Quei tagli rituali che violano i diritti di donne e bambine
Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche rituali e ancestrali diffuse soprattutto in una trentina di Paesi africani, del Medio Oriente e dell’Asia. Però, ci riguardano anche da vicino: in Svizzera risiedono infatti 22.000 donne suscettibili di averne subìte. Si tratta di un tema tanto importante, quanto delicato e lo affrontiamo con una specialista riconosciuta a livello mondiale. È Jasmine Abdulcadir, ginecologa ostetrica e sessuologa agli Ospedali universitari di Ginevra.
Jasmine Abdulcadir nel 2010 ha aperto presso gli Ospedali universitari di Ginevra un ambulatorio specializzato nell’accoglienza, nel sostegno e nella cura di bambine e donne che hanno subìto mutilazioni genitali femminili. Ha seguito le orme dei genitori che a Firenze, sua città natale e dove si è laureata in Medicina nel 2007, hanno aperto a suo tempo uno dei primi centri di riferimento di questo tipo, fra quelli sorti in Italia.
«Il campo a cui mi dedico come medico – racconta Jasmine Abdulcadir – fa quindi parte della mia storia famigliare. Mio padre Abdulcadir è nato e cresciuto in Somalia, mia madre Lucrezia è calabrese ed entrambi sono ginecologi. Lei è la prima di sette figli, mentre lui è il primogenito di diciassette fratelli, fra cui sette femmine che sono state tutte sottoposte a mutilazioni genitali, come accade al 98% di chi in Somalia nasce donna. Quella delle mutilazioni genitali femminili è dunque una problematica che l’ha toccato fin da quando era ragazzino e alla quale ha voluto poi rivolgere la sua attenzione quando ha deciso di studiare per diventare medico».

In nome della tradizione
I numeri sono impressionanti: si stima che nel mondo vivano 200 milioni di donne e ragazzine a cui sono state inflitte mutilazioni genitali o rischiano di subirne. Si calcola che in Europa, a essere toccate dal fenomeno, siano invece mezzo milione e in Svizzera, appunto, 22.000. «Sui numeri – spiega a questo proposito la dottoressa Abdulcadir – non c’è una certezza assoluta, perché si tratta di stime indirette basate sul luogo di origine e la prevalenza di questa pratica nei diversi Paesi, così che le donne e bambine con mutilazioni genitali o che potrebbero rischiare di subirne potrebbero essere sia di più sia di meno. Il metodo ha dei limiti perché non tiene conto di molti fattori, come il cambio generazionale, la migrazione, il gruppo etnico. La maggioranza delle donne e ragazzine che vivono in Svizzera e provengono dai Paesi dove queste pratiche sono maggiormente diffuse, sono originarie di Paesi ad alta prevalenza. Le mutilazioni genitali femminili riguardano ogni strato sociale delle varie etnie e dei vari popoli che le praticano, essendo fortemente radicate nelle loro tradizioni».
Status sociale e accettazione
Ma perché si mutilano gli organi genitali femminili? «Si tratta di riti grazie ai quali la bambina che diventerà poi donna e la sua famiglia si garantiscono uno status sociale e una totale accettazione da parte della comunità. Queste pratiche avvengono in contesti culturali e religiosi diversi fra loro, dove esistono tante credenze diverse. Spesso la mutilazione genitale è considerata garanzia di rispettabilità, bellezza, purezza e buon matrimonio per la donna».


