Mostre

L’ultimo monito dei sopravvissuti alla Shoah

La Fondazione Gamaraal dà voce alle testimonianze dei superstiti dell’Olocausto
Nina Weil, ad Auschwitz era soltanto il numero 71978.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
10.07.2019 06:00

Alla mezzanotte mancano ormai pochi, pochissimi istanti. Quando anche l’ultimo dei sopravvissuti all’abominio nazista non potrà più raccontare direttamente ciò che è stato, insieme alla tristezza e al dovere del ricordo per chi ha vissuto ciò che nessuno meriterebbe mai di vivere, per l’umanità intera si aprirà una fase nuova, una sfida della memoria che metterà a dura prova tutte le persone di buona volontà. Anche per questo la Fondazione Gamaraal nata cinque anni fa a Zurigo per sostenere i sopravvisuti alla Shoah sta divulgando in giro per il mondo l’esposizione The Last Swiss Holocaust Survivors che dopo essere stata visitata in molte città, fra cui Haifa in Israele, dove è tuttora esposta all’università, è ora in corso all’Historisches und Völkerkundemuseum di San Gallo e sarà di nuovo (dopo aver attirato grande interesse in maggio e in giugno) per tutto il mese di settembre al Memoriale della Shoah di Milano. «Ci troviamo in un momento cruciale per quanto riguarda la trasmissione delle conoscenze sull’Olocausto, poiché tra di noi rimangono soltanto pochissimi testimoni diretti– sottolinea Anita Winter, fondatrice e presidente della Gamaraal Foundation -. Al centro della mostra The Last Swiss Holocaust Survivors ci sono le testimonianze e i racconti dei sopravvissuti, che danno un carattere personale alla storia dell’Olocausto e la preservano per le generazioni future. I testimoni provengono da diversi Paesi europei e oggi vivono nella Svizzera tedesca, in quella francese e anche in Ticino. Essi sono rappresentanti di tutti coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto e hanno trovato in Svizzera una nuova patria. I commoventi ritratti mostrano i volti di persone cui fu negata la dignità umana. Sono volti segnati dalla storia della vita. Estratti di queste storie vengono mostrati nei toccanti film realizzati. Sono storie di sopravvivenza, ma anche storie di una vita dopo l’Olocausto. Tramite le biografie dei testimoni, l’esposizione intende mostrare a cosa può portare l’antisemitismo, che oggi si sta risvegliando in molti luoghi. Ricordare l’Olocausto vuole essere quindi anche un monito circa le tragiche conseguenze a cui possono portare il razzismo e l’antisemitismo». Con uno sguardo speciale e inedito sul nostro Paese. Quale Stato neutrale, la Svizzera uscì praticamente indenne dalla Seconda guerra mondiale. Ma chi sono gli svizzeri sopravvissuti all’Olocausto? All’epoca la stragrande maggioranza di loro non possedeva ancora la cittadinanza elvetica. Provenivano dal Reich tedesco o da altri Stati europei e, in quanto ebrei, diventarono oggetto della persecuzione nazista. Alcuni riuscirono a sopravvivere ai campi di concentramento e di sterminio, mentre altri riuscirono a fuggire o a nascondersi. La maggior parte di loro arrivò in Svizzera solo dopo la fine del conflitto. Solo al termine degli anni Novanta, nell’ambito del dibattito sugli averi non rivendicati e delle indagini storiche della Commissione Bergier, si è saputo che in Svizzera vivevano numerosi sopravvissuti alla Shoah. Nel 2017 e 2018 la Svizzera ha assunto la presidenza dell’International Holocaust Remembrance Alliance, e questa mostra vuole dare voce agli ultimi testimoni svizzeri.

Fra questi, anche Fishel Rabinowicz, giunto in Svizzera nel 1947 e poi decisosi a rimanere a Locarno, dove ha lavorato come capo decoratore in un grande magazzino. Andato in pensione a 65 anni, si dedica da vent’anni alla grafica e all’arte per raccontare la Shoah e per raccontarsi attraverso le immagini e le lettere ebraiche, spesso rappresentate iconograficamente al contrario o alterate per simboleggiare il «caos dell’epoca, quando ogni ordine era crollato». E la mostra ha anche il merito di non edulcorare la storia. Dal 1939, quando la Svizzera chiuse le frontiere ai profughi, l’unico modo per varcare il confine per queste persone disperate era quello illegale. Quando si diede inizio alla deportazione degli ebrei, la Svizzera rappresentava per molti l’ultima possibilità di salvezza. Tuttavia diverse migliaia di ebrei furono respinti alla frontiera, nonostante le autorità elvetiche sapessero già dal 1942 che questi esseri umani andavano incontro a una morte praticamente certa. Coloro che riuscirono a raggiungere clandestinamente il centro del Paese, non furono più espulsi, ma rinchiusi ( e salvati) in campi di internamento. In Svizzera, alla fine della guerra, si contavano infatti oltre cinquantamila rifugiati, tra cui circa ventimila ebrei, il cui status di perseguitati venne riconosciuto come motivo di accoglimento soltanto nel luglio 1944. Poi a seguito della rivoluzione ungherese del 1956 e della Primavera di Praga del 1968 vennero accolte altre migliaia di profughi. Fra questi vi erano anche sopravvissuti all’Olocausto (come Nina Weil tra le protagoniste della mostra), benvenuti in quanto oppositori del comunismo. I superstiti all’orrore nazista sanno che la storia si può ripetere, perché hanno visto con i propri occhi di cosa è capace l’uomo. I loro ritratti ci sbattono in faccia la realtà di persone cui in nome di un’ideologia folle, violenta e brutalmente razzista è stata negata l’umanità. Ora il loro compito di testimoni è terminato. Dobbiamo rendere loro omaggio e, anche grazie ad iniziative come questa, assumerci il gravoso dovere della memoria.