Cercavamo i nuovi mostri tra i cantanti di Sanremo, ma eravamo noi
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Ho sempre trovato tremendamente interessante la sociologia fenomenologica che si sviluppa intorno al Festival di Sanremo e che è impossibile da capire attraverso lo schermo della televisione. Un carrozzone, ho letto spesso e giustamente dai colleghi che mi hanno preceduto in passato alla kermesse sulle colonne del Corriere del Ticino, di personaggi in disperata ricerca di visibilità, tra improbabili sosia di volti noti del mondo dello spettacolo ad artisti di strada, non necessariamente con un reale talento da esibire.
La prima volta che sono sbarcato al Festival è stato nel 2020 e, dopo soli pochi minuti dal mio arrivo, mi sono imbattuto in una discutibile sosia di Cleopatra, che raccontava di vantare innumerevoli apparizioni a Ciao Darwin, la quale mi ha chiesto di poterle fare un’intervista mentre, pochi metri più avanti, un signore vestito da Spiderman si esibiva in passi di break dance sulle note di A me me piace ‘o blues di Pino Daniele. Mi sembrava di essere immerso in uno scenario felliniano, nello specifico la prosecuzione del finale di 8 1/2, con l’indimenticabile sfilata del circo.
Ma, durante la prima serata del Conti bis, mi sono reso conto di aver sbagliato tutto. Non ero di fronte alle visioni oniriche di Federico Fellini, bensì allo sguardo critico, talvolta feroce, di Paolo Villaggio nell’universo di Fantozzi. Il forzato perbenismo portato da Carlo Conti, anche con la voglia di portare un certo cantautorato più intellettuale, si è squagliato al sole di fronte a delle versioni attualizzate dei Filini, dei Calboni e delle signorine Silvani che, in smoking o impellicciati, alla prima occasione hanno abbandonato ogni malcelata formalità per risvegliare i loro istinti più primordiali.
Come se l’urlo «Si’ na preta» di un giovane salernitano a Rose Villain avesse dato il permesso a tutti gli altri spettatori di dover per forza essere simpatici e brillanti, interrompendo con i loro apprezzamenti fuori luogo e non richiesti quei secondi di silenzio necessari all’artista, meglio ancora se donna (ça va sans dire, come si usa dire a Muzzano), per concentrarsi e interpretare al meglio il brano.
Ma l'apice di questo delirio festivaliero ha visto protagonista un'elegante signora di una certa età che, vedendo passare Jovanotti durante l’esibizione, ha abbandonato ogni pudore e lo ha letteralmente placcato, tenendo il microfono e urlando frasi isteriche. Rischiando di far cadere un quasi sessant’enne (il tempo passa per tutti lo sai, direbbe Max Pezzali, aimé) di quasi due metri e reduce da un gravissimo incidente alla gamba.
Per non parlare degli ululati che in sala stampa hanno accompagnato l’esibizione di Clara. Abbiamo passato tutta la prima serata ad aspettare che qualche cantante sbragasse, diventando il mostro su cui puntare il dito. E invece abbiamo scoperto che i veri mostri eravamo noi.