Quel sottile legame tra poesia e tecnologia

Ci sono due notizie degli ultimi giorni che sembrano lonta-nissime tra loro, ma invece sono assai vicine e persino riescono a dialogare. Da una parte c’è la poesia, dall’altra la tecnologia più vertiginosa. La poesia e la tecnologia dovrebbero essere una sorta di ossimoro mentale. Da una parte qualcosa di impalpabile, sentimentale, emozionante, una cura per l’anima, per lo spirito, un modo per capire il mondo attraverso processi complessi e non sempre razionali. La poesia ci conforta, ci apre a un nuovo sguardo. La poesia ci aiuta. E infatti c’è – e uso un termine volutamente eccentrico – un revival della poesia. Non sempre sono piccoli numeri, però Mariangela Gualtieri, poetessa di Cesena, amatissima e venduta, è stata citata dal palco di Sanremo. E Chandra Candiani ha pubblicato recentemente un libro che è già un best seller. E le collane di poesie hanno successo, per non dire di coloro che hanno raccontato in versi l’amore, da Garcia Lorca a Pedro Salinas, da Pablo Neruda a Jacques Prévert.
La poesia non è semplice, non esistono poeti che guardano l’aurora e scrivono di getto. È una disciplina durissima, ogni verso va cesellato, riscritto mille volte, ogni poeta conosce il mondo dei poeti che lo hanno preceduto, ne tiene conto, dialoga idealmente con quella che è la tradizione letteraria. Ma allo stesso tempo tiene i piedi per terra, resta semplice, gli basta un piccolo notes, una semplice matita. Ed è questo il suo lavoro. E la tecnologia? Come si sposa con tutto questo? Alcuni anni fa alla University of Southern California lavorava un ricercatore che insegnava ingegneria elettrica e chimica. Si chiama Daniel Lidar. Si occupava di teoria dei sistemi quantistici. E facevano esperimenti piuttosto complessi su un progetto molto ambizioso: quello di cambiare per sempre il modo in cui venivano elaborati i dati. Ovvero non più con i bit, termine ormai entrato nell’uso comune, ma con i qbit. Non era solo un potenziamento delle capacità di calcolo. Era molto di più. Si trattava di un computer quantico che non ragiona attraverso un sistema binario, ma con un quantità di possibilità in più che possono essere epocali.
Il rivoluzionario Advantage
Inutile affannarsi, Apple non avrebbe potuto fabbricare in questi anni i nuovi portatili con questi processori. Il cammino sarebbe stato lungo. Basti sapere che fino a cinque anni fa gli unici due elaboratori quantici esistenti costavano circa 15 milioni dollari, e i processori dovevano essere raffreddati a una temperatura vicinissima allo zero assoluto. Ma su questi computer ci fu subito un interesse di Google, dei cinesi, della CIA e di mezzo mondo che teneva molto alla possibilità di elaborazione e intreccio dei dati. Google ne costruì uno. E da qualche giorno sappiamo che n’è uno in Europa, nel centro di ricerca tedesco Forschungszentrum Jülich, nel circondario di Duren. Il computer, si chiama Advantage. La macchina ora è la prima a trovarsi in un centro in Europa ed è già il punto di riferimento per il campo della computazione quantistica nel nostro continente. Ovvio che governi, organizzazioni, gruppi bancarie, servizi segreti e grandi aziende siano interessati a questa tecnologia difficilmente immaginabile. La potenza di calcolo non è paragonabile a quella dei più potenti computer esistenti, la capacità di elaborare dati e incrociare informazioni è straordinaria. Per cui tutti i grandi del mondo investono sui computer a computazione quantistica.
La profezia di Kubrick
I computer quantistici hanno una capacità inimmaginabile, e persino inquietante: imparano dall’esperienza. Non soltanto ricordano e hanno memoria, come tutte le altre macchine che utilizziamo, dai robot casalinghi ai personal computer, ma riflettono su quel che sono stati. Questo può far venire qualche brivido a dire il vero. Perché se ricordi, se hai memoria, e se rifletti, allora è certo che hai nostalgia. E se hai nostalgia rischi di trasformarti in un poeta artificiale, un poeta quantistico, capace di usare l’esperienza come capacità di aderire al mondo. E non possiamo ancora dire se è una promessa tecnologica o una minaccia letteraria. Questi computer quantistici, freddi come la temperatura dello zero assoluto in cui devono operare, sarebbero capaci di generare versi che non siano soltanto poesie scritte nella storia della letteratura e fuse assieme attraverso un calcolo combinatorio? Sarebbero persino capaci di fare traduzioni da una lingua all’altra, non meccaniche e spesso approssimative, ma addirittura di valore letterario? Avremo tra cento anni poeti e scrittori artificiali? La profezia del computer HAL di Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio, diventerà una realtà. Si finirà per litigare con un computer non perché non si accende quando vorremmo ma perché ricorda, impara, e diventa permaloso? Sono paradossi, certo, ma la poesia quantistica non è così lontana come possiamo pensare.