Credenze dure a morire
Le mutilazioni genitali sono interventi che violano i diritti della bambina e della donna e si perpetuano nel tempo anche perché sono legati a varie credenze. «Esistono diversi tipi di mutilazioni genitali femminili e di credenze. A seconda dei gruppi etnici, i genitali escissi, circoncisi o infibulati sono considerati più belli, sexy e puliti. L’infibulazione è il restringimento dell’orifizio vaginale attraverso la sutura delle grandi o piccole labbra, una pratica responsabile di molte complicanze, per esempio urinarie. Svuotare la vescica goccia a goccia, senza fare rumore, viene considerato in alcune aree più educato e la chiusura dell’orifizio vaginale un ostacolo ai batteri. Oppure, si pensa che il taglio del clitoride – del suo glande, la parte visibile di un organo che è lungo circa 12 centimetri ed è situato all’interno del corpo attorno alla vagina e all’uretra – eviti che le donne diventino troppo attive sessualmente, incontrollabili e infedeli. Sono tutte credenze dure a morire e che soprattutto non hanno nessun fondamento per quel che riguarda salute, sessualità e benessere generale delle donne e delle bambine».
«I miti, i tabù e le credenze sulla sessualità e sul corpo femminile – annota poi la dottoressa Abdulcadir dopo una breve pausa – sono numerosi ed esistono ovunque. Per esempio, in Calabria a mia madre e alle sue sorelle, quando erano ragazzine e avevano il ciclo mestruale, veniva detto di non preparare i vasi contenenti la passata di pomodoro perché sarebbero esplosi, se l’avessero fatto. Nell’Ottocento, in Inghilterra, la “clitoridectomia” fu invece proposta per curare la cosiddetta isteria femminile»Il


Sostegno a tutto campo
Veniamo ora al lavoro che svolge Jasmine Abdulcadir nel suo ambulatorio ginevrino, dove può contare sulla collaborazione di altri colleghi, tra cui una ostetrica e una psicologa sessuologa. «Due volte al mese incontriamo complessivamente dalle venti alle trenta donne che sono state sottoposte a mutilazioni genitali. Non sono tutte nuove pazienti, perché ce ne sono che tornano da noi per ulteriori consultazioni. La mutilazione genitale può essere solo uno di diversi eventi del loro passato. Alcune donne sono infatti fuggite dalle guerre, da condizioni di vita difficili, matrimoni forzati e violenze. Alcune hanno inoltre avuto un percorso migratorio difficile. La presa a carico dal punto di vista psicologico è quindi uno degli aspetti fondamentali del nostro lavoro. Il nostro compito è di curare la persona – e non semplicemente i suoi organi genitali – per promuovere la salute dal punto di vista psicosessuale, riproduttivo e anche sociale. La cura può includere o meno interventi chirurgici, il trattamento di infezioni causate per esempio dalla difficoltà nello svuotare bene la vescica oppure a mestruare senza ostacoli, l’accompagnamento durante la gravidanza e al momento del parto. In ogni caso, la presa a carico delle pazienti con mutilazioni genitali comprende soprattutto tanta informazione».

Proposte e non obblighi
Ecco un nodo cruciale: le donne i cui genitali sono stati mutilati possono essere aiutate a ritrovare la salute e ad avere rapporti sessuali meno complicati, per così dire. «In caso di infibulazione, grazie alla chirurgia di deinfibulazione, è possibile riesporre l’orifizio vaginale e urinario e il clitoride, se quest’ultimo non è stato tagliato, nonché ricostruire le labbra vaginali. Se il clitoride è stato escisso, il corpo clitorideo sotto la cicatrice può essere infatti riesposto all’esterno. La deinfibulazione, ossia la riapertura parziale oppure totale del vestibolo vaginale, permette di urinare normalmente, avere un flusso mestruale senza ostacoli e una penetrazione durante i rapporti sessuali, che saranno meno dolorosi e più soddisfacenti. Inoltre, facilita anche il parto vaginale, naturale. Quando parliamo con le nostre pazienti, proponiamo ciò che secondo noi può migliorare la loro salute, ascoltando e rispettando comunque i loro desideri, credenze, attese e bisogni ed eventuali loro paure. È importante considerare gli aspetti culturali sia quando parliamo con le pazienti sia quando lo facciamo con eventuali compagni e mariti. Con i quali possiamo pure dialogare e discutere le questioni mediche e psico-sessuali, se c’è la possibilità di farlo e la donna è d’accordo».
Rinascita fisica e psicologica
Dialogo, confronto, sostegno, comprensione e conoscenza dell’altro e della sua cultura. Ecco un bagaglio di primaria importanza per i medici specializzati nella cura delle mutilazioni genitali femminili. E quando la loro opera ha successo, cosa si può dire sul traguardo raggiunto? «Riconoscere e curare le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili significa dare alle donne una vita senza dolore, la possibilità di urinare e mestruare normalmente, partorire fisiologicamente, provare piacere sessuale. Insomma, può voler dire rinascere. E una rinascita fisica porta conseguentemente a una rinascita psicologica e sociale».


