Paola Quattrini: «L’amore per il teatro è nel mio DNA»

Ci sono commedie che il pubblico non si stanca mai di vedere, macchine perfette al servizio degli spettatori. Pietro Garinei (l’anno scorso cadevano i 100 anni dalla nascita) ne è stato per decenni artefice insuperato: prima in coppia con Sandro Giovannini da fine anni 40 fino alla prematura morte di questo nel 1977, e poi da solo per quasi un trentennio.
È questo il caso di Se devi dire una bugia dilla grossa di Ray Cooney: debutto nel 1986, successo travolgente, ripreso in più occasioni (c’è persino stato un sequel apocrifo) nell’arco di 30 anni. E un’interprete, Paola Quattrini, a rappresentarne la continuità: c’era nella prima edizione con Johnny Dorelli, Riccardo Garrone e Gloria Guida; ritornò in quella del 2000 con Gianfranco Jannuzzo, Fabio Testi e Anna Falchi. Ed è ora in quella che, dopo l’anteprima estiva al Festival Teatrale di Borgio Verezzi, prende le mosse sabato prossimo, 8 febbraio, per una lunga tournée: in scena con lei Antonio Catania, Gianluca Ramazzotti, Nini Salerno, Paola Barale.
Fedeltà assoluta
Un’edizione nuovissima, quindi, ma fedele in tutto a quella originaria di Garinei, fin dall’imponente struttura scenica: in tre spazi contigui che ruotano sul palco i maneggi di un uomo politico, che deve destreggiarsi tra moglie e amante, ospiti dello stesso albergo.
«È una farsa perfetta. Ma il segreto della longevità di questa versione sta nella comicità elegante di cui Garinei era maestro», spiega convinta l’attrice. Quasi 70 anni di carriera, il debutto a 5 anni in Il bacio di una morta, Paola Quattrini ha attraversato tutte le stagioni del cinema e del teatro italiani. Negli anni 70 è anche stata una delle star della tv in bianco e nero. Con Walter Chiari ha presentato il Cantagiro.
Tutti la ricordano per la quantità infinita di commedie (per il cui ritmo ha sempre avuto un’innata predisposizione) ma nella sua carriera ha interpretato anche Ionesco, Dostoevskij, Shakespeare, Pirandello, Pasolini(Affabulazione, regia di Luca Ronconi). .
Cavallo di battaglia
Riprende questo decennale cavallo di battaglia dopo aver girato «come una trottola», dice, con Quartet, in scena a novembre anche a Bellinzona. Ma, confessa, «pratico un lavoro per cui non ci si stanca mai. Anzi: oggi mi piace molto più che agli inizi». Spiega: «Ricordo non con gioia i miei primi anni. I bambini non dovrebbero mai avere la necessità di lavorare. E io l’ho fatto tanto. Ma mio padre è morto che avevo 10 anni ed ero l’unica che lavorava in una famiglia numerosa. Al gioco è subentrato il dovere». A prenderci gusto a recitare ha iniziato dopo i 30.
Gli anni dell’irrequietezza
«Prima ho continuato a farlo perché era una cosa che mi veniva facile: l’ho nel DNA. Non ho studiato ma ho avuto la fortuna di imparare da grandi registi». Erano, li definisce, gli «anni dell’irrequietezza», periodo un po’ scapestrato, in cui «non davo il giusto peso al lavoro. Ma ero giovane, c’era la Dolce Vita... Non mi sono fatta mancare niente, da Playboy alla tv (ride, ndr.). Mi sono molto divertita».
L’incontro con Garinei risale ai primi anni 80. «Interpretavo A piedi nudi nel parco e venne in camerino dopo lo spettacolo a farmi i complimenti. “Quattrinella - mi ha sempre chiamata così – la prossima stagione lavoreremo insieme”». E così fu: con Taxi a due piazze, altro testo di Cooney, «iniziava una stagione bellissima, che si è conclusa con Oggi è già domani, la sua ultima regia». In mezzo una collaborazione durata 20 anni che, oltre a Se devi dire una bugia dilla grossa, comprende Una zingara mi ha detto, Quadrifoglio», È molto meglio in due.
«Per me Pietro è stato quel padre che ho perso troppo presto», confessa.
Un immenso rimpianto
«Nei suoi confronti nutro un grande rimpianto: avergli detto di no quando mi voleva per il ruolo di Consolazione in Aggiungi un posto a tavola. Lo tradii per fare uno spettacolo di monologhi diretta da Lorenzo Salveti, altro regista con cui ho lavorato davvero tantissimo. Si arrabbiò. “Hai un dono raro - mi diceva -. Sono poche quelle che sanno far ridere come te”. Ma in quel momento sentivo la necessità di fare altro. Me lo rimprovero ancora».