Cultura

«Racconto il mistero del mare e i suoi abissi ancora inesplorati»

A tu per tu con Patrik Svensson, giornalista e scrittore de «L’uomo con lo scandaglio»
Patrik Svensson, giornalista e scrittore del romanzo «L’uomo con lo scandaglio»
Mariella Delfanti
22.10.2023 09:00

Si può fare divulgazione scientifica in vari modi, anche divagando sui propri ricordi. È quello che riesce magnificamente a comporre Patrik Svensson, giornalista e scrittore, in «L’uomo con lo scandaglio», un racconto di uomini e di mare.

Dopo il successo internazionale del suo primo libro «Nel segno dell’anguilla», lei è tornato ad occuparsi di origini e di mare. Perché è così affascinante il mondo sommerso?
«Sono attratto da tutto quello che non sappiamo, dal mistero che quel mondo ancora racchiude. Si stima che circa l’ottanta per cento dei mari del mondo sia del tutto inesplorato: dalla mitica discesa di Jacques Piccard e Don Walsh nella fossa delle Marianne, solo quattro persone hanno raggiunto Challenge, l’abisso più profondo al mondo. Tra queste, in solitaria, nel 2012, anche il regista James Cameron».

Il mare è il suo mondo, insomma?
«L’amore per il mare mi accompagna fin da quando ero piccolo: un senso di meraviglia, un’attrazione per le creature che lo popolano. Pensiamo a certe spugne del Mar Cinese che possono vivere più di diecimila anni, o allo squalo della Groenlandia che raggiunge la maturità sessuale dopo un secolo, o a quella vongola rimasta ferma al freddo per cinquecentosette anni vicino all’Islanda a ottanta metri di profondità, prima che i ricercatori accidentalmente la uccidessero. Sappiamo più cose della superficie di Marte che non della vita negli abissi oceanici. Ho una grande attrazione per chi ha cercato di studiarli, definirli, comprenderli e appropriarsene».

Una delle scoperte più sorprendenti di cui lei ci racconta è proprio il frutto di una di quelle spedizioni...
«Nel 2019 l’esploratore statunitense Victor Vescovo si cimentò nell’ultima (finora) discesa umana nel più profondo degli abissi conosciuti. Quando, a bordo di uno speciale sottomarino, toccò il fondo e guardò fuori dall’oblò cosa vide? Vide passare crostacei e cetrioli di mare non meglio identificabili, ma anche un oggetto strano e inimmaginabile a quella profondità. A quasi undicimila metri sotto la superficie del mare, lontanissimo dal sole, dalle onde e dagli esseri umani, nella sabbia sul fondo c’era un sacchetto di plastica!».

In passato prima si scopriva poi si conquistava, poi si distruggeva: nel mare siamo andati a rovescio, direttamente alla distruzione saltando gli altri passaggi

Si può dire che quel sacchetto di plastica riassume simbolicamente il nostro distruttivo e presuntuoso comportamento di predatori dell’universo?
«Quel sacchetto di plastica che volteggia a più di diecimila metri di profondità sul fondo della Challenge, dove è arrivato ancora prima che l’uomo sia stato capace di mettervi piede, è un’immagine molto forte del nostro impatto sull’universo. Siamo riusciti a sporcarlo prima di averlo esplorato! È un ordine ribaltato: in passato prima si scopriva poi si conquistava, poi si distruggeva: nel mare stiamo andati a rovescio, direttamente alla distruzione saltando gli altri passaggi».

Un sistema fragile, un ambiente minacciato: è il mare il più vulnerabile dei nostri ecosistemi?
«Per molto tempo abbiamo guardato al mare come qualcosa di «too big to fail». Abbiamo pensato che potevamo fare quello che volevamo, pescare senza limiti, inquinarlo senza conseguenze. Ora invece ci siamo accorti che è molto più sensibile e fragile di quello che credevamo. Qualunque cosa facciamo al mare avrà un impatto sulla nostra biosfera, perché l’oceano è l’inizio e la fine di ogni cosa».

A questo proposito lei cita Rachel Carson, biologa e biografa marina, una pioniera del moderno movimento ambientalista. Che cosa l’ha attratta particolarmente di questa scienziata, che non è particolarmente nota, a parte la sua ricerca sui pesticidi che portò al bando del DDT?
«Come scrittore sono stato davvero ispirato dal modo in cui Carson sa scrivere del mare, con rigorosa competenza scientifica e allo stesso tempo linguaggio poetico. È stata una rivelazione scoprire che scienza e letteratura si possono combinare. Quel senso di meraviglia che è stata capace di convogliare in bestseller come «Il mare intorno a noi» e «Primavera silenziosa», è lo strumento per acquisire il sapere, ma anche l’empatia».

Ed è l’empatia il punto di partenza e di arrivo di questo libro. L’essere umano è parte di un ciclo che è cominciato molto prima della nostra comparsa sulla terra e che non dobbiamo sovvertire. Che cosa possiamo fare per impedire lo scempio?
«Non so esattamente che cosa possiamo fare, ma è importante attivare la consapevolezza della fragilità del nostro ecosistema. Io cerco di farlo attraverso le immagini, il sacchetto di plastica, ad esempio, ma anche la foto scattata dagli astronauti dell’Apollo 17, della terra vista dallo spazio, il 7 dicembre del 1972, giorno della mia nascita: un piccolo globo di luce attorniato dall’immenso buio profondo. Quell’immagine è reperibile su Internet: quando la guardo ho la netta percezione di quella fragilità».

Per me è lui, il perfetto rappresentante della curiosità umana che non è mossa da interessi economici o altro, ma dall’amore per la conoscenza

La scienza, lei scrive, è un percorso in perenne movimento, un’acquisizione collettiva, fatta di contributi grandi e piccoli spesso di uomini sconosciuti, come di Robert Dick. Chi era costui?
«Era un umile panettiere vissuto nelle Highlands scozzesi del XIX secolo; un umile, ma esperto raccoglitore di fossili, un anonimo naturalista che, grazie alle sue conoscenze sul campo, entrò in contatto con un geologo e accademico del tempo, a cui consegnava il frutto delle sue scoperte. Tra queste, quella che avrebbe rivoluzionato la nostra conoscenza della riproduzione sessuata: il primo fossile di un pesce vissuto circa 385 milioni di anni fa, dotato di un pene. Robert Dick (nomen omen) non si rese conto della portata della sua scoperta, e solo nel 2014 la scienza riuscì a classificare quel fossile come l’anello mancante di una catena riproduttiva che fino ad allora si riteneva asessuata. Per me è lui, il perfetto rappresentante della curiosità umana che non è mossa da interessi economici o altro, ma dall’amore per la conoscenza. È lui, nella mia mente, l’uomo con lo scandaglio del titolo».

L’esplorazione dei mari in passato, come lei ci racconta, è sempre stata praticata come strumento di conquista, come mezzo per la creazione di imperi. E oggi? Pensiamo alla pesca massiva, alle attività estrattive di profondità...
«Nell’Artico alcune grandi nazioni hanno cominciato a esplorare i fondali alla ricerca di minerali, e non si riesce a fermarli. Il problema che siamo di fronte a una terra di nessuno, dove vige la legge dell’accaparramento. Ci dovrebbe essere una legislazione internazionale che regola queste attività, ma gli Stati si occupano soltanto delle questioni dei loro mari».

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