L'analisi

Ma il modello del «second-hand» è davvero sostenibile?

Il settore della rivendita di abiti e oggetti usati ha conosciuto una forte, fortissima crescita negli ultimi anni: si tratta realmente di una soluzione ecologica rispetto alla moda usa e getta?
Sara Fantoni
15.03.2025 22:33

Second-hand o fast-fashion? Non è un segreto per nessuno che gli ultimi anni hanno visto crescere il mondo del second-hand – quello della rivendita di abiti ed oggetti usati, per intenderci – associandolo inevitabilmente alla ricercata sostenibilità dell’industria dell’abbigliamento. Ma fast-fashion e second-hand sono davvero antagonisti? Possiamo realmente vedere nella crescita del mercato dell’usato una soluzione ecologica rispetto alla moda ‘usa e getta’?

Un mercato dal valore in forte crescita

Tra negozi fisici, mercatini e piattaforme online quali ThreadUp, Depop e Vinted il valore globale di questo mercato – ancora in crescita secondo le previsioni di Statista – è stato valutato di 230 miliardi di dollari nel 2024.

A premere in favore di acquisti di seconda mano è in particolare la Gen Z che è in prima linea nel voler supportare un mercato più sostenibile ed economico. In particolare, una ricerca del 2023 evidenzia come i consumatori di Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna identifichino nell’accessibilità del prezzo di questi beni di consumo la prima ragione per comperare abiti di seconda mano e come per un 40-50% degli intervistati la motivazione principale riguardi la sostenibilità dell’acquisto. Un atteggiamento realmente necessario?

È necessario «un intervento drastico», non un semplice cambiamento

A seguire il settore energetico e quello dei trasporti sul podio delle prime fonti di emissione globale di carbonio troviamo l’influenza delle industrie sull’ambiente. In questo senso, negli ultimi anni è stato posto un accento particolare sui processi produttivi e operativi dell’industria del fashion. La crescente pressione sulla trasparenza di queste industrie permette di evidenziare un’emissione di gas serra che si aggira attorno agli 879 milioni di tonnellate di anidride carbonica – benché i dati provenienti da questo settore rimangano incompleti o incerti. Tuttavia, secondo le stime dei ricercatori, in assenza di interventi drastici, entro il 2030 questo dato potrebbe aumentare oltre le 1,2 miliardi di tonnellate.

Second-hand e fast-fashion: un incontro paradossale?

Se, dunque, il valore di questo mercato si sviluppa proporzionalmente all’attenzione dei consumatori verso la sostenibilità, l’impatto ambientale dell’industria dell’abbigliamento non sembra diminuire, come ci si potrebbe aspettare. Al contrario, è in continua crescita. Un articolo di Caritas Ticino mette in evidenza, infatti, come oggi, rispetto a quindici anni fa, si acquistino il 40% di indumenti in più conservandoli però «nella misura di due volte in meno».

Questa discrepanza, che vede come protagonisti l’attenzione alla sostenibilità, la crescita del mercato dell’usato, ma anche la persistenza dell’industria del fast-fashion, si spiega secondo quella che potrebbe essere definita come la fast-fashionization of second-hand – ovvero la trasformazione dei beni di seconda mano in moda ‘usa e getta’.

La continua immissione di nuovi articoli di seconda mano – un fenomeno che meriterebbe un approfondimento a parte in quanto l’aumento della merce usata non sempre può essere rivenduta e, di conseguenza, non sempre trova sbocchi sostenibili – il richiamo delle ‘occasioni imperdibili’ e la facilità di rivendere rapidamente i prodotti comperati, rischiano di trasformare il second-hand in un ulteriore incentivo all’acquisto consumistico tipico del fast-fashion. In un articolo, il brand svizzero eco-friendly Clother, definisce questo fenomeno come il ‘paradosso del second-hand’ evidenziando che, sebbene il mercato dell’usato riduca la produzione di nuovi capi, può comunque stimolarne la domanda, creando così un paradosso.

Un acquisto sostenibile è un acquisto consapevole

Perciò, nonostante l’attenzione del mercato economico stia evolvendo sempre più in favore del second-hand rispetto al fast-fashion – è infatti previsto che nel 2027 il valore globale di questo mercato raggiunga i 185 miliardi di dollari contro i 342 del second-hand, con una crescita rispettiva del 20% e del 185% tra il 2019 e il 2029 – l’azienda svizzera Clother ritiene importante sottolineare: «È fondamentale prendere coscienza delle proprie reali esigenze, acquistare con discernimento e privilegiare la qualità rispetto alla quantità... anche quando si tratta di mercato dell’usato!». Questo per evitare quello che il The Guardian definisce come «un altro tipo di sovraconsumo».

Il second-hand è dunque il nuovo oggetto da demonizzare? Assolutamente no, ma «L’acquisto di seconda mano – ribadisce Clother – non deve essere finalizzato a comprare di più, ma a comprare meglio».

In questo articolo: