L'anniversario

Silvio Berlusconi e i trent'anni della discesa in campo

Il 26 gennaio 1994 l’allora presidente della Fininvest, del Milan e di tante altre cose, ma non ancora del Consiglio, annunciò la sua entrata in politica con il memorabile discorso iniziato con «L’Italia è il paese che amo»
Un fermo immagine del video.
Stefano Olivari
26.01.2024 10:30

La discesa in campo di Silvio Berlusconi è storia di trent’anni fa, anzi storia e basta. Il 26 gennaio 1994 l’allora presidente della Fininvest, del Milan e di tante altre cose, ma non ancora del Consiglio, annunciò la sua entrata in politica con il memorabile discorso iniziato con «L’Italia è il paese che amo». Forse l’unico discorso politico che gli italiani, i suoi tifosi e soprattutto i suoi antipatizzanti, ricordano. Una svolta che avrebbe condizionato la politica italiana ed europea per un trentennio, prescindendo dallo stesso Berlusconi che in questo periodo capo del governo lo sarebbe stato ‘soltanto’ per nove anni. Cosa è rimasto oggi di quella discesa in campo?

«Da un'idea di Stefano Accorsi»

La discesa in campo non era stata improvvisata, ovviamente, semmai era stata soltanto accelerata da Tangentopoli e dal crollo dei vecchi partiti, Democrazia Cristiana e Partito Socialista su tutti, con l’eccezione del Partito Comunista, o meglio dei suoi eredi. Come spesso accade, la spiegazione di un periodo storico arriva da una fiction, in questo caso la trilogia 1992-1993-1994, prodotta da Sky «da un’idea di Stefano Accorsi» e con protagonista Accorsi stesso, nei panni di Leonardo Notte, manager di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest, che si trova coinvolto nel progetto del nuovo partito che sarà poi Forza Italia. Idea partita da lontanissimo, dal cuore degli anni Ottanta, quando Berlusconi da imprenditore si trasformò in icona pop commissionando sondaggi a metà fra il compiacente e il fondato con i risultati che gli permettevano di dire che soltanto Cristo fosse più popolare di lui (mostrandosi quindi più modesto di John Lennon). L’idea del nuovo partito sarebbe diventata concreta nell’estate del 1993, quando era diventato chiaro che il sostegno delle sue televisioni alle inchieste della magistratura (come dimenticare il «Di Pietro vai avanti!» di Gianfranco Funari?) si era trasformato in un boomerang, visto che le indagini avevano risparmiato soltanto il PDS (già PCI) e Agnelli. Così, contro il volere della famiglia e di quasi tutti i suoi collaboratori, tranne Marcello Dell’Utri che era a capo di Publitalia, Berlusconi decise ciò che in cuor suo aveva deciso da anni ma non aveva mai attuato per non dare fastidio all’amico Craxi. Nella fiction Accorsi-Notte regala tante perle, spiegando il tipo di Italia a cui Berlusconi chiedeva i voti: «Gli anni Ottanta sono uno stato mentale». Ecco, la discesa in campo in poche parole.

Nylon

E proprio a quell’Italia ottimista, anticomunista ma non fascista e forse nemmeno di destra (i mitici ‘moderati’, sempre citati), quell’Italia nella sostanza antipolitica, Berlusconi si rivolse dopo avere messo una calza di nylon sull’obbiettivo della telecamera per rendere le immagini più calde e morbide. Il discorso non venne registrato nella villa di Arcore, ma in quella di Macherio, in uno studio che non era il suo personale ma che venne costruito ad hoc, con cura maniacale del dettaglio e foto di famiglia in favore di telecamera. Tutto durò in totale 9 minuti: videocassette VHS, e già dire VHS apre un mondo, vennero spedite a tutte le redazioni possibili e immaginabili in quel mondo dove internet di fatto ancora non esisteva. Il primo a mandare in onda il discorso fu il Tg4 di Emilio Fede, alle 17.30, tutti gli altri andarono a ruota. «L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare». Berlusconi propose agli italiani sé stesso, come se fosse un prodotto più che un leader di un partito che peraltro quasi non esisteva. La vera novità di Forza Italia fu questa, al di là dell’abilità nel comunicare e dei tanti messaggi subliminali. Il tutto con un inno di grande impatto, il cui testo era stato scritto da Berlusconi in persona già a settembre: «E Forza Italia – è tempo di credere – dai Forza Italia – che siamo tantissimi – e abbiamo tutti – un fuoco dentro al cuore – un cuore grande che – sincero e libero – batte forte per te – Forza Italia con noi!».

