Rocky vince anche all'angolo

In "Creed" allena il figlio del suo amico-rivale
Sylvester Stallone e Michael B. Jordan in "Creed"
Paride Pelli
14.01.2016 00:05

Rocky Balboa vive: nella leggenda e al cinema, dove torna sul ring come secondo, «allenatore» nel gergo della nobile arte. Sylvester Stallone, a 69 anni suonati – come i «gong» delle sue innumerevoli battaglie della saga – continua a stupire. Il nuovo film Creed – nato per combattere di Ryan Coogler, gli ha già fatto conquistare il Golden Globe per il miglior attore non protagonista in un film drammatico, premio che non aveva mai ottenuto. Lo stallone italiano entra in scena dopo un bel po', con la timidezza e la mestizia che da sempre lo contraddistinguono fuori dal quadrato: i suoi cari non ci sono più – dall'affezionata moglie Adriana allo storico allenatore Mickey passando per l'amato-odiato cognato Paulie – e persino il figlio, «che non era tagliato per la boxe» ha lasciato Philadelphia per Vancouver. A Rocky non resta che far andare avanti l'Adrian's, il ristorante nel quale ha investitito tutto e che trasuda nostalgia, con quelle pareti tappezzate di foto in bianco e nero testimoni di un passato glorioso. Rocky resta una leggenda ma la sua vita è un lento e inesorabile declino: ci vuole qualcosa, qualcuno, che spezzi la «routine» e lo riporti a occuparsi della sua vera passione, il pugilato. E, ancora una volta, è il passato che chiama: il suo nome è Creed. L'Apollo campione del mondo di tanti anni prima (ucciso sul ring da «Ti spiezzo in due» Ivan Drago) rivive nel figlio illegittimo, che non ha conosciuto l'illustre papà. Adonis, questo il suo nome, ha un'infanzia difficile di abbandono ed è in guerra con il mondo: lascia Los Angeles, un lavoro sicuro, e si reca a Philadelphia, dove ci fu il leggendario incontro del padre contro Rocky Balboa, per cercare quest'ultimo e chiedergli di allenarlo. Perché nelle sue vene scorre la boxe: Adonis, stazza ragguardevole e scherma eccellente – l'attore Michael B. Jordan, già protagonista del precedente lavoro di Coogler Fruitvale Station, ha lavorato duramente per calarsi nella parte – dimostra subito di saperci fare, ma all'inizio fatica a confrontarsi con il suo vero (e pesante) cognome, fino a negarlo, persino alla fidanzata. Ma, quando le sue origini emergono, non può più nascondersi. Una grande carriera, simile a quella di Apollo, lo attende, grazie anche ai rudimenti di Rocky, che ritrova il sorriso e sconfigge un brutto male grazie all'aiuto di questo ragazzone che diventa, di fatto, un figlio adottivo. Creed: nato per combattere è un film sincero, dove la «nobile arte» rimane al centro. Ed è questa la sua forza. Le «passate», le sedute di «sparring» e i colpi si susseguono a ritmo indiavolato: la regia è dinamica, i match sono – con qualche rara eccezione – verosimili mentre – questo sì – delude il doppiaggio «freddo» dei commentatori. Amara constatazione: ormai, per vedere pugni in un match di mediomassimi, bisogna andare al cinema.

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