L’intervista

Paolo Sorrentino: «A 50 anni mi sento abbastanza maturo per raccontare il mio dolore»

Il regista napoletano parla del suo film autobiografico «È stata la mano di Dio»
Toni Servillo e Filippo Scotti sono padre e figlio nel film. © NETFLIX
Antonio Mariotti
27.11.2021 06:00

Prodotto da Netflix ma in uscita giovedì prossimo nelle sale ticinesi, con È stata la mano di Dio Paolo Sorrentino firma un sorprendente film autobiografico. Abbiamo incontrato il regista napoletano all’ultimo Festival di Zurigo che gli ha attribuito il premio alla carriera.

Questo suo nuovo film è più personale dei precedenti: si sente diverso dopo averlo realizzato?

«In realtà tutti i miei film sono personali, ma negli altri mi nascondevo dietro un Papa o un altro protagonista ma in questo caso non l’ho fatto. Quindi, visto che si trattava di raccontare la mia storia, è stata un’esperienza diversa. Tutti i film sono coinvolgenti, ma questo era più delicato e difficile degli altri. Ho potuto girarlo solo adesso perché a 50 anni mi sento abbastanza calmo e maturo per affrontare una storia mia così dolorosa. Sicuramente girandolo ho scoperto quello che i miei colleghi più intelligenti di me hanno scoperto da tempo e cioè che si possono fare bei film anche in maniera semplice. Detto questo però, ogni film richiede un suo stile: mi piacerebbe trovare altre idee che richiedano uno stile semplice ma il film che mi sono più divertito a fare è stata La grande bellezza e quindi penso che in futuro cercherò di rifare qualcosa di altrettanto strampalato. Ogni mio film prima di questo partiva da un tema che mi appassionava, su cui lavoravo per un paio d’anni e poi però mi veniva a noia. Allora mi sono detto: “Vuoi vedere che risolvo i miei problemi nella stessa maniera, facendo un film su un dolore che non riesco a togliermi di dosso da 35 anni?” Ed è andata proprio così: adesso riesco a parlare di questo mio dolore come se si trattasse di un film qualunque, mentre fino a un anno fa non osavo parlarne con nessuno. In effetti si è rivelata una buona soluzione per non dover pagare uno psicanalista».

È un film nel quale mostra anche il suo amore per il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta?

«Sì, anche se io ho voluto fare il cinema senza averne visto più di tanto. Non sono mai stato un grande cinefilo: da ragazzo ho visto un po’ di film e ho capito che il cinema era la cosa più vicina alla mia indole: quella di un grande dilettante».

Come mai ha deciso di produrre il film con Netflix?

«Ho seguito l’esempio di Alfonso Cuaron per il suo lungometraggio Roma: volevo girare un film “piccolo”, parlato in italiano, senza attori famosi, molto personale. Un piccolo film con grandi mezzi e questa possibilità oggi te la offre solo Netflix. Fin dal primo giorno però il mio accordo con Netflix prevedeva che il film sarebbe stato distribuito anche nei cinema».

È stata la mano di Dio segna il suo ritorno a Napoli, dove aveva girato solo il suo primo film L’uomo in più. Com’è stato ritrovare la sua città?

«È vero, anche se in tutti i miei film ho cercato di lavorare con gli attori napoletani, che amo molto. Penso a Carlo Bucirosso, Silvio Orlando, Massimiliano Gallo, senza parlare ovviamente di Toni Servillo. Tornare a girare a Napoli è stato bellissimo, anche perché da ragazzo vivevo in un quartiere da cui non si vedeva il mare, mentre durante le riprese mi hanno affittato una bella villa sul mare. (ride) Scherzi a parte, nel film parlo soprattutto di quel microcosmo che è la Napoli popolare che resiste ancora oggi: una realtà dove nulla è una cosa seria, dove tutti possono essere oggetto di presa in giro. E ciò è molto democratico, perché non c’è discriminazione: tutti sono discriminati e quindi non lo è nessuno».

La scena iniziale del film vede protagonista il patrono di Napoli, san Gennaro: come mai partire con questa idea surreale?

«Perché ricostruisce quel che mi ha raccontato mia zia, che non poteva avere figli. Una sera alla fermata dell’autobus vede avvicinarsi un’automobile d’epoca con a bordo sant’Antonio - che io ho cambiato in san Gennaro - che le dice: “Vieni, ti dò un passaggio e quando scenderai da questa macchina rimarrai incinta”. E così è stato. C’è di mezzo anche la figura del Monaciello che è una leggenda napoletana: si diceva che fosse un’invenzione delle donne che avevano un amante e per giustificare il fatto che ricevessero del denaro da questi amanti, dicevano: “È stato il Monaciello a darmelo”».