Il misterioso mondo dei quanti, da un secolo senza una spiegazione
È trascorso un secolo esatto da quando Werner Heisenberg ed Erwin Schrödinger formularono - in due momenti distinti - la teoria della meccanica quantistica, trasportando la fisica in una nuova dimensione di conoscenza. I due grandi fisici presero spunto da numerosissimi altri studi precedenti: seppero, insomma, sintetizzare i contributi di decine di altri scienziati per aprire le porte al mondo dell’infinitamente piccolo. Uno sguardo unico sull’invisibile: atomi, elettroni, fotoni e altre particelle subatomiche. Uno sguardo che però, si capì via via, non seguiva le leggi della fisica classica. Era qualcosa di nuovo, perché i calcoli e le formule descrivevano una realtà che non si comportava in modo deterministico e prevedibile: era guidata dalla probabilità e da elementi al di là della comprensione umana. Non è un caso che il fisico premio Nobel Richard Feynann disse: «Penso si possa tranquillamente affermare che nessuno capisce la meccanica quantistica».
È tutto fuorché intuitiva
Già. Ma allora, che cos’è e a che cosa serve la meccanica quantistica? «È vero, spiegare che cosa sia questa teoria è difficile. Non è un problema di divulgazione, di comunicazione: non riusciamo a coglierla neppure noi fisici». A parlare è il dottor Flavio Del Santo, ricercatore con una borsa Schrödinger che suddivide la sua attività universitaria tra Vienna e Ginevra. «Si tratta di un problema scientifico ancora aperto e oggetto di grandi dibattiti. Siamo di fronte a un’idiosincrasia: la meccanica quantistica ci ha permesso di fare le previsioni più accurate mai esistite, ci permette di produrre delle approssimazioni eccezionali, ma non sappiamo perché. In fin dei conti, non capiamo ancora bene di che cosa parla la teoria cui facciamo riferimento». La meccanica quantistica risulta difficile da comprendere perché è tutto fuorché intuitiva e sfida il modo in cui siamo abituati a pensare al mondo. Siamo soliti osservare la realtà alla nostra scala macroscopica, da cui derivano tutte le leggi della fisica classica. Ma siamo ciechi di fronte a una realtà invisibile.
L’eredità tecnologica
Proviamo, allora, con un esempio. «Immaginiamo un tavolo da biliardo, lo scenario visibile del mondo», spiega Del Santo. «Lo scopo della fisica classica è quella di prevedere come si muoveranno le palle da biliardo, quali traiettorie e quali angoli prenderanno. Ci aspetteremmo che la meccanica quantistica riflettesse le stesse regole ma su un tavolo molto più piccolo, invisibile a occhio nudo. Il problema è che la teoria di Heisenberg ci dice che le traiettorie non possono esistere. Una pallina che non viene osservata è come se non esistesse. Non si comporta come una pallina finché non ci affacciamo a guardarla. Ecco perché non capiamo la meccanica quantistica: quello che le equazioni ci dicono, risulta assurdo rispetto a tutto ciò che vediamo nel mondo attorno a noi. Smonta in sostanza tutto quello di cui abbiamo avuto esperienza nella vita».
La teoria ci ha dato moltissimo, ma ancora non riusciamo ad avere un’intuizione univoca su come spiegarci quello che prevede. «Diciamo pure che questa teoria è fortissima nel potere predittivo, ma pessima nel potere esplicativo», riassume Del Santo. Eppure, nonostante a distanza di un secolo il mondo scientifico non abbia una spiegazione per quello che succede nel mondo descritto dalla meccanica quantistica, sappiamo che funziona. Anzi, l’essere umano ne ha tratto grandissimi benefici. «Tutti i computer, compresi gli smartphone di oggi, non potrebbero esistere se non avessimo una comprensione del potere predittivo della meccanica quantistica», dice il fisico. «Il transistor, che ha permesso la miniaturizzazione di tutti gli apparecchi elettronici, si basa sulla meccanica quantistica. Stessa cosa per quanto riguarda il laser, o le luci a LED. Sono tutti oggetti che hanno rivoluzionato e semplificato la vita delle persone, ma che si basano su una teoria di cento anni fa».
E non è finita. Perché la tanto acclamata rivoluzione digitale e le mirabolanti promesse dell’intelligenza artificiale potrebbero passare da un elemento chiave: il computer quantistico, una «macchina» non più basata sul classici bit 0 e 1 (il sistema binario), bensì - appunto - sul potere dei quanti. A questo punto, però, entra in scena una delle caratteristiche più bizzarre della meccanica quantistica: la «nonlocalità» garantita dall’entanglement quantistico. Riassumendo all’osso: due particelle dello stesso tipo, anche se separate da migliaia di chilometri, saranno sempre interconnesse. Se cambia lo stato di una, cambierà immediatamente lo stato dell’altra. Come se due monete lanciate indipendentemente da due persone, una a Lugano e l’altra a Vienna, cadessero sempre o entrambe testa o entrambe croce. Questa interconnessione - non per niente definita da Einstein negli anni Trenta come «spettrali azioni a distanza» - è uno dei misteri più profondi della scienza. Eppure, anche in questo caso, funziona. Tuttavia, la natura permette solo che le particelle siano correlate, ma nessuna informazione può essere trasmessa grazie a questo effetto nonlocale. La relatività è salva. «Il fisico John Bell nel 1964, è stato il primo a capire che questo risultato non era semplice speculazione, ma nuova fisica», continua Del Santo. E infatti la nonlocalità serve, appunto, a costruire sistemi di crittografia assolutamente sicuri, a generare numeri fondamentalmente casuali, e giocherà un ruolo importante nella realizzazione di computer esponenzialmente più potenti di quelli di cui disponiamo oggi. Insomma, la meccanica quantistica ci accompagnerà ancora per moltissimi anni. «Credo che, al di là degli utilizzi tecnologici o pratici che facciamo grazie a questa teoria, il beneficio più grande che ha portato è l’aver reso consapevole l’umanità che là fuori esiste un mondo nuovo e diverso», riflette Del Santo. «Un mondo al di fuori della nostra comprensione intuitiva, ed è questo a renderla estremamente affascinante. La teoria quantistica ci ha permesso di liberarci dalla rigidità di un pensiero unico, dall’idea di una natura tiranna in cui tutto esiste in modo predeterminato. Ci dà la speranza di un futuro aperto». Un giorno, forse, andremo oltre i quanti e oltre la relatività generale di Einstein, le nostre due teorie di maggior successo, ma che hanno una profonda tensione tra loro, aggiunge lo studioso. «Al momento penso che ci troviamo in una sacca di incomprensione. Una specie di periodo di attesa di qualcosa di ancora più grande». E allora, nonostante i tanti misteri e le difficoltà, non ci resta che pazientare. Proprio come fecero Heisenberg e Schrödinger.