Il caso

Stromae parla di suicidio: ha fatto bene o è solo marketing?

Il rapper belga ha affrontato temi delicatissimi durante una lunga intervista al telegiornale di TF1, dividendo l’opinione pubblica e gli esperti
© TF1
Marcello Pelizzari
10.01.2022 21:55

Ma è giornalismo, questo? I media francesi, in queste ore, sono impazziti. Complice (anche) il chiacchiericcio via social. C’è chi ha gradito, chi ha storto il naso e chi, invece, si è posto domande più profonde. Legate, appunto, alla qualità dell’informazione nell’Esagono e, nello specifico, a quella del telegiornale più seguito. Le Journal de 20 heures, già. O all’opportunità o meno di parlare apertamente di suicidio davanti a milioni e milioni di telespettatori.

L’assist, più o meno volontario, l’ha fornito il cantautore, produttore e rapper belga Stromae, ritornato sulle scene dopo una lunga assenza. «Ho avuto la fortuna di sposarmi, ho avuto la fortuna di avere un figlio, che ora ha tre anni» le sue parole. «La vita in tour è fantastica, è un po’ come stare in colonia, ma non si vive di cose normali». Esauritasi l’onda lunga generata dal singolo Santé, pubblicato lo scorso 15 ottobre, il nostro ha «usato» gli studi di TF1 per promuovere il suo nuovo album, Multitude. In molti, dicevamo, hanno alzato la voce. Citiamo «Libération»: che cosa separa, giornalisticamente parlando, l’annuncio dell’uscita di un disco, un libro o un film da un comunicato stampa?

Grave, a detta del quotidiano, il fatto che a prestare il fianco all’artista sia stato il telegiornale stesso. Con un’intervista definita piatta e verosimilmente pianificata a tavolino, durante la quale Stromae ha presentato i temi forti dell’album e tutti i malesseri che avevano portato il cantante, a suo tempo, a staccarsi dall’ambiente. Un’intervista, attenzione, conclusasi con un accenno del secondo singolo, Enfer, le cui parole rispecchiano gli stati d’animo di Stromae. A cominciare dai pensieri suicidi.

Narrazione o marketing?
«Libération» è andato oltre, puntando il dito proprio contro la redazione di TF1. Chiedendo, e chiedendosi, cosa abbia spinto i giornalisti a superare una linea rossa: perché, insomma, sacrificare contenuti validi sull’altare di una banale operazione di marketing a beneficio, esclusivo, dell’artista? Niente di nuovo, si dirà. E in effetti il cosiddetto infotainment impazza da anni a qualsiasi latitudine.

Fatto ancora più grave, ha sottolineato il giornale, è che i media dovrebbero indirizzare e istruire le giovani generazioni, chiamate a vederci chiaro nella cosiddetta giungla dell’informazione. E invece, ha chiosato «Libération», la narrazione attorno a Stromae era più figlia del marketing che di una vera necessità, quella di raccontare un malessere reale.

Ma l’esempio è positivo
Di parere opposto Léonore Dupanloup, responsabile della comunicazione in seno a Stop Suicide, associazione attiva in Svizzera romanda. Sì, ha spiegato ai colleghi di «Le Temps», «parlare di suicidio è già, in generale, utile per rompere il tabù che lo circonda». E ancora: «Stromae ha dimostrato che è un argomento di cui si può parlare, anche nel telegiornale del canale più seguito in Francia: non c’è motivo per non farlo. In fondo, siamo di fronte a un artista molto famoso e ammirato. Questa identificazione positiva dà visibilità al suicidio, ma anche all’intera questione della salute mentale. Questo è quello che hanno fatto recentemente Orelsan con la sua canzone Jour meilleur, e Soprano, che ama rappare su argomenti simili».

A detta dell’esperta, l’impatto di Stromae è dunque solo ed esclusivamente positivo. Nella letteratura scientifica, in questi casi, si parla di effetto Papageno. Il suicidio è stato affrontato senza sensazionalismi o glorificazioni, né rivelando dettagli scioccanti o voyeuristici. C’è stata, questo sì, parecchia sensibilità. Niente a che vedere, ha concluso Dupanloup, con la serie targata Netflix 13 Reasons Why, non a caso criticatissima negli Stati Uniti per una messa in scena molto esplicita e, per certi versi, eroica.