Mutilazioni anche in Svizzera?
Le mutilazioni genitali femminili anche da noi sono proibite e punite dalla legge. Ma di casi non se ne sono mai registrati in Svizzera? «Al nostro ambulatorio agli Ospedali universitari di Ginevra non siamo mai state contattate, negli ultimi dieci anni, per sospetti o inchieste avviate in relazione a mutilazioni genitali femminili eseguite in territorio elvetico. E neppure per pratiche di questo tipo avvenute nei Paesi d’origine su persone residenti in Svizzera che sono state ricondotte in patria per essere mutilate».
Tra leggi e giustizia
Le mutilazioni genitali femminili sono contemplate dall’articolo 124 del Codice penale svizzero, introdotto nel 2012. Non mancano però le questioni ancora aperte in materia di leggi e diritto, come sottolinea Jasmine Abdulcadir. «In una sentenza del 2019, il Tribunale federale ha confermato la condanna a una pena detentiva con la condizionale inflitta nel canton Neuchâtel a una donna somala, considerata colpevole di aver fatto mutilare le sue due figliolette nel 2013 a Mogadiscio, quando in Svizzera, come richiedente d’asilo e in seguito a una procedura di ricongiungimento famigliare, sarebbe poi giunta soltanto due anni dopo. La condanna della donna somala rispecchia ciò che è contemplato dall’articolo 124 del Codice penale, che sancisce l’applicazione della norma penale anche quando la mutilazione è avvenuta prima della migrazione, se nel paese di origine esiste una legge contro la pratica. Come sottolineato al momento di questo processo dal Centro svizzero di competenza dei diritti umani, vengono però lasciate in sospeso altre questioni importanti. Per esempio, pur in presenza di problemi di salute, donne, ragazze e/o i loro famigliari potrebbero rinunciare a rivolgersi a un medico o a un ambulatorio come il nostro a Ginevra, per il timore di essere condannati dalla giustizia elvetica o espulsi per mutilazioni genitali avvenute nel paese di origine anche molto tempo prima dell’arrivo in Svizzera».
«Ho pianto per la mia Aminata»
Abbiamo raccolto la testimonianza di una donna africana che ha subìto una mutilazione genitale, pratica a cui è stata sottoposta anche sua figlia. Si chiama Aicha, ha 40 anni ed è cresciuta in un villaggio della Fouta, regione semidesertica nel nord del Senegal. Parla il toukouleur, la lingua della sua etnia, e ora anche il wolof, perché da un po’ vive nella capitale Dakar. Siamo entrati in contatto con lei grazie ad Aida, pure di origine senegalese e che risiede da tempo nel Luganese. Aida ci ha dato una mano per raccogliere e quindi tradurre le parole di Aicha, sua amica.

«Non ricordo nulla del giorno in cui mi hanno sottoposto alla mutilazione delle grandi labbra e all’infibulazione – racconta Aicha – perché ero molto piccola quando è successo. Ho però rivissuto questo mio percorso attraverso mia figlia Aminata, che adesso ha 17 anni. Anche lei è stata infibulata con l’asportazione delle grandi labbra, quando aveva tre anni». Il percorso nel dolore, dunque, prosegue di generazione in generazione.
«Un giorno – prosegue Aicha – la mattina presto è arrivata a casa nostra mia suocera, che ha portato via Aminata a mia insaputa, senza dirmi nulla o almeno avvertirmi. Quando sono rientrate, ho visto che portava Aminata sulla schiena. “L’hai fatta stancare”, ho detto a mia suocera. E lei: “Oggi, veramente, le hanno fatto qualcosa”. Le ho chiesto “Ma cosa?” e lei ha risposto solo “Guarda!”. Ho guardato e visto che anche mia figlia quel giorno era stata sottoposta a una mutilazione genitale. Abbracciando la mia piccola, sono scoppiata subito in un pianto dirotto. Come me, è stata infibulata con l’asportazione delle grandi labbra vaginali, che le sono state tagliate con una lametta di rasoio che è stata sterilizzata sulle fiamme di un fuoco». Quindi, un’operazione in condizioni igieniche del tutto precarie, eseguita inoltre senza alcun anestetico.


