«Qualcuno ha visto il mostro del lago di Lugano?»

LUGANO - Ormai i consigli per affrontare la canicola li conosciamo: idratarsi, evitare gli sforzi nelle ore centrali, restare leggeri a tavola. Poi ci sono le cose più evidenti, come vestirsi leggeri. Ecco, forse chi è meno abituato di noi all’afa non li conosce tutti sebbene in questi giorni in tutta Europa si stia soffrendo per il caldo, ma probabilmente i Metronomy sono oltre tutto ciò.
Per la prima volta in scena su un palco ticinese, eccoli spuntare con tanto di giacche e in rigoroso abbigliamento biancoblù. Colori che forse per qualche appassionato sportivo strideranno in quel di Lugano, ma al centro del primo appuntamento col ROAM Festival c’è ovviamente solo la musica e che musica: con il gruppo britannico forse non si canta, ma si balla e ci si diverte, tra un falsetto e l’altro e soprattutto attraverso delle melodie a volte tanto semplici quanto travolgenti.
«Vicino a un lago a Lugano»
Nella scaletta che chiediamo a fine concerto al fonico, la location di serata è scritta a mano ed è decisamente approssimativa: «Near a lake in Lugano». D’altronde si suona al parco Ciani e al frontman Joseph Mount il Ceresio pare essere piaciuto nelle giornate passate in Ticino, anche se... «Mi hanno parlato del mostro del lago di Lugano, ma qualcuno di voi l’ha visto?» chiede preoccupato il polistrumentista del Devon, prima di lanciare un pezzo del nuovo album Metronomy Forever, in uscita a settembre. Dopo un’entrata in materia un po’ fredda, forse neppure agevolata da un pubblico che doveva ancora carburare vista la performance non troppo coinvolgente di The Japanese House, chiamata al difficile compito di rompighiaccio del ROAM, il concerto è stato un crescendo di emozioni.
Prossimi a pubblicare la loro sesta fatica in studio, i Metronomy hanno pian piano messo la voglia agli spettatori ticinesi di restare sotto il palco ad ascoltarli «forever», malgrado la coraggiosa scelta di presentare numerosi brani inediti che già al primo ascolto sono però riusciti ad accendere gli animi. Un fatto non sempre scontato, a testimonianza del talento dei cinque britannici, difficili da classificare sotto un unico genere, a cavallo tra elettronica, pop, rock e quella doverosa spruzzata indie. I presenti hanno potuto in ogni caso godere pure delle hit più attese, come Heartbreaker, The Look - presentata prima dell’encore con un’interessante variazione finale rispetto alla versione da studio – e Love Letters, ma soprattutto danzare a ritmo indiavolato con le strumentali End Of You Too e You Could Easily Have Me, classico gran finale.
Con ancora tanta adrenalina in corpo è tempo di salutare i Metronomy, sperando di rivederli da queste parti, anche senza mostro. Quello forse è meglio lasciarlo agli scozzesi.