Dal Medioevo un elogio al mecenatismo e al fervore
Uno dei concerti da camera più attesi per la ripresa autunnale è quello che segna il passaggio del violinista greco Leonidas Kavakos, in compagnia del pianista e direttore artistico del festival di Ascona, Francesco Piemontesi. Un’irresistibile immersione, prevista domenica 22 settembre (ore 19.30) alla Chiesa del Collegio Papio, nel sognante universo romantico della musica tedesca, ritagliato alcuni indiscussi capolavori: due delle tre Sonate per violino e pianoforte di Brahms (quelle della maturità, in la maggiore op.100 e in re minore op.108) e al centro la Sonata in re minore di Schumann, satura di una scrittura più densa, complessa, non lontana dal sinfonismo.
Ma tra le legittime attese c’è soprattutto la voglia di assaporare il suono smagliante e l’espressività del musicista ellenico: figura emblematica tra i virtuosi con l’archetto della generazione di mezzo (è nato 56 anni fa ad Atene) che dai trionfi giovanili nei più autorevoli concorsi internazionali, il Paganini e il Sibelius, non ha praticamente mai smesso di esplorare il mondo dei suoni in tutte le sue più fascinose sfaccettature: camerista, brillante solista (il prossimo 4 ottobre è atteso in una night gala con Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra), direttore d’orchestra e promotore di concerti dal vivo, tutte cose a cui affianca ogni anno l’attività di docente sotto il Partenone, in una masterclass che attira dall’estero tanti giovani violinisti.
«Ha suonato con tale empatia, come se non avesse fatto altro nella sua vita» ha sentenziato il critico di una rivista musicale tedesca, dopo un’esecuzione beethoveniana. E la storia di Kavakos è lunga parecchi decenni. «Mio nonno aveva un gruppo di musica tradizionale e poi papà prese il suo posto» racconta spesso nelle interviste «mentre io sono cresciuto ascoltando la musica, andando quasi alla ricerca di una precisa identità del mio paese: la tristezza, l’orgoglio, persino la rabbia che un tempo si scatenava contro l’occupazione turca».
E il risultato convince, sorretto ogni volta da una seria riflessione musicale, non da una superficialità limitata all’aspetto tecnico dello strumento, nel suo caso uno Stradivari Willemotte del 1734. «Una volta esistevano diverse tradizioni nazionali, anche sul violino, mentre oggi sembra di ascoltare tanti violinisti in serie, come i McDonald’s che trovi tutti uguali dovunque, a New York o in Cina. Io invece cerco sempre di coltivare la specificità umana e culturale del mio popolo».
Dal MCon una quindicina di album al suo attivo (l’ultimo dei quali è un’appassionata ricognizione nel contrappunto di Bach, attraverso l’integrale delle Sonate e Partite per violino solo) Kavakos punta ogni volta a dare il massimo, senza mai stancarsi di interrogare la tradizione del passato. «Quando studi un'opera, è inevitabile che appaiano cose nuove, anche se potrebbe essere un concerto che ho suonato molto nella mia vita» dice. «A un certo punto, inizi a dubitare e a mettere in discussione tutto: poi, più semplicemente, riparti dall’inizio. E questo è un processo che si realizza persino con l’età, se sei in carriera da molti anni, quando paradossalmente i meccanismi di studio sono più veloci e il processo di apprendimento dovrebbe in teoria risultare più facile».
Domenica, dunque, la sfida riparte con le tenerezze della musica da camera, che implicano un rapporto profondo e tangibile con il suo partner artistico (in questo caso il pianista Piemontesi). «Adoro esibirmi in duo, lo faccio spesso ogni anno anche in Svizzera, al Festival di Verbier: significa stringere un legame con chi sta insieme a te sul palcoscenico e con il pubblico» racconta. «Io adoro comunicare con le persone, uno dei più grandi problemi del nostro tempo è la mancanza di comprensione, empatia e solidarietà reciproca, a disdetta dalla cacofonia dominante nella società. Oggi invece la musica da camera ci dice: ragazzi, chiunque voi siate, noi vi amiamo e vi apprezziamo, ma adesso sediamoci e proviamo a fare qualcosa di buono insieme».