La riflessione

Roberto Longhi, l’uomo che inventò Caravaggio

A cinquant’anni dalla morte, un ricordo del grande storico dell’arte che contribuì in maniera determinante alla riscoperta del pittore «maledetto»
Roberto Longhi (Alba 1890 - Firenze 1970).
Roberto Cotroneo
18.06.2020 06:00

Il suo sguardo era beffardo, alle volte il suo sorriso era simile a quello di un giocatore di scacchi che sta per muovere in modo definitivo e vincere la partita. I suoi occhi erano mobili, accesi. Pier Paolo Pasolini, che fu suo allievo all’università di Bologna, diceva che aveva gli occhi di uno spadaccino. La sua competenza era leggendaria. La sua scrittura, secondo il più grande critico letterario del Novecento, Gianfranco Contini, era paragonabile a quella di Carlo Emilio Gadda. Ma lui non era uno scrittore. Era un critico d’arte.

Questo mese di giugno avrebbe dovuto vedere mille celebrazioni a lui dedicate. Perché ricorrono i cin-quant’anni dalla sua morte. Eppure, complice la pandemia, non accadrà quasi nulla. Allora questa celebrazione la facciamo noi, raccontando Roberto Longhi, l’uomo che ha inventato Caravaggio, un critico raffinato, un esperto di arte che non sbagliava mai, e che negli anni divenne leggendario.

Una tesi sperimentale

Longhi era nato ad Alba, città delle Langhe in Piemonte, ma era di origini emiliane. Giovanissimo allievo di un grande come Alfredo Toesca, studiò storia dell’arte all’università di Torino, e si avviava a una carriera nell’insegnamento. Nel 1910 scelse una tesi di laurea sui castelli del Monferrato. Non proprio una cosa che gli avrebbe cambiato la vita. Per fortuna all’ultimo momento deci-se diversamente. Scelse una tesi allora sperimentale e ardita su uno strano pittore, quasi dimenticato. Per secoli rimasto dentro quelle ombre che aveva dipinto per la sua breve esistenza. A quel tempo il suo nome si scriveva ancora con l’apostrofo, e diceva poco a tutti: Michel’Angiolo Merisi detto il Caravaggio.

Il giovane Longhi cominciò a viaggiare, scrisse la tesi, e co-minciò una storia formidabile, che non ha paragoni. E che spiega come, alle volte, il lavoro culturale può essere simile a quello di un agente segreto, di un archeologo, di un viaggiatore. Longhi studierà Caravaggio (e non solo, di fatto la storia della pittura dal Duecento in poi) per tutta la vita.

Dimenticato e bistrattato

Ma non si trattava soltanto di scrivere saggi critici, lì si trattava di rimettere ordine in un artista che aveva dipinto lui stesso copie di proprie opere, autorizzato copie dei suoi quadri agli amici, incoraggiato i falsari.

Non amato dai suoi contemporanei con una vita dissennata, Caravaggio fu dimenticato e bistrattato. Fu un lungo lavoro ridare a Caravaggio quello che era suo. Togliere l’etichetta Caravaggio a dipinti fatti da altri. Trovare dei Caravaggio dove nessuno pensava che fossero. Una storia straordinaria. Solo Longhi sapeva come fare. Sapeva che Caravaggio incideva con la punta del manico del pennello la tela prima di dipingere. Ed era l’unico a farlo. Dava il fondo scuro sulla tela, e poi incideva con dei segni le figure. Longhi si avvicinava e guardava con attenzione. Poi attribuiva, oppure dichiarava che non si trattava di lui. Qualcuno ha detto che è stato il più grande attributista che la storia dell’arte abbia mai avuto. Ed era vero.

Penna meravigliosa

Aveva anche questa particolarità, scriveva in un modo me-raviglioso. I suoi libri di storia dell’arte, raccolti ormai da anni in un volume dei Meridiani di Mondadori, con la cura di Contini, sono dei capolavori della letteratura. Ed era lui stesso un collezionista. Riuscì, a prezzi ancora accettabili, a comprare un Caravaggio per sé: «Il ragazzo morso dal ramarro».

Forse in questi anni non si è parlato abbastanza di Longhi, dei suoi studi su Piero della Francesca, dei pittori ferraresi, delle sue intuizioni. Eppure ha inventato la scrittura dell’arte, ha fondato un nuovo umanesimo culturale di cui si dovrebbe andare fieri. Alle volte le ricorrenze non sono soltanto riunire delle date, ma servono proprio a ricordare, e ricordare è soprattutto attingere al passato. Rileggere Longhi è un’esperienza bellissima. Un viaggio nel tempo e nell’intelligenza, in epoca di scarsi viaggi e purtroppo di scarsa intelligenza.

Un esempio su tutti delle sue intuizioni. Caravaggio dipinge-va modelli esistenti (spesso i suoi amici), viveva in una casa di Roma in vicolo del Divino Amore, a un solo piano. Il suo soffitto era il tetto. Decise di dipingere tutte le pareti del suo studio di nero e di procurare un foro sul soffitto, in modo che la luce cadesse dall’alto in un punto preciso della stanza. Una luce spot, per capirci. Ma il nero delle pareti, l’impossibilità di altre illuminazioni creava un problema. Come poteva Caravaggio, lontano dal fascio di luce, vedere la tela che dipingeva?

L’enigma dello specchio

L’enigma lo risolse Longhi con uno dei suoi tanti colpi di genio. Siccome il Caravaggio doveva mettersi sotto il fascio di luce per vedere la tela e dunque essere vicinissimo ai modelli da dipingere, e non c’era la distanza giusta per dipingere, metteva uno specchio più lontano che riflet-teva la scena. Così guardando lo specchio poteva recuperare la distanza che serviva. Nessuno lo aveva capito. Questo era Longhi. Senza di lui, le file di migliaia di visitatori davanti a qualsiasi mostra di Caravaggio oggi non ci sarebbero proprio.