Uomo, città, energia: il futuro è nelle nostre scelte
Che in questi tempi difficili si sia circondati da crisi non è certo un mistero: tra guerre, pandemie, ambiente, crisi climatica, crisi economiche e politiche, sembra che ci sia una sorta di unità d’intenti nel mettere a nudo le fragilità della civiltà umana. Eppure, queste stesse istanze, se messe in una prospettiva oggettiva e analitica in un contesto complessivo, si mostrano come facce di uno stesso prisma che è la nostra realtà: questo è quanto fa Emanuele Saurwein - architetto, ricercatore, docente ed «esploratore» di un potenziale futuro di sostanziale integrazione tecnologica con HAB, progetto di ricerca che integra edifici, mobilità, alimentazione, consumi e intelligenza artificiale - nel suo saggio di recente pubblicazione per Mimesis / Architettura Per un domani.
Saurwein propone un’analisi della trasformazione del nostro rapporto con il progresso, con l’ambiente nel quale viviamo e con il sistema economico nel quale siamo immersi - quindi prevalentemente rivolto a quel 20% circa di popolazione mondiale che viene chiamata «primo mondo», quella che utilizza da sempre la maggior parte delle risorse del pianeta, che le trasforma e che, in parte, le spreca. L’analisi è stata fatta facendo delle precise scelte prospettiche che sin da subito pongono la sua analisi al riparo da critiche qualunquiste. Anzitutto premurandosi di sottolineare come il suo punto di vista sia adeguatamente rappresentativo di una certa posizione nel tempo - la generazione di chi è nato negli anni ’60, differenziandosi dalla generazione precedente e da quella successiva, alla quale è stata sottratta una porzione di futuro -, nel territorio (l’autore ha vissuto in molte città del mondo prima di stabilirsi a Lugano) e nella società (lavoro, casa, spostamenti). E poi ponendo due presupposti fondamentali: l’energia come chiave di lettura della storia evolutiva della società e la città come luogo di evidenza delle strutture e delle dinamiche della modernità sociale, economica e ambientale.
Ne emerge un’esposizione coerente e stratificata di come la città - e di conseguenza le nostre abitudini «energetiche» - sia passata, nell’ultimo secolo, attraverso due grandi fasi strutturali e di funzionamento (e ne prevede una terza nel futuro prossimo), nell’incontro tra vita e significato: «Noi siamo senza alcun dubbio la nostra impronta energetica. (…) Tutti noi esseri umani, nei secoli e con fatica, abbiamo dato all’energia la forma di città».
La città (e il modo nel quale viene vissuta) non è quindi semplicemente un conglomerato di parti più o meno funzionali, ma un vero e proprio specchio di un rapporto tra l’uomo e il mondo, tra i nostri istinti e gli oggetti materiali, tra le nostre nevrosi e idiosincrasie e un «oggetto organico» che non vive di per sé, ma si trasforma rispondendo alle nostre modalità di fruizione dell’energia - in senso lato. Mobile e dinamica, la città si può identificare in tre dimensioni formali distinte, che in un dickensiano percorso di (potenziale) redenzione emergono lungo la linea temporale che parte dalla Seconda Guerra mondiale e approda a un futuro possibile (a sua volta declinato in quattro scenari potenziali): «Fat City», «Fragmented City» e «Hybrid City».
La prima, definita «la città godereccia», delinea la città come è (stata) nel periodo del dopoguerra, della crescita economica infinita, del benessere oggettuale come identificazione con la felicità. Una città (e quindi una società) abitata e mossa dall’individualismo e costruita secondo questo paradigma, che divora energia e spreca risorse come se davvero fossero infinite. Un’attitudine radicata nel passato, ma dura da superare: troppo comodo continuare a vivere nell’illusione che tutto sia a nostra disposizione, che tutto sia lì a portata di mano - tecnologia, materie prime, servizi. Perché alla fine le conseguenze ci sono eccome: ecco la trasformazione nella seconda città, quella che viviamo nel presente.
Protesa verso il futuro, già adotta soluzioni virtuose, ma ancora non compie il grande passo verso una transizione sostenibile. È la città «confusa e globale»: «Fragmented City è una città estrema e isotropa fatta di abitazioni codificate, priva di luoghi, (…) personalizzata dagli stessi comportamenti, codificata da modelli di marketing e pubblicitari». In essa, grazie alla tecnologia e alla rinuncia al pensiero critico, costruiamo le nostre singolarità, le nostre unicità tutte uguali e con esse puntelliamo le nostre identità, dando un senso - quale? - alle nostre effimere esistenze: «(Nella Fragmented City) spensierato, io abito beandomi della crescita come valore fondante, poiché sostenuto da modelli di successo». Ma il costo, dice Saurwein, «è molto alto», poiché «il mio consumo mi definisce» e in questo «fornisco dati al sistema, il quale mi restituisce in pillole ciò che desidero e voglio».
Questa è la fase attuale della forma della città, anche se in realtà siamo già sbilanciati sulla forma futura, la «città ibrida», ovvero «la città delle scelte». È la forma che, sorgendo dalle vecchie concezioni che causano e convivono con le crisi che di volta in volta attribuiamo a singoli fattori per non vederne l’impianto complessivo, porterà uno scenario nuovo basato sulla tecnologia (principalmente l’intelligenza artificiale) da un lato e sulla consapevolezza del nostro ruolo nel determinare un futuro più o meno sostenibile.
Su questa «Hybrid City», Saurwein apre quattro possibili scenari nei quali il coraggio di compiere delle scelte orientate alla decostruzione di molti dei valori precedenti viene misurato in una scala progressiva di radicale trasformazione (urbana e umana). Scenari caratterizzati sostanzialmente da una visione del futuro che assume le fattezze di una speranza concretamente realizzabile: una nuova umanità che abita una nuova città, ripensata attorno alla sostenibilità energetica ed ai reali bisogni dell’essere umano: spazi, armonia con l’ambiente naturale, relazioni.