Il commento

Sanremo 2025, se lo Zeitgeist è rappresentato dal vuoto

Mancano poche ore all’inizio della finale del Festival – Tempo per noi di concederci una riflessione su ciò che la kermesse ha portato in scena, assenze comprese
Paolo Galli
15.02.2025 19:00

A volte anche il vuoto può esprimere lo spirito del proprio tempo. L’assenza come presenza, insomma. L’assenza di un senso in ciò che si fa o si dice. In questo caso in ciò che si canta. Sanremo da sempre mette in scena, edizione dopo edizione, le proprie epoche. Lo fa musicalmente, esprimendo un contesto sonoro, una sorta di sottofondo alle nostre vite. Lo fa attraverso le parole che vengono cantate. Ma Sanremo è anche ciò che Sanremo non è. Esiste in contrapposizione. Per anni, per decenni, è stato vissuto come un pulpito pop, nazionalpopolare, nel senso spregiativo del termine, esclusivo quindi nella sua presunta inclusività, la quale portava però i cantautori, gli autori di alta scuola, a non addentrarvisi, a non mischiarsi. Poi qualcosa è cambiato. È svanita persino la contrapposizione con il mondo del rap, della strada, del mondo indie. Si è mescolata la musica, e con essa gli stili, gli approcci, le nicchie rispetto al mainstream. Ma guardando alle singole edizioni, qualcosa che manca c’è sempre. E spesso spicca più di quel che invece c’è.

Più passano i giorni di questa edizione del festival, per esempio, e più è facile rendersi conto della mancanza di profondità generale. Al punto che tocca accontentarsi di barlumi, di piccoli solchi nella superficie, di singole idee musicali, di versi qua e là. Vale da un punto di vista sonoro, ma ancor di più di contenuti testuali, letterari. E persino da un punto di vista dell’immagine, della forma.

La retorica di questa edizione del Festival, in questo senso, è ben rappresentata dal brano di Cristicchi, dalla banalità della messa in scena di un tema profondo quanto un buco nero. Cristicchi resta in superficie, incapace di raccontare i sentimenti più profondi dell’uomo, ovvero la paura, lo smarrimento, il vuoto, la fatica, la solitudine del curante. Un compitino che non consola, che nulla aggiunge o risolve. L’assenza di una soluzione - di una carezza, una vera carezza, o di un pugno, ché in musica e letteratura vale tutto - a sentimenti comuni e quotidiani è ciò che caratterizza il suo brano, così come l’insieme di canzoni scelte da Carlo Conti per l’edizione 2025. È musica, ma non si balla. Il vuoto resta tale.

Non per forza ci sono colpe da attribuire, qui. Più che altro è una constatazione. E i tempi, d’altronde, sono questi. Tempi talmente complessi che qualcuno pensa di poterli risolvere con soluzioni semplici, quando non semplicistiche. Risolvere la malattia mentale della madre, il rapporto con questo uragano di emozioni, con un «buonanotte» è come pensare di risolvere una guerra facendosi bastare una telefonata. È il 2025, e sì, probabilmente è l’epoca giusta per Cristicchi.

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