paesi avanzati.

Per il prof. Gabriele Balbi, infatti, l’importante legame tra uomo e cavallo è una storia d’amore lunga e intramontabile, che dura da millenni. E che, fortunatamente, si è evoluta. Con però alla base sempre un’interfaccia intercreaturale che mette al centro l’animale nel sistema della comunicazione. Come l’ha ben evidenziato Giulia Curti infatti, ancora oggi, i cavalli sono chiamati a designare la potenza dell’automobile – ad esempio – o sono il simbolo della velocità per alcuni brand di fama mondiale, o, ancora, rispecchiano e veicolano il senso di libertà, fedeltà e affidabilità per altri marchi. Infine, il richiamo al famosissimo «cavallo di Troia» (la macchina da guerra che – secondo la leggenda – fu usata dai greci per espugnare la città), oltre all’uso letterario e corrente nel lessico comune, indica lo stratagemma per penetrare le difese, impiegato tutt’ora nell’epoca digitale con il termine classico per il virus «Trojan».

Cavalcando le difficoltà

L’universo-cavallo è tuttavia da esplorare a 360 gradi. Animale dalle mille anime e dal cuore grande, generoso e a volte fantastico (il principe che arriva su quello bianco…), a volte è anche caricaturalmente animato e proposto come «stupidino». Un lato, forse, vero che però è riscontrabile in tutti gli esseri viventi, a due, quattro zampe o gambe oppure, anche, senza arti inferiori. Quello che è certo è che al cavallo, domabile e – alla fine assai malleabile – nel corso degli anni e con uno sviluppo intelligente è stato richiesto di ricoprire altri ruoli, interagendo in modo diverso con l’uomo. Cosa avvenuta – ben inteso – anche con altri animali (pensiamo in particolare al cane o al coniglio, al furetto ecc.), ma che con il cavallo è stata gradualmente accettata e sperimentata senza timore. Lo sa bene chi possiede un animale: il fatto di doversene occupare porta ad assumere una responsabilità che ti insegnerà a farlo anche nella vita quotidiana, con un percorso di crescita stabile; il fatto di interagire con esso ti porta ad aprire il cuore ed è una terapia contro la depressione, la tristezza e i momenti bui. In questo senso l’Intervento Assistito con Animali di compagnia (IAA), altrimenti chiamata anche «pet therapy» consiste in una pratica in cui l'animale è inserito all'interno di un trattamento, con l'obiettivo di promuovere il miglioramento delle funzioni fisiche, sociali, emotive e cognitive ed è una delle funzioni più belle e intelligenti di interazione. Per quanto concerne il cavallo, che ricordiamolo è comunque un animale di stazza importante (dai 700 ai 1.000 kg a dipendenza della razza e dell’utilizzo) e che tendenzialmente può spaventare chi se lo trova davanti, il suo approccio alla disciplina ippoterapica è stato più semplice di quanto si potesse credere. Il suo impiego, infatti, consiste nella realizzazione di esercizi fisioterapici su base neurofisiologica con e sull’animale. Si cerca di ottimizzare alcuni dei benefici medici della terapia equina nell'ambito fisico, come la trasmissione del calore corporeo del cavallo alla persona, gli impulsi ritmici e il movimento tridimensionale.

Il cavallo e l’uomo comunicano con la gestualità naturale e la loro intesa nasce dalla giusta sintonia tra gesto ed emozioni. Se nelle persone disabili possono far difetto il linguaggio, la corretta gestione dei propri movimenti o se talune caratteristiche sensoriali sono carenti, ciò non costituisce un problema per il cavallo che è in grado di instaurare relazioni a prescindere dai canoni comunicativi dell'uomo. La comunicazione tra il diversamente abile ed il cavallo è facile ed immediata, poiché si basa sull’empatia; una chiave che apre tutte le porte della socializzazione, la stessa chiave che il cavallo utilizza per testare la qualità delle relazioni con gli altri esseri viventi. In Svizzera i fisioterapisti che praticano l’ippoterapia sono un’ottantina, di cui quattro in Ticino. La rieducazione equestre nel nostro Paese e nel nostro Cantone è convenzionata con l’Assicurazione Invalidità e le Casse Malati. Questo per le informazioni utili.

E se il cavallo salvasse il turismo?

Nel suo intervento, il prof. Marco Meneguzzo, dalla vasta esperienza nelle scienze economiche, ha sottolineato come la «Horse Industry», l’industria del cavallo in parole povere, in Europa abbia un fatturato di quattordici miliardi di euro. Con i sei milioni di cavalli distribuiti sul territorio ben si capisce come l’indotto in termine anche di posti di lavoro sia molto, molto importante. In questo senso anche nel settore del turismo, meglio definito come equiturismo si può, e si deve, ancora lavorare per rendere più attrattive le strutture, l’accessibilità al territorio e all’accoglienza. Emblematica è stata la scelta della cittadina costiera portoghese di Cascais, ad ovest di Lisbona, diventata leader europea dell’equiturismo. Lì hanno capito e gestito l’importanza di convertire e adattare le strutture alberghiere al bisogno di un accresciuto interesse da parte della gente per il turismo equestre, rendendolo sostenibile e visibile.

Durante la ricerca per la stesura di questo articolo informativo mi sono imbattuta in un progetto altrettanto interessante, concepito nel 2017 e arrivato a compimento due anni fa: un viaggio a cavallo lungo 4.000 chilometri che coinvolge e attraversa sei paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna) e che ripercorre i luoghi cardine della vita del leggendario moschettiere D’Artagnan, personaggio di Dumas ispirato alla reale figura di Charles de Batz de Castelmore.

