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«Io, per 50 anni figlia dei fiori in cima alla Valle Onsernone»

Wanda e il racconto della sua vita da hippy
Carlo Silini
12.03.2022 06:00

«Nel ’68 avevo 16 anni. Troppo giovane per essere una vera sessantottina. Ma ero e resto una figlia dei fiori». Wanda sorride nel suo appartamento luminoso a Loco, in Valle Onsernone, al piano terra di una palazzina che ha visto i secoli, incastonata dentro un nucleo di costruzioni in sasso e legno – non tutte riattate – addossate le une alle altre e collegate da un dedalo di strette stradine in pietra, sentieri sterrati, corridoi consumati dai passi dei più antichi abitatori di questo villaggio da cartolina, arroccato sul fianco della montagna dove fischia il vento e, se non ci stai attento, tutto rotola verso il basso.

Per noi è un tuffo nel Ticino rurale e poetico che piace da matti agli svizzerotedeschi (ma anche a noi), selvaggio e pittoresco, un’immersione nel cuore periferico del nostro piccolo mondo, dentro quelle che vengono poco cortesemente definite «zone a basso potenziale» e per le quali si elaborano articolati «concetti di sviluppo regionale», come leggiamo nel sito di Onsernone. Per Wanda, invece, Loco è New York.

Per una come me che ha vissuto per anni in una cascina abbandonata, questo è un cinque stelle

Sole, nuvole e nebbia
«Senti che bel caldino? Qui ci sono i termosifoni!», mi dice mentre dalle finestre filtra la luce tirchia di un sole che va e viene, continuamente attraversato da nuvole e nebbia. Fuori mulinellano radi fiocchi di neve che si sciolgono posandosi a terra. È il 31 gennaio e tutto può succedere perché l’inverno è stato piuttosto tiepido, ma non ha ancora intenzione di diventare primavera. Un momento fa quasi caldo e l’altro congeli. «Sai, per una come me che ha vissuto per anni in una cascina abbandonata, senza acqua corrente e senza riscaldamento, su a Spruga, questo è un cinque stelle».

Una veduta autunnale di Spruga. © CdT
Una veduta autunnale di Spruga. © CdT

Spruga, per chi non lo sapesse, è l’ultima frazione di Onsernone, a 1100-1200 metri d’altezza, un pugno di case nel verde (52 abitanti registrati nel 2000) dove la strada e il mondo dei motori finiscono e si fermano, perché da lì in avanti è solo montagna. Ed è lì che Wanda ha vissuto da figlia dei fiori per quasi mezzo secolo, prima di ripiegare nella «Grande Mela».

Ma questa storia inizia molto prima. «È vero. Sono nata a Basilea, ma sono originaria di Isone. Mi sono accorta subito che non ero adatta alla vita di città», spiega davanti a un bicchiere di Merlot. «I nonni avevano la vigna a Isone e si spostavano quattro volte l’anno, andavano all’alpe e io li seguivo. Mi piacevano gli animali, la natura era fondamentale. Sono andata via di casa dopo la scuola dell’obbligo. Avevo 19 anni ed iniziavano gli anni Settanta». Insomma, c’era aria di rivoluzione, si respirava la contestazione, si predicavano «peace and love».

Da ragazza ho vissuto in una comune a Basilea, poi da Formentera sono finita in Ticino

Vita da hippy a Basilea
«Proprio così. Anch’io ho vissuto per qualche tempo nelle comuni a Basilea. C’erano tre case occupate. Erano bellissime. In una stavano quelli che facevano politica, in mezzo c’eravamo noi, piuttosto hippy, e nell’altra quelli, diciamo così, più legati al consumo di sostanze… Per quanto mi riguarda non mi piaceva dover giustificare quello che facevo».

E infatti, eccola partire giovanissima per Formentera. «Alcuni amici avevano comprato una casa e li ho raggiunti. Una mia amica è poi partita per il Tibet e quando sono tornata a Basilea ho lavorato giusto il tempo per raggranellare qualche risparmio e sono tornata là per sei mesi. Stupendo. Ma da qualche parte sentivo che le mie radici erano qui in Ticino e quindi…».

Il sorriso di Wanda. © CdT
Il sorriso di Wanda. © CdT

E quindi immaginiamola mentre girovaga con quello che oggi definisce «il mio ex» tra la Valle Maggia e la Leventina alla ricerca di un posto dove vivere come una figlia dei fiori. Mete molto apprezzate, le facciamo notare, dagli svizzerotedeschi di ieri e di oggi (vedi box nella pagina accanto). Anzi, si è spesso detto che, soprattutto negli anni passati, diverse comunità hippy svizzerotedesche si fossero istallate in cima alle montagne più o meno clandestinamente.

Mi sono innamorata subito del posto, vivevamo nella natura, e facevamo del buon rock fino a notte fonda

Io, padrona di qualcosa?
«Ma a Spruga non c’era nessuno, a parte la gente del posto e qualche persona che era stata in India. Certo, tutti conoscono la grande esperienza del Monte Verità. E so di luoghi, nelle Centovalli, che hanno ospitato gruppi ispirati al buddhismo. Noi, invece, abbiamo creato una realtà tutta nostra». Comunque, la ricerca di Wanda e compagno fu breve perché «quando siamo entrati a Russo, in questa valle, abbiamo incontrato un amico che ci ha fatto conoscere Spruga. E ce ne siamo subito innamorati». Lì c’era una cascina abbandonata, «ma i proprietari ci hanno messo davanti a una scelta drammatica: o la comprate o ve ne andate. Ora, per me l’idea di diventare «padrona» di qualcosa era impensabile. Non ho mai «programmato» la mia vita, per me è una cosa strana anche oggi che di anni ne ho quasi settanta. Per quattro anni non abbiamo ceduto, poi l’abbiamo comprata. I primi sette anni li ho vissuti come in un sogno. Mi dicevo: wow, che bellezza. Facevo quello che volevo fare, non dovevo giustificarmi con nessuno. C’era il fienile, la cucina, il letto e la stalla: tutto nello stesso locale. Laddove dormivamo facevamo anche il formaggio, per capirci. Non avevamo le piastre per cucinare, scaldavamo il cibo direttamente nel camino».

Non c'era l'elettricità, l'acqua dovevamo andare a prenderla fuori, da una sorgente a un centinaio di metri di distanza

Né luce, né acqua corrente
Una vita splendida ma lontana dalle comodità. «A un certo punto alcuni amici ci hanno regalato un vitellino e da quel momento è iniziata la nostra esperienza di accudimento di bestiame in montagna: vitelli, mucche…».

Il contesto era fuori dal tempo. «Non c’era l’elettricità. Ci scaldavamo accendendo il fuoco. L’acqua dovevamo andare a prenderla fuori, da una sorgente a un centinaio di metri di distanza. La nostra era un’abitazione rurale in mezzo al verde. Poi, piano piano, ci sono voluti anni, è arrivata l’elettricità, mentre per avere l’acqua è servito più tempo. Non avevamo il permesso di allacciarci alle tubature, perciò abbiamo dovuto scavare centinaia di metri per farla arrivare in casa con delle canne».

Il freddo? Quando ti muovi funziona. E poi all'inizio gli animali erano sotto la cucina. Una mucca è come una stufa: emana un calore enorme

Il freddo ? Se ti muovi passa
Quello è un posto dove d’inverno la neve non scherza. «In certi momenti ne arrivava anche più di un metro, ma da giovane ti muovi comunque, non ti lasci scoraggiare, anzi. Certo, era una sfida, volevamo vedere se riuscivamo a sopravvivere in quelle condizioni. Il freddo? Quando ti muovi funziona. E poi all’inizio gli animali erano sotto la cucina. Una mucca è come una stufa: emana un calore enorme. La mattina mi alzavo e andavo ad abbracciarla».

Ad affascinare di più Wanda erano le erbe. «Facevo tinture, pomate… Per me era un mondo magico. Dicevano che ero una strega». E poi c’era la musica. «Col mio compagno e molti amici che venivano a trovarci facevamo del buon rock. Io suonavo la batteria. Era meraviglioso, suonavamo in mezzo alla natura fino alle ore piccole. Potevamo fare casino finché volevamo, non disturbavamo nessuno. Abbiamo collaborato anche con un gruppo di musicisti africani. Facevamo concerti. Gli africani erano bravissimi, alcuni erano musicisti da generazioni e generazioni. I loro padri e i loro nonni erano i soli autorizzati a suonare durante le cerimonie. Con loro ho imparato che tutto è relativo. Per la Svizzera non sono certo una donna ricca, per loro ero ricchissima. Con pochi soldi loro potevano fare tantissime cose in Africa, magari addirittura farsi una casa o mandare a scuola dei ragazzi. A seconda di dove sei ogni cosa ha un valore diverso».

All'inizio correvano tante voci, qualcuno ha scritto a Bellinzona dicendo che organizzavamo delle orge. Non era vero

No, non facevamo orge
Ma uno stile di vita del genere, le chiediamo, non metteva in agitazione gli abitanti del posto? «Cosa posso dire? All’inizio sì, correvano tante voci, proprio perché facevamo quelle feste. Qualcuno ha scritto a Bellinzona dicendo che organizzavamo delle orge. Sostenevano, addirittura, che erano nati dei bambini e non si sapeva di chi fossero. Non era vero. L’amore libero non fa per me, non mi andava neppure da giovane. O sono innamorata o niente. Fatto sta che ci siamo visti costretti a scrivere un documento in cui chiarivamo che erano solo menzogne e l’abbiamo messo in tutte le buche delle lettere dei villaggi di valle. Poi per carità, ci saranno anche stati gruppi che praticavano l’amore libero a quei tempi, ma non noi, non qui».

Figlia dei fiori sì, ma piano, quindi, coi luoghi comuni. Così, ad esempio, il fatto che il suo appartamentino a Loco sia tappezzato di disegni di mandala non deve trarre in inganno. «Non sono buddhista. Semplicemente, disegnare mandala è come una meditazione personale, mi calma. Certo, molti vanno su quel filone o su quello dell’astrologia. Io parto dalla mia intuizione, è quello che mi ha sempre guidato nella mia vita. Sono credente sì, a mio modo. Se sono alternativa? Certo. Per anni posso dire di avere percorso la via della medicina alternativa, ad esempio. Da piccola sono finita all’ospedale e dai 12 anni in su ho diffidato della medicina ufficiale, mi sono arrangiata diversamente… Poi l’anno scorso ho preso una stangata, prima ho fatto un infarto poi ho contratto un batterio ospedaliero, e ora ho un altro rapporto con la scienza medica. Beh, onestamente mi ha salvato la vita».

Mi alzavo la mattina e vedevo i piccoli di volpe che giocavano nel prato. Il mio rapporto con gli animali era stretto

I piccoli di volpe sul prato
Wanda socchiude gli occhi ripensando al suo mezzo secolo libero e selvatico «su a Spruga». «Mi alzavo la mattina e vedevo i piccoli di volpe che giocavano nel prato. Il mio rapporto con gli animali era stretto. E come contadina di montagna ho avuto mucche e capre e ho assistito a molte nascite. Ho allevato tanti piccoli cani che lasciavo liberim, ogni tanto cercavo una famiglia per loro. Mi è sempre piaciuto il contatto con le bestie. Sono una lezione di vita. L’ultimo cane che ho avuto non era socializzato, ma col tempo mi ha insegnato a conoscere meglio le persone. È difficile da spiegare. Vedevo le sue reazioni davanti alle persone. Osservavo come si comportava e capivo molte cose su di loro. Perché gli animali sono intuitivi. Dicevo alle bestie: domani andiamo sull’alpe e loro di notte si avviavano verso l’alto da sole. Per questo mi fa male vedere che spesso gli animali vengono tenuti al chiuso, privati dei loro spazi e della loro libertà».

Vedo un filo rosso nella mia vita, un qualcosa che dà senso a tutto quello che mi è capitato

La fine dell’idealismo
Il suo rapporto con la fauna addomesticata era comunque realista, come è bene che sia per dei contadini di montagna. «Avevamo 25 capre, ognuna faceva il suo piccolo. È chiaro che alla fine devi mandarne qualcuno al macello. Se no, in dieci anni devi occuparti di 500 bestie! Impossibile. È doloroso. Per me questo ha rappresentato la fine dell’idealismo. Sono cose che ti risvegliano alla realtà. L’immaginazione è una cosa, la vita reale un’altra. Vedo come un filo rosso nella mia vita, un qualcosa che dà senso a tutto quello che mi è capitato. Oggi sono qui, a Loco. È la mia vita e non sono qui per caso».

Entrando in menopausa ho capito che la cosa più importante della mia vita ero io

La svolta
Già, ma allora perché è scesa da Spruga a Loco? «È un percorso. Quando diventi proprietario di qualcosa le cose cambiano. Hai gli animali, hai il giardino, sei più concentrato sul posto. Cinquant’anni dopo sento l’esatto contrario, sento lo choc di aver lasciato quel mondo… Ma è chiaro che non riuscirei più a viverci. Anzitutto perché ho avuto problemi di salute e vivere in quel contesto non aiuta. Poi perché nel frattempo mi sono lasciata con l’uomo con il quale ho condiviso questa avventura. Era una vita intensa, si faceva tutto insieme 24 ore su 24. Da questo punto di vista non sono stati 50 anni di vita, ma il doppio. Non è che ci vedevamo la mattina e la sera, dopo che ognuno andava da un’altra parte a lavorare… Il clic, però, l’ho sentito entrando in menopausa. Lì ho capito che la cosa più importante della mia vita ero io. Allora mi sono distaccata da quel mondo. Perché c’erano molte cose da fare, moltissime cose di cui occuparsi: gli animali, l’agricoltura di montagna, la musica, la vita in comune col mio compagno. Ma ora basta, voglio ascoltare me stessa. Tanto dentro resto uguale, la stessa figlia dei fiori di mezzo secolo fa».

Mentre lo dice si ferma un attimo, sembra un gatto che fiuta l’aria. E fuori ricomincia a nevicare.

Svizzerotedeschi in valle: da Max Frisch alla «Risotto Woodstock»

Frisch e i big della cultura
La fascinazione che la Valle Onsernone esercita sugli svizzerotedeschi inizia ben prima del Sessantotto. La pittrice Gisela e lo scrittore Alfred Andersch si stabilirono a Berzona dieci anni prima. Max Frisch visitò la coppia e nel 1964 comprò un vecchio casale che divenne il centro della sua vita per molti anni. Qui compose uno dei suoi scritti più celebri: L’uomo nell’Olocene (1979). Prima ancora, in Onsernone erano stati per periodi più o meno lunghi Ernst Toller ed Elias Canetti, Meret Oppenheim, Ignazio Silone, Hans Arp, Sophie Taeuber-Arp e Max Bill, la maggior parte di loro come ospiti della scrittrice Aline Valangin e del divo avvocato Vladimir Rosenbaum, che invitavano i loro illustri amici nella mitica villa «La Barca» di Comologno.

Gli alternativi
Nel 1990, la SonntagsZeitung titolava un servizio su Spruga: «Risotto-Woodstock». Il riferimento era agli hippy tra i 20 e i 30 anni che, affascinati dalle idee del 1968 e stanchi della società dei consumi, dalla Svizzera interna approdarono in valle Onsernone. Nei momenti più intensi, la loro colonia, compresi i bambini, contava circa 150 persone. Se si considera che negli anni ’70 in Valle Onsernone vivevano poco meno di mille abitanti, la loro può essere considerata un’immigrazione di massa. Il trend si è fermato negli anni ’80. E oggi in valle, secondo un reportage del 2015 del Tages Anzeiger, se ne contano «appena» tra i 30 e i 40.