I nemici

Berlusconi ebbe fin da subito contro buona parte della politica e dei media non tanto per le sue idee politiche, genericamente liberali, ma perché nel suo discorso aveva chiaramente indicato il nemico. Non ‘I comunisti’, come erroneamente si ricorda e come lui stesso avrebbe detto in altre occasioni, ma l’intera classe politica tradizionale, quella delle «chiacchiere incomprensibili» da lui citate nel discorso, contrapposta alla sua Italia del fare. Un messaggio difficile da accettare per i suoi stessi giornalisti: Indro Montanelli aveva già lasciato il Giornale, il 12 gennaio, per andare in seguito a fondare la bella e sfortunata Voce, Maurizio Costanzo era contrarissimo, così come Enrico Mentana. Stesso atteggiamento da parte dei politici, tranne quelli che in qualche modo speravano di riciclarsi in Forza Italia. Grande entusiasmo invece nel mondo dello spettacolo, con gli endorsement di Mike Bongiorno, Raimondo Vianello (a Pressing), Iva Zanicchi, Patrizia Rossetti (allora il volto di Rete 4) e di tanti altri, addirittura anche quello ironico di un vecchio comunista come Gianni Boncompagni in Non è la Rai, quando il geniale regista suggerì ad Ambra la frase «il padreterno sta con Forza Italia, il Diavolo con Occhetto». Occhetto che all’epoca era il segretario del PDS, erede diretto del vecchio PCI il cui nome Occhetto aveva intelligentemente rottamato prima che diventasse troppo tardi. Visto che si parlava in ogni caso di dipendenti o collaboratori di Berlusconi, è evidente come la gente di spettacolo fosse più connessa al Paese reale di quanto fossero giornalisti e politici. Non era troppo connesso nemmeno Gianni Agnelli, al quale nel settembre del 1993 Berlusconi aveva spiegato in anteprima il suo progetto e che si era mostrato scettico.

Gli eredi

Gli eredi politici di Berlusconi e di quel discorso del 26 gennaio 1994? Tutti, almeno in Italia, senza distinzione di partito. Ma in almeno tre quarti d’Europa lo schema è ormai lo stesso, anche senza Berlusconi e nell’era dei social network anche senza televisioni alle spalle. Perché tutti i leader hanno personalizzato il proprio messaggio, al punto di valere molto di più come figure mediatiche che come rappresentanti di un partito. Nessuno ormai è interessato a un confronto fra i programmi di Fratelli d’Italia e del Partito Democratico, tutti vogliono vedere il duello televisivo fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein che infatti quasi certamente ci sarà. Stessa cosa per Conte (per non dire Beppe Grillo) e Salvini, ma anche per seconde linee e peones, ognuno al proprio livello. Inutile fare gli schizzinosi se la Meloni parla di Ferragni o la Schlein ascolta i consigli dell’armocromista, perché nel 2024 un dettaglio lancia messaggi politici più forti rispetto a mille comizi, per non dire di convegni o libri. In Europa tutto è cominciato con quel discorso, ispirato a ciò che gli americani facevano già dai tempi di Kennedy: da non dimenticare che ancora oggi anche la più femminista delle candidate è costretta a dimostrare di saper fare le torte. Una strada senza ritorno, perché nessun programma politico, per quanto interessante, può battere una faccia, una storia, un sogno.

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