Sarebbe possibile fare altrettanto in Svizzera e in Ticino? Evidentemente la risposta è sì. Tuttavia immaginiamo che il concetto non sarebbe lo stesso, vista la conformazione territoriale del nostro cantone. Da noi si è infatti sviluppato un turismo indirizzato più verso il trekking. Secondo il prof. Meneguzzo, bisogna cercare delle partnership adatte ad un processo equestre più lineare.

Collaborare con la politica

Per farlo però è necessario trovare una collaborazione con la politica. Cristina Maderni, entrata in Gran Consiglio per il PLR nel 2019 ha ereditato diversi dossier dal collega di partito Alex Farinelli, passato all’epoca al Consiglio Nazionale a Berna. In collaborazione con le diverse federazioni, tra cui quella ticinese, si sono individuati soprattutto due problemi in Svizzera. Il primo è la convivenza tra scuderie e il loro insediamento in zona agricola e la zona industriale, il secondo l’utilizzo delle strada da parte dei quadrupedi, che per la legge sono a tutti gli effetti dei mezzi di trasporto. Molto spesso la cittadinanza non è a conoscenza delle regole e non ha molto rispetto dell’animale, che seppur in parte abituato, resta comunque un essere che ha paura ed è l’anello debole della catena in caso di incidente. Lo scopo, afferma Maderni, è di sensibilizzare maggiormente i comuni alla segnaletica, alla cura dei sentieri e alla collaborazione.

Dedicato a Dario Bertoni

Profonde riflessioni, infine, sono arrivate dal collega Raffaele Soldati, il quale – come detto – da oltre trent’anni si occupa di sport per il CdT, ma appassionato di animali (cani, cavalli e asini) e amante della letteratura e della poesia degli autori scozzesi e irlandesi. Nella sua brillante e pacata postfazione dedicata al suo mentore Dario Bertoni, si è soffermato sulla «cultura del cavallo» e sulla sua presenza nella letteratura, nella prosa e nelle poesie e non solo nei volumi prettamente tecnici e didattici. Come dice, infatti, «la sua immagine è talmente universale da essere contemplata in riproduzioni antiche e in testi storici e militari». Confermando come testi letterari, poesie o canzoni parlino di cavalli, dall’antichità ai giorni nostri. Per Soldati la frase «Il cavallo ha aiutato, lavorato e combattuto dimostrando all’uomo che il meglio di sé lo dà disinteressatamente, senza chiedere in cambio favori e lodi» riassume al meglio il senso delle riflessioni del volume di Giulia Curti. E, aggiungiamo noi, della generosità di un animale che finirà mai di stupire per la sua leggerezza d’animo.

Finimenti e affini

Nel corso della storia dell’umanità L'evoluzione del cavallo è cominciata dai 55 ai 45 milioni di anni fa e ha portato dal piccolo Hyracotherium con più dita, al grande animale odierno, a cui rimane un unico dito. L'essere umano ha iniziato ad addomesticare i cavalli più tardi rispetto ad altri animali, attorno al 5.000 a.C. nelle steppe orientali dell'Asia, mentre in Europa non prima del III millennio a.C.

I cavalli della sottospecie caballus sono tutti addomesticati, sebbene alcuni di questi vivano allo stato brado come cavalli inselvatichiti, differenti rispetto ai cavalli selvaggi che, invece, non sono mai stati domati.

Uno studio del 2018 dell'Università del Kansas ha rivelato che anche i cavalli di Przewalski, precedentemente ritenuti gli ultimi cavalli selvaggi rimasti, sono in realtà i discendenti inselvatichiti di cavalli che erano già stati addomesticati 5.500 anni fa nel nord dell'attuale Kazakistan dal popolo Botai. Il cavallo ha accompagnato e accompagna tutt’oggi l'uomo in una notevole varietà di scopi: ricreativi, sportivi, di lavoro e di polizia, bellici, agricoli, ludici e terapeutici. Tutte queste attività hanno generato vari modi di cavalcare e guidare il cavallo usando ogni volta i finimenti più appropriati.

A Lugano vive il più importante collezionista di finimenti al mondo, o almeno la collezione più completa e costituita da migliaia di pezzi rari. Claudio Giannelli ha raccolto in più decenni, con pazienza e molta ricerca, una vasta ed esaustiva collezione di morsi antichi del mondo, nonché di altri oggetti di particolare rilevanza. Giannelli ha raccolto i pezzi più pregiati sul mercato antiquario e non solo, grazie soprattutto alla sua enorme competenza, sviluppata e affinata da anni di studio e rinforzata dalla sua esperienza di cavaliere («ogni giorno monto a cavallo») e confermata dalla sua carriera e dal suo percorso quale giudice della Federazione Equestre Internazionale.

La Collezione Giannelli gira il mondo e già nel 2018 fu ospite della Pinacoteca Züst a Rancate. 4.000 anni di storia del cavallo e dei suoi finimenti quest’autunno approderà al Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN), prima di partire verso Pechino e gli Emirati Arabi. Tra un anno tornerà in Italia e si sistemerà definitivamente presso la prestigiosa Reggia di Carditello, magione a San Tammaro, in provincia di Caserta. Giannelli avrebbe voluto che la sua collezione facesse l’interesse di Lugano, a cui quattro anni fa l’aveva proposta. Nessuna risposta, opportunità evaporata, collezione partita per altri lidi. Un’occasione, per la città sulle rive del Ceresio, non colta. Un vero peccato.