Scienza

Gli smartphone in futuro potrebbero migliorare la diagnostica di alcuni disturbi mentali?

Il mondo della ricerca, da anni, studia sistemi legati all’intelligenza artificiale che potrebbero aiutare i professionisti a cogliere degli aspetti di questi disturbi difficili da rilevare altrimenti
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24.07.2024 13:30

Sempre più persone, nella società, soffrono di disturbi mentali. E sempre più persone cercano soluzioni. Il mondo della ricerca, da anni, studia sistemi legati all’intelligenza artificiale che potrebbero aiutare i professionisti a cogliere degli aspetti di questi disturbi difficili da rilevare altrimenti. Già durante la pandemia si era accesa una polemica sul fatto che smartphone e smartwatch potessero raccogliere dati biometrici, facilitando la diagnosi del Covid. Il recente dibattito riguardo le malattie mentali si è concentrato invece su come smartphone e smartwatch possano contribuire a diagnosi complesse che necessitano di informazioni più specifiche rispetto a un semplice valore biometrico, come la pressione sanguigna.

I gruppi di ricerca che lavorano allo sviluppo di software per la diagnosi di disturbi mentali, ad esempio, ritengono che gli smartwatch potrebbero portare molti benefici al settore, soprattutto pensando al forte aumento di persone che soffrono di queste patologie. In primis, potrebbero rivelarsi strumenti diagnostici aggiuntivi – con i loro limiti – anche per persone in Paesi privi di servizi legati alla salute mentale. Inoltre, potrebbero rivelare una quantità e un tipo di informazioni non necessariamente individuabili dai professionisti.

L’obiettivo principale, dunque, è usare modelli predittivi per esaminare grandi quantità di dati e individuare cambiamenti nel comportamento o nel corpo di una persona. Ovvero, possibili sintomi di un disturbo. Per fare ciò, tuttavia, è necessario programmare i modelli di IA. Allenandoli a cogliere, appunto, quei dati che sfuggirebbero all’essere umano.

A febbraio, il Dartmouth College ha condotto uno studio nel quale, grazie all’uso di un’app sperimentale chiamata MoodCapture, ha monitorato il comportamento di un gruppo di pazienti ai quali era già stata diagnosticata una depressione. I partecipanti dovevano aprire l’app tre volte al giorno, in momenti specifici, e rispondere ad alcune domande. Al contempo, la fotocamera del telefono scattava foto ai loro visi. In seguito, un sistema di intelligenza artificiale ha analizzato i commenti nel sondaggio dei pazienti assieme alle loro immagini per prevedere i sintomi della depressione. Ad esempio, se al momento della compilazione il soggetto era sdraiato sul letto, il modello rivelava una probabilità che fosse depresso. Lo scopo dello studio, però, non era associare tratti del viso alla depressione, ma riprendere di tempo in tempo lievi cambiamenti nell’espressione facciale di ogni partecipante. I ricercatori che hanno lavorato a questo progetto, grazie ai risultati finali ottenuti, hanno potuto stimare che il modello sarebbe capace di cogliere i sintomi della depressione con una precisione pari circa al 75%.

Nonostante il progetto possa portare grandi benefici, è bene prestare molta attenzione. Infatti, i software di riconoscimento facciale sono molto discussi per via della privacy e per alcuni difetti, dovuti a pregiudizi legati ai dati usati per la programmazione. Per questo motivo, l’ottimismo nel campo delle app per la diagnostica delle malattie mentali è frenato dal fatto che, innanzitutto, sarà essenziale distinguere tra il diritto pubblico alla salute e gli interessi privati delle aziende.

Gli sviluppatori di questi sistemi software incentivano le persone non solamente a vedere la tecnologia come la causa dei problemi, ma anche come mezzo che aiuterebbe i professionisti a migliorare la diagnostica di alcune patologie mentali. Secondo gli esperti, però, l’implementazione sarà possibile solo dopo una giusta regolamentazione dell’IA e, parallelamente, a patto che i modelli non sostituiscano la relazione fra professionista e paziente.

«Ci sono degli elementi nella seduta, come il body language, la voce, quello che succede a livello di feeling, che sono molto sottili. Per quanto la tecnologia possa avvicinarsi all’uomo, difficilmente può arrivare a comprendere il tipo di energia che si crea durante l’incontro» ci spiega, al riguardo, la psicologa e business coach Betina Surjon. «I disturbi mentali, come la depressione, hanno a che fare con le emozioni con le quali si può entrare in contatto quando si ha una comunicazione diretta con il paziente. Niente può superare questo tipo di relazione. Detto ciò, bisogna avere la curiosità di fronte alla novità. Il punto di vista positivo di alcuni macchinari usati per la diagnostica è che offrono un approccio olistico che dà la possibilità di osservare il paziente da più punti di vista. Il valore però della terapia rimane insuperabile in quanto crea un sostegno, un feeling professionale invisibile con la persona».