Teatro

«Macbeth», la tragedia che nasce dall’invidia

Debutta giovedì sera al LAC la nuova produzione di LuganoInScena diretta da Carmelo Rifici
Un momento dello spettacolo (© LAC/Studio Pagi)
Laura Di Corcia
07.01.2020 06:00

Due anni. È questo il tempo servito per l’elaborazione di Macbeth e le cose nascoste, la nuova produzione del LAC firmata dal direttore artistico di LuganoInScena Carmelo Rifici. «Questa tragedia si porta dietro qualcosa di estremamente turbolento e antico. Shakespeare sapeva come funzionava l’uomo prima che iniziasse a ragionare, vedeva oltre – spiega Rifici in occasione della presentazione alla stampa dello spettacolo, che debutterà giovedì prossimo, 9 gennaio, alle 20.30 (replica il giorno dopo, alla stessa ora).

Follia di onnipotenza

Macbeth, lo ricordiamo, è la tragedia del potere e di come questo si insinui nella mente dell’essere umano stravolgendone i principi morali. «La sua scalata al successo lo porta ad una follia di onnipotenza» continua Rifici. «Come ogni onnipotente viene dapprima amato dal popolo e poi, improvvisamente, e nella maniera più violenta, distrutto». Un Macbeth in cui il personaggio del titolo si fa letteralmente in tre grazie a Tindaro Granata, Christian La Rosa e Angelo Di Genio, tutti Premi Ubu, le cui mogli sono incarnate da Elena Rivoltini, Leda Kreider e Maria Pilar Pérez Aspa, mentre il giovane Alessandro Bandini impersona gli sfortunati figli della tragedia scozzese.

«Il numero tre è un numero importantissimo in questa tragedia. Tre sono i protagonisti del Macbeth, tre le parti che compongono Ecate, il mito che sta dietro le streghe, tre sono le età dell’uomo, tre è il numero perfetto, su cui si è stabilito tutto l’Occidente. Con questo numero dialoga il due, che porta il caos nel mondo: Caino e Abele, Adamo ed Eva, Occidente e Oriente. Il due in questa tragedia è rappresentato dal rapporto fra Lady Macbeth e Macbeth, ma anche dalla relazione fra Macbeth e Banquo».

Nel segno di Jung

Per accedere meglio a questi contenuti, di tipo archetipico, il regista ha voluto chiedere l’aiuto ad un grande pensatore del Novecento, oltretutto legato al nostro territorio: Jung. «Rispetto a Freud, Jung ha lavorato sull’inconscio anche utilizzando degli strumenti misterici, che fanno parte di questo testo, strettamente intrecciato nel suo significato profondo con il tema del mistero».

«Volevamo capire che cosa succede all’uomo contemporaneo quando incontra il Macbeth – spiega Angela Demattè, che da tempo collabora alla scrittura degli spettacoli di Carmelo Rifici (ricordiamo Ifigenia liberata e Avevo un bel pallone rosso) - e per questo abbiamo pensato di rivolgerci alla psicanalisi, promuovendo degli incontri fra gli attori stessi e gli psicoanalisti junghiani Giuseppe Lombardi e Luciana Vigato. Quindi nella prima parte dello spettacolo il pubblico vedrà proprio questo setting».

Se all’inizio gli attori si metteranno a nudo per fare in modo che Macbeth entri in loro, nella seconda parte dello spettacolo ci sarà la calata nei personaggi, mostrando al pubblico le relazioni che li muovono. «E queste non hanno a che fare davvero con il Potere – precisa Rifici – ma più che altro con i problemi che l’umanità si porta dietro. Noi desideriamo continuamente, desideriamo tutto ciò che non possiamo avere. Il Macbeth è un grande testo sull’invidia, che genera caos nel mondo ma che è l’unico strumento che abbiamo per andare avanti. Se non invidiamo, non cerchiamo nuove strade. Questo è l’assunto su cui si muove la tragedia: l’invidia ci rende animali aggressivi e pericolosi, privi di scrupoli, ma l’invidia è l’unico strumento che abbiamo per imitare il meglio e crescere. È terribile e necessario».

Arrivano le streghe

Nella terza parte il dramma abbandona i personaggi al loro destino infausto ed entra in un territorio archetipico: quello delle streghe. «Il regno delle streghe è un regno primitivo che stiamo pericolosamente dimenticando – aggiunge Rifici. «Stiamo dimenticando il nostro rapporto con la terra, il nostro rapporto con i riti, anche con quelli religiosi (non si parla ovviamente di una religione precostituita). È un mondo che stiamo abbandonando, perdendo quindi delle conoscenze fondamentali, una sapienza che le streghe continuano a ricordarci. È quella dell’essere umano che è capace di stare con le mani nella terra e comprendere la sua misteriosa circolarità, fra vita e morte, fra essere e non essere: tutti temi che Shakespeare sa condurre molto bene». Il regista conclude con un riferimento alla nostra terra: il Ticino. «Lo spettacolo ci ricorda che il Ticino fino a poco tempo fa era un luogo abitato da pescatori, contadini, persone che avevano le mani nella terra». Un Macbeth che non fugge di fronte alla complessità, se è vero, come spiega la Dramaturg Simona Gonella, che il teatro deve soprattutto confrontarsi con il dubbio, cercare più che trovare. Il delicato compito di accompagnare la visione è stato affidato al musicista Zeno Gabaglio e all’artista Piritta Martikainen, autrice del video che esplora il legame fra natura e subconscio, fra passato e presente, immaginazione e realtà.