«Quando una bambina viene sottoposta a una mutilazione genitale, coloro che la effettuano – sono prevalentemente donne – dicono delle preghiere rituali e la massaggiano affinché non provi dolore. Con l’infibulazione viene lasciata una piccola apertura per poter urinare e pure mia figlia, a causa del dolore molto forte, per alcuni giorni ha fatto fatica a svuotare la vescica. Perciò, è stata riportata dalla signora che l’ha sottoposta alla mutilazione, che l’ha massaggiata nelle parti intime. E Aminata ha ricominciato a stare bene».
Le mutilazioni genitali femminili vengono praticate di nascosto, per le vittime anche lontano da casa. «Per quel che riguarda il Senegal, spesso le bambine vengono portate dal Senegal in altri Paesi per essere sottoposte alle mutilazioni, come il Congo, il Gabon oppure il Mali, a dipendenza anche delle etnie a cui appartengono. Il denominatore comune, in più popoli africani, è che le figlie vengono respinte dalle loro stesse famiglie, nel caso in cui riescono a sfuggire alle mutilazioni genitali».


Al dolore causato da una mutilazione genitale femminile nel tempo se ne aggiungono poi altri, come racconta ancora Aicha: «Con le mutilazioni genitali, soprattutto con l’infibulazione, viene bloccato l’accesso al canale della vagina e quindi giovani ragazze e donne non possono avere rapporti sessuali con penetrazione fino a quando non si sposano, in modo che arrivino al matrimonio conservando la verginità. Se trovano un marito, allora l’accesso alla vagina viene riaperto da coloro che già hanno fatto la mutilazione. Utilizzano di nuovo una lametta di rasoio per tagliare la carne, quel che resta dopo l’ablazione delle labbra vaginali, e appunto liberare l’orifizio vaginale, così da permettere al marito di entrarvi con il pene e alla donna di fare l’amore».
Un amore fisico che però è tutt’altro che pieno per molte donne vittime di mutilazioni genitali. Come nel caso di Aicha: «Durante i rapporti sessuali con mio marito difficilmente provo soddisfazione e piacere e questo è un grande handicap. Per eventualmente arrivare a un orgasmo mi ci vuole molto tempo e se ci riesco, è solo con un grande aiuto da parte di mio marito».
Milioni di casi e costi sanitari miliardari
I numeri
L’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) stima che nel mondo siano oltre 200 milioni le ragazze e le donne viventi che hanno subìto mutilazioni genitali o rischiano di subirle. In Europa, invece, sono circa 500.000 e in Svizzera 22.000. Queste pratiche sono prevalentemente diffuse in una trentina di Paesi africani, del Medio Oriente e dell’Asia.
Le mutilazioni genitali
Tipo 1: ablazione parziale o totale del glande clitorideo (la parte esterna del clitoride) e/o del prepuzio che lo protegge.
Tipo 2: ablazione parziale o totale del glande clitorideo e delle piccole labbra vaginali, con o senza asportazione delle grandi labbra.
Tipo 3: infibulazione, ossia restringimento dell’orifizio vaginale ottenuto sezionando e riposizionando le piccole oppure le grandi labbra vaginali (talvolta con suturazione), con o senza ablazione del glande clitorideo e del suo prepuzio.
Tipo 4: tutti gli altri interventi nefasti a livello degli organi genitali femminili a fini non medici, per esempio pungere, forare, incidere, raschiare e cauterizzare gli organi genitali.
I costi sanitari
Secondo uno studio realizzato dall’OMS, i costi economici per il trattamento delle complicazioni dovute alle mutilazioni genitali femminili, in 27 Paesi nei quali erano disponibili dei dati, sono ammontati per il solo 2018 a 1,4 miliardi di dollari statunitensi. Si prevede che i costi salgano a 2,3 miliardi di dollari nel 2047, se la pratica delle mutilazioni genitali femminili non subisse un’inversione di tendenza. Se al contrario i Paesi presi in considerazione dallo studio abbandonassero tali pratiche, i costi per il trattamento delle complicazioni potrebbero diminuire del 60% entro la metà del corrente secolo.