Filosofia

Max Stirner e lo scandalo del libro maledetto

Pubblicata una nuova edizione commentata del famigerato «L’unico e la sua proprietà»
Arnold Böcklin L’isola dei morti (1880-1886) nella sua terza versione, olio su tavola, cm. 80x150, custodita a Berlino.
Manuel Guidi
17.12.2018 19:00

In un’immaginaria biblioteca dei libri maledetti, L’unico e la sua proprietà avrebbe di certo un posto d’onore. Leggerlo significa esporsi a un’implacabile opera di distruzione: religione, Stato, spirito, valori umanitari o sistemi etici, per Stirner sono solo spettri che tormentano e opprimono l’individuo. Per questo suo nichilismo e per aver celebrato l’ego al di sopra di tutto, Johann Caspar Schmidt (Bayreuth, 1806 - Berlino, 1856) – chiamato Max Stirner per la sua fronte alta, come si vede da una caricatura per mano di Engels – è tra i più vituperati filosofi della storia. Considerato una sorgente primigenia dell’anarchismo individualista, la sua eredità e la sua influenza si sono estese fino all’esistenzialismo e al post-strutturalismo. Rimane però un filosofo scandaloso, traghettato nella storia del pensiero più per il tramite dei suoi critici, Marx e Engels in primis, che dei suoi seguaci. Quando Plechanov, padre del marxismo russo, gli attribuì la paternità dell’anarchismo non volle certo lodarlo. Eppure Stirner è riuscito in qualche modo a rimanere a galla nel mare magnum dei verdetti di condanna e alla fine è stato tradotto in decine di lingue. In italiano le edizioni sono già parecchie, cui ora si aggiunge il volume Bompiani della collana «testo a fronte» a cura di Sossio Giametta, già traduttore di Schopenhauer e Nietzsche. La sua traduzione dell’Unico, rispetto alle precedenti, cerca la fedeltà senza tuttavia trascurare l’espressività del testo. Prima edizione italiana con testo tedesco a fronte, il volume permette al lettore di apprezzare anche la prosa originale stirneriana.

Un maestro occulto

Stirner è di sicuro all’origine di quella «filosofia del martello» che Nietzsche, come è stato detto, era troppo irrimediabilmente educato per praticare fino in fondo. L’influenza di Stirner su Nietzsche è stata notata da molti, tra cui Gilles Deleuze, ma fu all’epoca recisamente negata dalla sorella Elisabeth, famosa per aver stravolto il pensiero nietzscheano in senso filonazista. Oggi sappiamo però che Nietzsche prese in prestito l’Unico alla biblioteca di Basilea e che ne raccomandò la lettura al suo discepolo Adolf Baumgartner, il quale raccontò in un’intervista che Nietzsche riteneva l’Unico «quanto di più audace e consequenziale sia stato pensato dopo Hobbes». Inoltre, secondo la testimonianza di Ida Overback, sembra che Nietzsche temesse addirittura di essere accusato di plagio nei confronti di Stirner. La loro vicinanza è infatti abbastanza chiara: dalla difesa dell’egoismo all’anelito a «diventare se stessi», dalla «volontà di potenza» alla trasvalutazione di tutti i valori.

Eppure, ogni simpatia per Stirner rimane qualcosa di inconfessabile e sono a tutt’oggi pochi coloro che lo citano come un filosofo rispettabile e non come un eccentrico a margine della filosofia. Un’eccezione notevole e abbastanza recente è Jacques Derrida, che in Spettri di Marx ricorreva a Stirner per parlare di spettralità. I più lo hanno comunque giudicato uno spaccone, un degenerato e uno psicopatico: la sua «bohème avvolta di fumo di sigaro è nauseante» diceva Carl Schmitt, il «Kronjurist» del Terzo Reich, mentre nella sua cella a Norimberga leggeva Der Einzige und sein Eigentum, titolo che giudicava però «più bello e comunque più tedesco di tutta la letteratura tedesca». Tuttavia, sembra che Stirner non fosse quel tipo di persona. Secondo Fritz Mauthner, fu invece un uomo silenzioso e nobile, un ribelle interiore più che un agitatore politico, un incorruttibile che fece sempre più o meno la fame. Questi due giudizi opposti sono quelli scelti da Giametta in apertura del suo saggio introduttivo.

La lettera scomparsa

Stirner fu il più estremo degli hegeliani di sinistra, il gruppo di filosofi che a metà Ottocento trasse da Hegel le conclusioni più radicali e rivoluzionarie, come Ludwig Feuerbach, Bruno Bauer, Arnold Ruge e naturalmente Karl Marx. Marx fu un attento lettore di Stirner. Con Engels, lo chiamavano con sarcasmo «San Max», ma forse in qualche modo lo temevano. Quando Engels lesse l’Unico ne rimase colpito e in una lettera a Marx del 1844 non celò la propria simpatia per Stirner, descrivendolo come un «Bentham ateo» e un «empirista filtrato da Hegel». La replica di Marx è andata perduta ma ci è pervenuta la successiva risposta di Engels, in cui fa ammenda del proprio iniziale entusiasmo. Possiamo solo immaginare le parole della lettera di Marx, ma è plausibile che contenesse in forma embrionale le critiche che saranno dell’Ideologia tedesca, l’opera in cui Marx e Engels demolirono le filosofie «concorrenti» di Feuerbach, Bauer e soprattutto Stirner, attraverso un’analisi riga per riga dell’Unico. È però ipotizzabile che in quella lettera Marx avesse altresì cercato di venire incontro alle opinioni dell’amico. Per questo c’è stato anche chi ha insinuato che la lettera fu fatta sparire. L’ideologia tedesca fu abbandonata in soffitta, preda della «critica roditrice dei topi» e fu pubblicata quasi un secolo dopo. Per i suoi autori fu un’autochiarificazione, ma per la critica rappresenta un punto di svolta che segna il passaggio di Marx dalla fase umanistica e filosofica a quella scientifica e storica. All’inizio infatti Marx usava il termine «materialismo» in un’accezione negativa ed è allora verosimile che l’estremo materialismo stirneriano abbia svolto un ruolo nell’evoluzione del suo pensiero. Dopotutto, come scrisse Engels a Marx, i due si rendevano perfettamente conto di essere «...comunisti anche per egoismo, [di voler] essere uomini e non soltanto individui, per egoismo.