L'anniversario

«Do they know it’s Christmas» compie quarant'anni

Nella storia della beneficenza-spettacolo c’è stato un prima e un dopo l’operazione con cui il supergruppo Band Aid raccolse fondi per aiutare l’Etiopia
Stefano Olivari
07.12.2024 18:45

Nella storia della beneficenza-spettacolo c’è stato un prima e un dopo Do they know it’s Christmas?, l’operazione con cui il supergruppo Band Aid raccolse fondi per aiutare l’Etiopia. Il 7 dicembre del 1984 Bob Geldof e Midge Ure animati forse dalle migliori intenzioni crearono un fenomeno presto sfuggito di mano, imitato dai troppi che hanno usato buone cause per mascherare limiti artistici e insuccessi commerciali. Ma a noi interessano l’originale e la sua magia: a quarant’anni di distanza è incredibile il breve tempo in cui l’idea nacque e fu realizzata, con successo mondiale immediato e duraturo. E nuove versioni a cadenza decennale, come quella uscita pochi giorni fa.

L'idea

Se tutti hanno visto il celebre video del 1984 con Bono, George Michael, Simon LeBon, Tony Hadley, Sting, eccetera, e l’ancora più celebre versione del Live Aid dell’anno dopo, cantata a Wembley anche da David Bowie, Elton John, Freddie Mercury e Paul McCartney, quasi nessuno ricorda quanto fu improvvisata la prima registrazione. La sera del 23 ottobre di quell’anno la BBC mandò in onda un reportage di Michael Buerk, che raccontava la storia di un’infermiera volontaria in Etiopia, Claire Bertschinger, inglese di padre svizzero, costretta per la mancanza di cibo e medicinali a scegliere quali bambini salvare e quali no. Davanti al televisore c’erano Bob Geldof, leader dei Boomtown Rats, sconosciuto al di fuori dell’Inghilterra, e la futura moglie Paula Yates, presentatrice e idolo assoluto dei tabloid per le sue vicende private (sarebbe stata legata anni dopo a Terence Trent D’Arby, a Michael Hutchence, addirittura a Rupert Everett), molto più famosa di lui. Il 2 novembre la Yates ospitò gli Ultravox nella trasmissione che conduceva su Channel 4, The Tube, e fu lì che il loro leader Midge Ure entrò in contatto con Geldof, che già comunque conosceva: si dissero a vicenda che bisognava fare qualcosa per l’Etiopia, che non si poteva girare la faccia dall’altra parte. Uno di quei miliardi di discorsi che di solito finiscono in niente. Ma non fu quello il caso, perché tre giorni dopo Geldof telefonò a Ure e decisero di fare un disco di beneficenza, il più importante mai registrato.

Il tempo

A questo punto mancavano gli interpreti, il tempo per produrre e distribuire il disco, la programmazione per promuoverlo. Soprattutto mancava la canzone. Mentre Ure iniziò a pensare alla melodia Geldof usò tutti i numeri della sua agenda di modesto cantante ma di grande uomo di pubbliche relazioni: in breve gli dissero di sì tutti, ma proprio tutti, gli unici rifiuti dipesero da concerti già programmati e altri impegni discografici, come nel caso di Bowie e McCartney che comunque sostennero l’operazione Band Aid parlandone e promuovendola ovunque. Continuava però a mancare la canzone e si pensò, in mancanza di ispirazione, di fare una cover di un pezzo natalizio famoso: a metà novembre questa era la convinzione di Geldof e Ure. Ma così i diritti d’autore non sarebbero certo andati all’Africa, quindi per assurdo fu più facile creare da zero una canzone eterna che mettersi d’accordo sui diritti di canzoni già esistenti. Geldof per il testo riciclò una cosa già scritta per il suo gruppo ma mai incisa, Ure compose su una tastiera portatile una melodia che gli sembrava natalizia anche se non lo convinceva affatto: tuttora afferma che quasi se ne vergogna, pur essendo contento per le persone che ha aiutato. Speravano che a mettere tutto insieme fosse Trevor Horn, ma il grande produttore disse che non gli piaceva lavorare con i minuti contati e mise a disposizione soltanto lo studio e in una data sola, fra il 24 e il 25 novembre: che ci pensassero Geldof e Ure a tirare fuori qualcosa che sembrasse professionale.

Razzismo

Fra le mille cose dette sulla canzone, al di là delle critiche generalmente negative sulla sua qualità musicale, peraltro condivise dagli autori, quella meno simpatica riguarda il tono vagamente colonialistico di tutta l’operazione, rischio sempre presente quando in Gran Bretagna si parla di Africa. La famosa parte cantata da Bono, «Well tonight thank God it’s them instead of you», in sostanza «Meno male che non è toccato a noi», era un po’ imbarazzante anche per i canoni di correttezza politica dell’epoca. Nelle successive incisioni il leader degli U2 avrebbe cambiato il verso, ma quelle parole sono rimaste un po’ come emblema di un atteggiamento da uomo bianco che si fa carico del fardello dell’Africa, nell’accezione alla Kipling. Molte critiche si attirò anche il considerare l’Africa un tutt’uno, senza differenze, cosa che uno non farebbe mai con l’Europa, l’America o l’Asia. Senza contare il fatto di giocare sull’ignoranza dell’esistenza del Natale, proprio con l’Etiopia dove c’è una delle maggiori comunità cristiane d’Africa. Tutte cose parzialmente sistemate nelle versioni successive, a volte con toppe peggiori del buco (come la sostituzione dell’Ebola alla carestia), ma che scompaiono di fronte alla quantità di fondi raccolti e per avere innescato un meccanismo che avrebbe per molti anni ben disposto l’occidentale medio nei confronti dell’Africa. È questa la posizione di Geldof, che più volte se l’è cavata con una battuta («Sono responsabile di due delle peggiori canzoni della storia. L'altra è We Are the World») e con una sottolineatura orgogliosa: «Questa piccola canzone pop ha aiutato milioni di persone».

I decenni

La seconda versione per così dire ufficiale, registrata nel 198 con il nome di Band Aid II e la supervisione di Stock, Aitken e Waterman, fu incisa da artisti quasi tutti (eccezione per la Bananarama e pochi altri) diversi da quelli del 1984: Kylie Minogue, Lisa Stansfield, Jimmy Somerville…  Di davvero nuovo ci fu l’intervento di Buerk, cioè il giornalista della BBC dal quale era nato tutto. Del 2004 è la terza versione, per il ventesimo anniversario, con il ritorno in pista di Geldof e Ure, e del 2014 la quarta, questa con cambiamenti sostanziali al testo, fra cui spicca il celeberrimo «Feed the world» trasformato in «Heal the world». Da nutrire il mondo a guarire il mondo, chissà quale ragionamento c’era dietro. E arriviamo finalmente ai giorni nostri, con la versione uscita lo scorso 25 novembre che ha cercato di unire modifiche al testo e originale, con risultati emozionanti. Un Trevor Horn questa volta avvertito per tempo ha messo insieme voci vecchie e nuove, immagini di repertorio e attuali, morti e vivi. Da Paul McCartney a Harry Styles, da Sting a Chris Martin, da Phil Collins a Ed Sheeran, da Robbie Williams a Sam Smith, da Geldof a Ure, con Bono giovane che canta con il Bono di oggi: commovente per tutti, tranne che per gli snob. Una piccola canzone pop, diventata la più grande.