Sorrentino: «I film che raccontano la verità mi annoiano»
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ll Premio Fiesole lo ha infine laureato Maestro del Cinema, e Paolo Sorrentino (L’Uomo in più; Il Divo; This must be the place; La Grande Bellezza; Loro), va ad aggiungersi alla lunga lista di personalità cinematografiche, soprattutto registi, come Paolo e Vittorio Taviani, Marco Bellocchio, Spike Lee, Bernardo Bertolucci, Terry Gilliam, Giuseppe Tornatore, Robert Guédiguian, che dal 1966 ad oggi hanno ricevuto questo ambito riconoscimento assegnato dalla critica cinematografica, con il plauso del pubblico.
Così sabato scorso, nel caldo pomeriggio estivo, al Teatro Romano di Fiesole, prima della premiazione, nel consueto faccia a faccia pubblico, Sorrentino si è raccontato, affabile e divertente, dimenticando, forse grazie agli applausi scroscianti dei tanti estimatori, quella scontrosità permalosa che alle volte lo affligge. Nelle sue risposte intrise d’ironia partenopea, con godibile affabulazione ha mescolato film, ricordi personali e scorci della propria filosofia.
«Tutti i miei personaggi - ha esordito - sono colti in un momento di crisi nei miei film, non perché io sia un pessimista, ma perché penso che in quei frangenti tutti gli esseri umani sono vulnerabili e tirano fuori il peggio di sé, che per me corrisponde al meglio. In realtà poi faccio finire i miei film sempre bene. Ad esempio nella Grande Bellezza il protagonista ritrova la voglia di scrivere un libro. In Loro, Silvio Berlusconi alla fine accende il vulcano in miniatura, che corrisponde all’accettazione del suo essere eterno bambino e che per me è positivo. Insomma parto sempre con l’intento non di essere pessimista, ma piuttosto di far ridere, perché penso che nella risata ci sia la capacità di perdersi in una specie di estasi. Come quando da ragazzini si rideva in maniera drammatica per dieci, venti minuti. Era quel tipo di risata ossessiva e prolungata che diventava estatica. Ebbene io inseguo quell’effetto lì, senza nessun successo, perché non sono così comico come vorrei e forse è per questo che mi vengono fuori dei personaggi pessimisti.».
Ma quanto siano reali, o forse veri, i suoi personaggi è tutt’altra questione perché, come ci ha lungamente spiegato Paolo Sorrentino: «»La verità è noiosa» - lo affermava già Albert Camus - e secondo lui non si dovrebbero fare film noiosi, perciò per definizione un film non dovrebbe essere vero. Invece nel cinema c’è la tendenza diffusa ad occuparsi in maniera diretta della verità con film che perciò risultano noiosi e un po’ stantii».
«Io sono convinto - ha ribadito il regista vincitore del premio Oscar per il miglior film straniero nel 2014 - che i film sono belli quando sono una elaborazione della verità e perciò si occupano del falso. Il paradosso è che, per una strana alchimia, nel cinema attraverso il falso si può anche raggiungere una qualche forma di verità. Ad esempio ricordo che Giulio Andreotti, che racconto in Il Divo, era rimasto molto più impressionato da come era stata rappresentata nel film la sua vita privata rispetto a quella pubblica che lui riteneva completamente inventata. Ovviamente era l’inverso, ma lui pensava che ci fosse stato qualcuno della sua cerchia che mi avesse fornito delle indiscrezioni sul suo privato. Invece non avevo ricevuto alcuna «soffiata», avevo inventato tutto partendo da una osservazione che lui stesso aveva fatto in un’intervista, a proposito dei pagamenti di alcune bollette della luce di casa sua. L’idea che Andreotti, preso da tanti importanti temi politici, si ricordasse gli importi delle bollette di casa, fu il punto di partenza delle mie fantasie. Ma evidentemente c’era del vero».
A chi chiede a Sorrentino se nei suoi copioni, che si dice siano quasi avvincenti come dei romanzi, lui si preoccupi di più di come cominciare un film, o di come finirlo, risponde in modo lapidario: «Mi preoccupa di più quello che sta in mezzo. Un critico francese, uno dei tanti che mi detesta, dice che sono bravo solo a fare la prima scena. Quindi l’inizio lo so fare - posso stare tranquillo- la fine un po’ meno, ma il centro è la parte più complicata».