«Un disco per non dimenticare l’origine del mio mondo»
Approda a Lugano, in quel Palazzo dei Congressi che lo ha ospitato più volte in passato, Davide Van De Sfroos con il suo «Maader tour». L’artista comasco sarà in concerto mercoledì sera alle 20.30 accompagnato da una band guidata dal braccio destro (quello con cui impugna l’archetto del violino) Angapiemage Galiano Persico con Paolo Cazzaniga (chitarra elettrica e acustica), Thomas Butti (fisarmonica e tromba), Daniele Caldarini (tastiere e chitarra acustica), Matteo Luraghi (basso) e Silvio Centamore (batteria e percussioni). Sarà una performance intensa, è bene anticiparlo, in cui troveranno spazio tante delle canzoni che compongono il mosaico di Maader folk, album pubblicato nell’autunno scorso dopo una lunga gestazione. La pubblicazione era prevista per il 2020, ma inutile dire che la pandemia si è messa in mezzo, costringendo il cantautore a cancellare date e impegni e rendendo pressoché impossibile pubblicare nuovo materiale.
Una pausa che ha portato tanti frutti inaspettati. Uno, il più eclatante, si è concretizzato nella reunion dei De Sfroos, il gruppo che vide Bernasconi sintetizzare, per la prima volta, quel connubio di folk, rock e poesia dialettale che, all’epoca, sembrava quasi una follia, ma che trovò i primi estimatori proprio nel Canton Ticino dove la band è tornata a esibirsi l’estate passata con un memorabile concerto in piazza Riforma. Sorpresa ancora più eclatante, il disco – che era praticamente chiuso – si è arricchito di un contributo inatteso: un duetto (oggi si dice featuring, lui forse preferirebbe «cantà insema») con una star della canzone italiana, anzi, internazionale quale è Zucchero «Sugar» Fornaciari. Il brano, fin dal titolo, ben rappresenta entrambi i mondi, quello blues, soul e gospel dell’emiliano e quello folk del lariano: Oh Lord, vaarda giò. Una collaborazione che arriva da lontano, i due ne parlavano da almeno dieci anni, da quando Van De Sfroos cercava qualcuno per la serata duetti del Festival di Sanremo 2011, quello della fatidica Yanez. «Si erano fatti molti nomi – ha ricordato il cantautore – Paolo Conte, ad esempio, anche se era improbabile che venisse al Festival. Mi sarebbe piaciuta Teresa De Sio, che amo moltissimo, ma poi trovai un messaggio in segreteria: “Ciao, sono Zucchero. Chiamami!”. Disse che sua figlia Irene amava le mie canzoni e aveva imparato Yanez perfettamente... ed era vero! Io pensavo che magari il dialetto potesse essere ostico, ma fu bravissima e da lì, in seguito, nacque l’idea di una canzone per lei, Grande mistero, che presentò l’anno successivo». Da allora l’uomo di Blues e quello di Va dar via il blues sono rimasti in contatto ed ecco arrivato il momento. «È una canzone che aspettava da tempo di uscire dal cassetto, di essere arrangiata, musicata e cantata», ha spiegato l’autore.
Il lockdown
«Il momento è arrivato proprio durante il lockdown, quando tutti avevano più che mai bisogno di una canzone vagamente spirituale e mistica. Vista la struttura del ritornello, con questa Oh Lord, please tell me mi è venuto subito in mente Zucchero. E lui, oltre ad accettare, ha fatto di più: ha cantato nel suo dialetto, cosa che non fa abitualmente, regalando al brano sfumature inedite». Quindi un ponte tra la Via Emilia e il West... del lago di Como. Questo brano è arrivato dopo Gli spaesati, singolo apripista che è diventato immediatamente un tormentone per i fan che si sono immediatamente riconosciuti in questi «personaggi irriducibili figli di terre senza tempo e senza pace, sradicati dalle radici ma mai stanchi di portare avanti con fierezza la propria missione, felicemente spaesati per l’appunto».
Maader folk ha colpito anche per la copertina (che si può ammirare meglio nella versione long playing): «È la trasposizione grafica di un sogno che mi ha aiutato molto emotivamente a non dimenticare l’origine folk del mio mondo interno ed esterno e che mi ha suggerito di prepotenza il titolo stesso dell’album. Grazie all’arte dì Fabrizio Cestari ed Emanuela Di Gianmmarco sono riuscito a rendere visibile questa visione». Una visione che si rispecchia nei quindici brani di un disco che, come è accaduto nelle altre date del tour, riempiranno gran parte della scaletta e una ragione c’è: Goga e Magoga, il precedente album di inediti, risale a un ormai lontano 2014. Nel mezzo ci sono stati l’esperimento di Synfuniia, con vecchi brani arrangiati per orchestra, il live Quanti nocc, con vecchi brani registrati in concerto e, appunto, la reunion dei De Sfroos, con i brani di Manicomi riportati in scena con gli arrangiamenti originali per la prima volta dopo un quarto di secolo. Insomma: è tempo di far ascoltare canzoni nuove. E poi quei brani sembravano scalpitare. «Maader folk aveva voglia di mettersi finalmente in viaggio, dopo aver atteso così a lungo, seguendo un itinerario che questa volta non è soltanto geografico ed emotivo, ma molto simile ad un sogno illuminato dalla voglia di tornare a suonare dal vivo, davanti a tutti voi che avete aspettato fino a ora, con affetto e pazienza, questo momento», racconta l’artista: «E allora che Maader tour sia!», tutto dedicato a quest’ultimo lavoro. Certo, non mancherà qualche hit: la Ninna nanna del contrabbandier; Yanez, che ha superato i dieci anni, ma non li dimostra; Pulènta e galèna frègia e La curiera che, semplicemente, non possono mancare. Ma il recupero più importante, mentre una guerra spietata divampa a Est, è Sciur capitan che si fonde con War di Bob Marley e perfino con una citazione di C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones «due di quei brani antimilitaristi sui quali ci siamo sempre trovati tutti d’accordo senza neppure pensarci troppo perché la guerra, ci illudevamo, era qualcosa che tanto non ci avrebbe toccato più», spiega Davide.
Un artista sensibile e attento come Van De Sfroos non poteva ignorarla: c’è spazio per tutto in un suo concerto, per la commozione e per la festa, per il sorriso e per la lacrima, per la preghiera e per l’invettiva. C’è chi andava sempre in direzione ostinata e contraria: Davide, più modestamente, va de sfroos da trent’anni.