L'intervista

«Basilea è solo una tappa del mio percorso musicale»

Eurovision Song Contest: mentre a Basilea fervono i preparativi, anche i cantanti hanno iniziato la lunga marcia di avvicinamento alla kermesse – Tra loro anche Zoë Më, chiamata a rappresentare il nostro Paese – L'abbiamo incontrata
©DAVIDE AGOSTA
Mauro Rossi
08.04.2025 06:00

Manca ormai poco più di un mese all’atteso appuntamento con l’Eurovision Song Contest che, a trentasei anni di distanza (Losanna, 1989) torna in Svizzera dopo la vittoria, dodici mesi fa, di Nemo a Malmö. E mentre a Basilea fervono i preparativi, anche i cantanti hanno iniziato la lunga marcia di avvicinamento alla kermesse. Tra loro anche la 25.enne Zoë Anina Kressler, in arte Zoë Më, chiamata a rappresentare il nostro Paese con la canzone Voyage che ieri ha ufficialmente presentato al pubblico della Svizzera italiana con uno showcase alla RSI. L’abbiamo incontrata.

In quanto artista un po’ atipica rispetto agli abituali standard dell’Eurovision Song Contest (il genere che da anni propone è  più vicino al cantautorato che al pop  di facile consumo che caratterizza la rassegna) quanto è rimasta sorpresa  di essere stata scelta per rappresentare la Svizzera?
«C’è stata, in effetti un po’ di sorpresa, ma anche tanta felicità nel ritrovarmi all’interno di un contesto che ho cominciato a conoscere quando Gjon’s Tears vi ha partecipato nel 2021. E che apprezzo in quanto, artisticamente, trovo che celebri le differenze artistiche che sono un po’ la mia caratteristica. Anche la mia musica vive infatti di differenze: linguistiche, in quanto scrivo e canto sia in  tedesco sia in francese, ma anche stilistiche visto che è in bilico tra la dimensione cantautorale e  il pop. Tuttavia non credevo che a distanza di qualche anno avrei potuto prendervi parte.  Nel caso mi si fosse presentata l’occasione di parteciparvi, ho sempre pensato che  lo avrei fatto a condizione di presentare una canzone che mi rappresentasse al 100%. Beh, è accaduto, e non posso che essere felice di ciò».

Lo ha ammesso anche lei: la sua Voyage non rientra tra quelle che si è soliti associare all’Eurosong. Crede che la scelta da parte svizzera di concorrere con una ballata molto dolce e intimista stia stata facilitata dal fatto di avere, in quanto Paese organizzatore, l’accesso diretto alla finale, senza doversi sottoporre alle insidiosissime qualificazioni?
«Credo anzitutto che Voyage sia una bella canzone. Certo il fatto di non dover passare attraverso le semifinali ha consentito  di fare una scelta che privilegiasse  l’aspetto artistico piuttosto che quello spettacolare: elemento importante nelle semifinali dove è necessario far presa immediatamente sul pubblico che ti deve giudicare in tre minuti. Però vedendo le super positive reazioni che il variegato universo gravitante attorno al festival ha avuto nei confronti della canzone e del video che l’accompagna e l’apprezzamento al fatto che la Svizzera, da campione uscente, abbia fatto una scelta così particolare mi lusinga. Come - è inutile negarlo - sono felicissima di non dover passare attraverso le terribili e pericolosissime qualificazioni...»

Come sono cambiate le cose, per lei, quando ha saputo di essere scelta per Basilea?
«È stato tutto un po’ surreale. La notizia mi è giunta infatti un giorno di dicembre mentre ero in treno, ed è stata  accompagnata da una raccomandazione:  non esultare in maniera scomposta perché  per un po’ di tempo la cosa non deve essere resa nota.  Ho dunque esultato solo dentro di me, una sorta di  “quiet party” come dicono gli inglesi,  durato un paio di mesi un po’ complesso da gestire. A livello artistico invece non è cambiato alcunché: ho sempre lavorato  in una dimensione cantautorale pop, e anche nel caso di Voyage, non ho fatto alcun calcolo né quando l’ho scritta né quando l’ho presentata  alle selezioni e tanto meno quando ho saputo che la canzone era stata scelta.  Faccio musica  da quando ho dieci anni, ho studiato cercando di migliorarmi costantemente come musicista e come interprete ed è quello che continuerò a fare. Artisticamente nulla è cambiato e nulla cambierà: certo ci sarà più gente che potrà entrare in contatto con la mia musica ma Eurosong rimane una tappa all’interno del mio percorso, non un punto d’arrivo».

La sua presenza al concorso e il fatto che negli ultimi anni molti Paesi abbiano iniziato ad abbandonare quel «trash» che per anni ha caratterizzato la kermesse, sono a suo avviso il segnale che all’Eurovision Song Contest  qualcosa stia cambiando?
«Secondo me c’è meno omologazione rispetto al passato. Lo si nota dal fatto che sempre più Paesi propongono canzoni nella propria lingua e credo che in futuro si andrà sempre più in questa direzione. Non dimentichiamo che  il concorso  nacque proprio per mettere in evidenza la diversità delle culture musicali nel continente. Trovo dunque positivo  che dopo anni si standardizzazione si stia andando in questa direzione».

A proposito di idiomi: lei è notoriamente  bilingue, ma si sente più francofona o germanofona?
«La mia lingua materna è il tedesco, i miei genitori sono basilesi, ma è da quando ho 9 anni che vivo a Friburgo, quindi anche se non è la mia lingua materna  mi esprimo con grande facilità in francese, lingua che tra l’altro amo profondamente».

Ma in  che lingua pensa e compone?
«Dipende dal contesto. Quando sono con qualcuno che parla tedesco,  automaticamente mi ritrovo a pensare in quella lingua.  Quando sono con i miei migliori amici che sono francofoni, penso in francese. Per ciò che riguarda la composizione dipende dal messaggio che intendo veicolare.  Nel caso di  Voyage, ad esempio, visto che parlo di fiori e di come sono più belli quando li innaffi ho scelto il francese che mi sembrava più adatto per supportare un’immagine così dolce e delicata. E credo che sarà così anche in futuro: è mia intenzione continuare a scrivere sia in francese sia in tedesco a dipendenza dell’argomento o a mescolare le due come ho fatto fino ad oggi».

Un pensierino all’italiano non lo ha mai fatto?
(Ride - n.d.r.) «Sì perché è una lingua che adoro, tanto che a 12 anni il primo corso a scuola che scelsi fu proprio quello  di italiano. Purtroppo però la mia professoressa mi disse che   avevo un accento orribile e che sarebbe stato meglio per me rinunciare. Ed è stato un trauma che oggi non sono ancora riuscita a superare...».

In attesa di riavvicinarsi  alla lingua di Dante, ha iniziato a programmare il post-Basilea?
«Subito dopo il concorso pubblicherò una nuova canzone e mi esibirò in vari festival estivi seguendo un programma  che era stato pianificato  prima di Eurosong e che prevede, in autunno anche un tour nei club svizzeri. Ma senza stravolgimenti perché, lo ribadisco,  la mia presenza sul palco di Basilea non è un punto d’arrivo ma semplicemente una splendida parte – ma solo una parte - del percorso musicale  che ho intrapreso e che intendo seguire».