La riflessione

René Daumal e l’elogio dell’incompiutezza

In un mondo di emozioni compiute e inventate dagli algoritmi, la rilettura de «Il Monte Analogo» (ed. Adelphi) ci ricorda che le opere non hanno regole, non devono necessariamente terminare, e che ogni volta che si impara qualcosa si deve tornare indietro a insegnarla per chi verrà
Roberto Cotroneo
28.05.2020 09:00

Il numero della collana è il 19. Ovvero si tratta di uno dei primi venti titoli pubblicati dalla Biblioteca Adelphi nella sua storia. Sono quelli che caratterizzano nel senso più profondo del termine la casa editrice e il modo di pensare degli intellettuali che vi hanno lavorato: Luciano Foà e Roberto Calasso. Il numero 19 esce oggi in una nuova edizione, con una nuova copertina e con dei testi inediti, ed è un libro di cui vale la pena di parlare con attenzione. Che non tutti i libri siano uguali è cosa che sappiamo bene ma ce ne sono alcuni ancora più eccentrici di altri. Alcuni che sfuggono a ogni definizione possibile, eppure hanno segnato la nostra cultura.

Un autore insolito
Cominciamo con l’autore: si chiamava René Daumal. Era nato nella Ardenne, nel 1908, ed era un uomo davvero eccezionale. Eccezionale perché era coltissimo, traduceva dal sanscrito, studiava la filosofia indù, era un poeta, un animatore culturale. Tutte belle cose che di solito anche altri scrittori fanno e hanno fatto. Magari traducono dal giapponese, o dall’arabo, anziché dal sanscrito, magari studiano la cultura sufi, anziché quella indù, e scrivono libri, e cercano di sapere le cose. Ma Daumal era diverso. Non si trattava soltanto di una grande cultura, si trattava di qualcosa d’altro, qualcosa che lo rendeva unico, e che ancora oggi rappresenta un mistero per molti.

Intanto perché il libro più importante di Daumal è l’ultimo che ha scritto. In tutto poco più di 100 pagine. Un libro che non finì. Morì per un’affezione polmonare nel 1944, a 36 anni, a Parigi. Lui sapeva che non avrebbe potuto terminare il libro, eppure si ostinò, ma pacatamente, a lasciare un’opera incompiuta. Nella sua breve vita aveva fatto molte cose: studiato e tradotto testi importanti dell’induismo, mandato bellissime lettere. Tra le traduzioni c’era anche Morte nel pomeriggio di Ernst Hemingway. Ma rimane tutto inedito, sospeso, come se l’essere di un autore come Daumal cercasse altre cose. Cercasse in un libro esile, interrotto, apparentemente semplice il senso più profondo, il nucleo sfuggente del raccontare chi siamo, di quelle cose che piacevano a lui, a cominciare da un verso di un testo sacro indù che gli era caro: «Lo stato di uomo è difficile da raggiungere in questo mondo».

Al centro delle cose
Il Monte Analogo è dunque la sua opera non finita e definitiva. Il sottotitolo non deve spaventare: «Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche». È molto semplicemente la storia di un gruppo di strani alpinisti che partono alla ricerca di una montagna diversa dalle altre, con la vetta più alta di tutte. La vetta del Monte Analogo è il punto in cui si unisce il cielo con la terra. È un modo di raggiungere il centro delle cose. Il punto di mezzo tra il mondo interiore e quello che ci circonda. Eppure Daumal non si ferma solo a questa idea affascinante, a una storia fantastica che al tempo stesso può essere profondamente vera. Daumal dice qualcosa che non va dimenticato: spiega la missione sul Monte Analogo. Daumal le chiama «le leggi del Monte Analogo». E scrive: «per raggiungerne la cima bisogna andare di rifugio in rifugio, ma prima di lasciare un rifugio, si ha il dovere di preparare gli esseri che devono venire a occupare il posto che si lascia. E solo dopo averli preparati si può salire più in alto. Per questo prima di partire per un nuovo rifugio, siamo dovuti ridiscendere per insegnare le nostre prime conoscenze ad altri cercatori».

Le regole essenziali
È affascinante che un libro fantastico, breve e sospeso, inconcluso come questo, pubblicato postumo nel 1952, sia diventato una pietra miliare della cultura del nostro tempo. È bello che i libri possano essere assai più imprevedibili di quanto pensiamo. E soprattutto che questo sia accaduto per un testo che non finisce, perché l’avventura verso la cima del Monte Analogo si interrompe al primo campo base.

L’umanità poggia le sue basi sull’incompiuto che offre spunti per proseguire

Sarebbe oggi tollerabile un film che non finisce e di cui esistono solo 30 minuti? O una serie di soltanto una puntata perché le altre non sono state girate? O un reportage di fotografia composto solo da quattro o cinque scatti? Eppure sull’incompiutezza il mondo ha poggiato le sue basi; si pensi a Michelangelo, che nel non finito ha poggiato i fondamenti dell’arte universale. In questo libro Daumal ci insegna due cose: che le opere non hanno regole, e non devono necessariamente terminare, e che ogni volta che si impara qualcosa si deve tornare indietro a insegnarla per chi verrà. Regole semplici, essenziali. Ma folgoranti. In questo mondo di emozioni compiute e inventate dagli algoritmi, dove le storie hanno regole che valgono per tutti, e sono sempre uguali, raccontare, imparare e poi trasmettere agli altri è qualcosa che abbiamo dimenticato. Ed è la nostra colpa peggiore.

«È il desiderio l’essenza della vita»

Scrittore e poeta francese René Daumal (1908 - 1944) è stato l’animatore del gruppo Le grand jeu e dell’omonima rivista (1928-30) per qualche tempo vicina ai surrealisti. Si dedicò allo studio del sanscrito e delle filosofie orientali, seguendo l’insegnamento di A. de Salzmann, a sua volta allievo di G. I. Gurdjieff. In vita pubblicò poesie (Le contre-ciel, 1936), saggi, traduzioni, un racconto (La grande beuverie, 1938), che si ispira alla «patafisica» di A. Jarry, mentre altre sue opere furono pubblicate postume.

René Daumal  (1908 - 1944)
René Daumal (1908 - 1944)

In una lettera scritta a Vera Milanova, una donna importantissima per la sua vita e datata 22 maggio 1943, Daumal riassume in un certo senso la verità del suo pensiero. È il periodo in cui sta scrivendo Il Monte Analogo, ma le sue condizioni di salute sono sempre più gravi a causa di un’infezione polmonare. Sa che non riuscirà a finire il libro. Morirà esattamente un anno dopo. In quelle poche righe Daumal ci regala un grande insegnamento: «sono morto perché non ho il desiderio, non ho il desiderio perché credo di possedere, credo di possedere perché non cerco di dare. Cercando di dare, si vede che non si ha niente, vedendo che non si ha niente, si cerca di dare se stessi, cercando di dare se stessi, si vede che non si è niente, vedendo che non si è niente, si desidera divenire, desiderando divenire, si vive».