Ecco le batterie «gelatinose» che si ispirano alle anguille elettriche
Ne è passato di tempo dall'era dei primi telefoni cellulari, quelli che venivano trasportati con non-così-portatili valigette. Negli ultimi decenni l'industria ha puntato a smartphone sempre più sottili, arrivando a rimuovere anche qualche gadget – come la compianta entrata jack per le cuffie – pur di guadagnare qualche millimetro nello spessore. Questa e altre necessità del mercato dell'elettronica hanno spinto i ricercatori alla creazione di batterie sempre più piccole, leggere e potenti.
Ma la struttura convenzionale di una batteria, con una forma rigida e componenti metallici, rischia di porre, in ottica di applicazione, qualche limite. Gli esempi sono diversi e riguardano solitamente dispositivi che richiedono il contatto con la pelle e quindi una certa mobilità. Si pensi agli impianti cerebrali che decodificano i segnali neurali per controllare le protesi elettroniche: le attuali batterie, impossibilitate a flettersi con la pelle e i tessuti, risultano scomode da indossare e soprattutto poco affidabili, perché il movimento del corpo potrebbe danneggiare i circuiti e causare malfunzionamenti.
Insomma, sanità e industria hanno bisogno di batterie flessibili, ma come produrle? Come spesso accade nella scienza, una fra le idee più promettenti si ispira alla natura. Nel caso specifico: le "anguille elettriche".
Acqua ed elettricità
Electrophorus è un genere di pesci d'acqua dolce in grado di generare campi elettrici con le quali stordire le prede e difendersi dai predatori. Appartenenti alla famiglia Gymnotidae, questi pesci sono impropriamente definiti "anguille elettriche", pur non essendo strettamente imparentati alle anguille vere e proprie (Anguilliformes) e, anzi, più vicini ai famosi pesce gatto.
Studiati sin dal 1500, i membri del genere Electrophorus hanno – fra Settecento e Ottocento – ispirato le ricerche del "padre fondatore" statunitense Hugh Williamson e dei fisici italiani Luigi Galvani e Alessandro Volta, quest'ultimo accreditato come inventore della batteria elettrica.
Insomma, tecnologia e società devono molto alle anguille elettriche, ma l'apporto di questi animali nello sviluppo di nuova strumentazione potrebbe continuare. Un gruppo dell'Università di Cambridge ha infatti utilizzato la tecnica dell'anguilla per creare quelle che chiama «batterie di gelatina». I ricercatori americani, si legge nello studio pubblicato, si sono ispirati in particolare alle cellule muscolari modificate che permettono ai pesci di creare il proprio campo elettrico: gli elettrociti. «Come gli elettrociti», spiega l'Università di Cambridge, «i materiali gelatinosi sviluppati dai ricercatori hanno una struttura a strati, come un Lego appiccicoso, che li rende capaci di erogare una corrente elettrica». Le batterie gelatinose autorigeneranti possono allungarsi fino a oltre dieci volte la loro lunghezza originale senza compromettere la loro conduttività. Caratteristiche, queste, «per la prima volta combinate in un unico materiale», assicura il team.
Le batterie gelatinose sono costituite da idrogel, reti 3D di polimeri che contengono oltre il 60% di acqua: la loro capacità di controllare con precisione le proprietà meccaniche e di imitare le caratteristiche dei tessuti umani rende gli idrogel candidati ideali per la robotica morbida e la bioelettronica. «È difficile progettare un materiale che sia allo stesso tempo altamente estensibile e altamente conduttivo, poiché queste due proprietà sono normalmente in contrasto tra loro», ha dichiarato il primo autore dello studio Stephen O'Neill, del Dipartimento di Chimica Yusuf Hamied di Cambridge. «In genere, la conduttività diminuisce quando un materiale viene allungato».
Senza considerare che, solitamente, gli idrogel non sono conduttivi: «Normalmente sono costituiti da polimeri con carica neutra, ma se li carichiamo possono diventare conduttivi», ha sottolineato il coautore Jade McCune, anch'egli del Dipartimento di Chimica. «E cambiando la componente salina di ciascun gel, possiamo renderli appiccicosi e comprimerli insieme in più strati, in modo da costruire un potenziale energetico maggiore». L'elettronica convenzionale, evidenzia l'articolo pubblicato da Cambridge, utilizza materiali metallici rigidi con elettroni come portatori di carica, mentre le batterie a gelatina utilizzano ioni per trasportare la carica, proprio come fanno le anguille elettriche.
Le proprietà delle batterie di gelatina le rendono promettenti per un futuro utilizzo negli impianti biomedici. «Possiamo personalizzare le proprietà meccaniche degli idrogel in modo che si adattino ai tessuti umani», ha dichiarato il professor Oren Scherman, direttore del Melville Laboratory for Polymer Synthesis, che ha guidato la ricerca in collaborazione con il professor George Malliaras del Dipartimento di Ingegneria. «Poiché non contengono componenti rigidi come il metallo, un impianto in idrogel avrebbe molte meno probabilità di essere rigettato dall'organismo o di causare la formazione di tessuto cicatriziale». Pur morbidi, gli idrogel sono sorprendentemente resistenti. E possono sopportare di essere schiacciati senza perdere permanentemente la loro forma originale, grazie alla loro capacità di autoripararsi quando vengono danneggiati.
Ricerche parallele e commercializzazione
L'Università di Cambridge non è l'unica a pensare alle batterie gelatinose. Anche un secondo gruppo, si legge in un articolo dell'Economist, ha ottenuto risultati incoraggianti con una batteria di idrogel autorigenerante. Il team, che ha sede presso la Guilin University of Technology e in diversi altri centri di ricerca in Cina, ha recentemente riportato su Nano Research Energy che la batteria era «in grado di sostenere un alto livello di flessione e torsione e, anche se rotta, era ancora in grado di auto-ripararsi».
Tutto bene in teoria, ma nella pratica? Queste batterie potrebbero essere commercializzate facilmente? I team implicati nelle ricerche sono convinti di sì. Il costo di produzione, infatti, sarebbe ragionevole se confrontato con le attuali tecnologie.
Il prossimo passo per il team di Cambridge è testare la biocompatibilità delle batterie gelatinose quando vengono impiantate nei tessuti: tuttavia, essendo principalmente a base di acqua, il team non si aspetta alcun problema di rigetto: se tutto dovesse funzionare per il verso giusto, queste batterie potrebbero presto alimentare le protesi utilizzate in tutto il mondo da milioni di persone.